domenica 20 gennaio 2013

Capitolo 30


Capitolo 30 - Isabella

La chiglia bianca della barca scivolava sulle acque scure del lago, lasciando dietro sé una scia che come un nastro di luce sembrava inseguirla. Il Sole era alto nel cielo e i suoi raggi penetravano il biancore delle vele sciolte che ancora ondeggiavano scomposte in attesa di vento.
Tutto era tranquillo e insolitamente immobile.
Le cicale, nascoste tra i cespugli, sfregavano le loro ali producendo quel canto costante che accompagna la stagione estiva, tentando di zittire il sordo borbottio del motore che, faticando, trascinava la barca lontano dalle sponde.
In piedi, sulla passerella del piccolo pontile, osservavo Edward seduto al timone,  con la mano poggiata sulla fronte per farsi scudo dal sole. Non sopportava gli occhiali scuri e preferiva stringere gli occhi fino a renderli fessure, facendo apparire agli angoli quelle sottili rughe che trovavo irresistibili. I capelli ribelli sembravano non trovare pace, mentre le sue mani cercavano inutilmente il modo di domarli. Sorrideva come un bambino al quale è stato regalato un nuovo gioco e mi si strinse il cuore per la gioia di rivederlo felice.
Mi sedetti sulla panchina di legno del piccolo molo,  allungando le gambe, mentre la brezza del pomeriggio scivolava su di me accarezzandomi.
Il cielo era libero da nuvole e quando alzai gli occhi rimasi prigioniera di quel blu intenso che si rifletteva poi sullo specchio d’acqua che avevo di fronte. Non ci fossero state le colline a dividerli, cielo e terra si sarebbero fusi insieme in un tutt’uno.
Mi voltai verso la villa.
Lia stava rassettando il portico, dove Edward ed io avevamo pranzato poco prima, lasciando che il tempo non fosse mai abbastanza per saziarci uno dell’altra. La tranquillità di quel luogo aveva sortito un profondo cambiamento in entrambi e sebbene le giornate avessero la durata di sempre, la sera sembrava giungere con più calma, lasciandoci il tempo di godere dolcemente ogni singolo attimo che quell’angolo di paradiso riusciva a regalarci.
Prima che l’immagine di lui apparisse indistinta, Edward alzò la mano agitandola nella mia direzione ed io risposi alzando entrambe le braccia e lanciandogli un bacio che si perse nell’aria e lui non vide arrivare. Bob era con lui e si spostava da un lato all’altro della barca per sistemare le cime in modo da trovarsi preparato nel momento in cui il vento li avrebbe portati con sé. Era vestito di bianco e si sarebbe confuso con i colori della barca se non fosse stato per la sua pelle scurissima che risaltava in tutto quel chiarore.
Era passato più di un mese da quando lo avevo incontrato la prima volta e nonostante mi fosse sembrato ambiguo, arrogante e assolutamente un individuo da evitare, col tempo si era rivelato invece un ottimo amico per Edward, che aveva bisogno della presenza di un uomo che non fosse un medico o un fisioterapista; qualcuno col quale parlare di tutte quelle sciocchezze che soltanto tra uomini sembrano interessanti. Trascorreva con lui almeno due pomeriggi la settimana, quando il suo intenso programma lo permetteva e mi rincuorava accorgermi di quanto fosse altrettanto terapeutico lo stare in barca con quell’uomo. Le prime volte mi aveva portato con sé, convinto di non potermi stare lontano o di farmi un torto, ma una volta che mi ero resa conto di quanto la mia presenza lo condizionasse mi ero messa in disparte, con la scusa del lavoro e la cosa sembrava aver funzionato.
Bob probabilmente era preparato a gestire una persona non del tutto autonoma e sembrava perfettamente a suo agio anche quando le difficoltà di Edward richiedevano un suo intervento. Avevano trovato l’intesa ed ora ognuno si muoveva su quello spazio angusto senza problemi.
Le terapie dell’ultimo mese avevano sortito un mutamento tale nelle capacità motorie di Edward che io stessa stentavo a credere ai risultati. Sotto ai miei occhi l’avevo visto alzarsi da solo e muovere i primi passi appoggiandosi alle stampelle. Era un miracolo. Rose gli era accanto sempre ed ero rimasta sconcertata da quanta costanza e pazienza avesse con lui e con quanta serietà svolgesse il suo lavoro. Un  lavoro duro ed estenuante. Lo aveva accompagnato lungo tutto il percorso terapeutico senza risparmiarsi, curandosi che tutto fosse portato avanti esattamente come Jasper richiedeva e nonostante fosse evidente che non stesse bene, non aveva mollato un solo attimo. Segretamente la ammiravo per questo e da tempo mi ero anche resa conto di quanto, la mia pretesa di sostituirla in principio, fosse stata una vera sciocchezza. Mi chiedevo però cosa significasse quel suo cambiamento radicale. Non sembrava più lei. Era sempre più pallida nonostante cercasse di coprire il volto con un  trucco più marcato.  La sua pelle non aveva preso colore come era successo a tutti noi,  perché, quando non era in palestra con Edward, rimaneva sempre chiusa in casa. Non la capivo. O forse non volevo curarmi di cosa la turbasse. Dentro la mia testa serpeggiava sempre il dubbio che in tutto questo c’entrasse il mio riavvicinamento con Edward, ma allo stesso modo qualcosa, nella mia coscienza, mi suggeriva che mi stavo sbagliando. Quella ragazza aveva un qualcosa che le rodeva e non trovava modo di liberarsene, un’angoscia silenziosa che la tormentava costantemente. Potevo capirla, mi ero sentita così molte volte e per lungo tempo ed era questa consapevolezza, forse, che mi costringeva a starle lontana. Qualche volta mi era venuta voglia di spingermi oltre il giardino per parlare con lei, per scoprire cosa nascondesse, un dettaglio, qualsiasi cosa, ma subito dopo la rivedevo correre quasi nuda sul corridoio di casa mia e il buon samaritano che era in me si trasformava in Caronte. Avevo altre cose a cui pensare, Edward, la sua salute, il nostro rapporto da ricostruire, tutto a mio parere più urgente e importante e accantonavo quindi quell’idea lasciandola in sospeso.
Eravamo lì da quasi tre mesi e a parte un paio di visite di Emmet, durate qualche ora soltanto, nessuno, oltre le persone addette ai lavori, aveva messo piede nella villa. Jasper aveva annunciato che la settimana seguente, in occasione del compleanno di Alice, sarebbero venuti da noi a trascorrere qualche giorno di vacanza in compagnia. Edward ed io eravamo eccitati per l’evento. Le stanze degli ospiti erano state preparate con largo anticipo e Lia e Marta erano già in fermento per i menù da preparare. Edward insisteva nel dire che il vino non sarebbe stato all’altezza e aveva costretto Jasper ad andare nel nostro appartamento per rifornirsi, indicandogli dettagliatamente cosa prendere e dove cercare. Una ventata di novità avrebbe certo giovato ad entrambi che, troppo occupati a ritrovare noi stessi, stavamo dimenticando il resto del mondo.
Quella vacanza aveva rappresentato un nuovo inizio e il nostro rapporto era diventato forse migliore di quanto lo fosse prima dell’incidente. C’era una consapevolezza nuova di quello che eravamo l’uno per l’altra, di ciò che potevamo diventare e di come le nostre vite fossero unite indissolubilmente. Non mi ero mai sentita così serena e soddisfatta come lo ero adesso. Speravo fosse lo stesso per Edward. Ancora non ne ero certa.
In quell’oasi di pace dovetti ammettere che il suono del cellulare, trillante nella mia tasca, stonava decisamente.
-         James, ciao. Credevo che il sabato fosse il tuo giorno libero, hai deciso di rinunciare anche a quello? – Mi stupiva la sua chiamata, considerando che ci eravamo sentiti solo un paio d’ore prima.
-         Bella, lascia perdere! È successo un casino. – Era affannato come se avesse fatto una corsa.
-         Che c’è?  Stai calmo. – Non era da lui fare così.
-         Ti ricordi il Giudice Norton? –
-         Certo che me lo ricordo, è lui che seguirà il processo. –
-         Beh è morto ieri sera. Ha avuto un  infarto mentre giocava a bridge con gli amici in casa sua e c’è rimasto secco. La moglie ha dato la notizia solo un’ora fa. –
-         È terribile, mi dispiace molto. Norton era una brava persona. Andrete al funerale? – Non pensavo fosse necessario rientrare a casa. L’ufficio avrebbe di certo mandato qualcuno di rappresentanza.
-         Ma che ti frega del funerale, non lo so! So soltanto che siamo tutti qui a incrociare le dita in attesa di sapere chi verrà assegnato come suo sostituto. Ce ne sono tre in lista e mi auguro solo che non sia Johnson o siamo nella merda. –
-         Quello del processo Graam?-
-         Si, lui. Non lo sopporto. – Stava camminando su e giù, mi sembrava di vederlo.
-         Perché dici così? Non ricordo fosse male. – La conversazione mi stava allarmando.
-         Quell’uomo ama complicare le cose ed è possibile che sposterà il calendario delle udienze in tribunale. Comunque staremo a vedere, Lunedì sapremo di chi si tratta. Volevo metterti in guardia subito, perché se fosse - sospirò nervoso, sapendo di dovermi ammazzare - dovrai tornare a casa Bella. –
-         -Ma non può farlo, creerebbe un sacco di problemi anticipando le date e non soltanto a noi. Sarebbe una follia. Vedrai che nessuno accetterà una cosa simile. – Non ne ero molto sicura.
-         Te l’ho detto tempo fa e te lo ripeto, è un fanatico del suo lavoro e gli piace comandare, tenere tutti in pugno, quindi non aspettarti trattamenti di favore se dovessero scegliere lui. Cazzo! Ti rendi conto? Stava andando tutto così bene. Questa non ci voleva. –
-         Lo dici a me. – Mi accasciai sulla panca.
-         Bella ti prego, non fare scherzi anche tu eh? Se mi molli qui da solo sai bene che non potrò farcela. – Non risposi. Lui incalzò cambiando tono.
-         Bella, tesoro…- La sua voce si era ammorbidita, era tornato ad essere il mio amico. – …ci sei? –
-         Si, scusami. È solo che… - Non riuscii a terminare la frase.
-         Ora sta calma tu. Aspettiamo di vedere cosa accade lunedì prima di disperarci. Speriamo che Dio ce la mandi buona. Ora vado tesoro, ho un sacco da fare. –
-         Ok! – feci una pausa – James… - Non mi sentì. Parlava a qualcun altro.
-         Ciao. – Mi disse distratto e in attimo era già lontano.
Riposi il telefono accanto a me lentamente e mi accasciai sullo schienale della panca.
Tutto lo splendore che avevo intorno improvvisamente mi infastidiva.
La barca di Edward era ormai solo un puntino di luce sul tappeto blu che avevo innanzi e rimasi a fissarlo aggrappandomi alla speranza che, se fosse accaduto quel che James aveva previsto, lui avrebbe capito, ma dubitai. Dubitai profondamente.

Timore e Rimorso si arrampicarono lungo le viscere fino a saltellare sul    mio stomaco.
Ragione e Buonsenso, appoggiati l’un l’altra, aspettavano che si stancassero per rimettere tutto a posto.

Strofinai le mani sul viso quasi a scacciare le immagini negative che senza volerlo venivano partorite dalla mia mente. Cosa avrebbe fatto Edward se fossi stata costretta ad andarmene? Quale giustificazione valida avrei potuto dare per fargli questo? Nessuna. Non avrebbe mai capito. Mai!

             Timore e Rimorso fecero un salto mortale ridendo.
Ragione e buonsenso si guardarono scuotendo la testa.

Tutti i traguardi raggiunti in quel breve lasso di tempo potevano essere compromessi e la colpa sarebbe stata soltanto mia. Avrei dovuto decidere quali fossero le mie priorità, ma la realtà era che non sapevo che fare .Come una statua osservavo il dondolio dolce delle acque del lago, quasi che perdermi in quel movimento avrebbe fermato il tempo, impedendomi di dover scegliere. Cercavo disperatamente una soluzione che potesse accogliere entrambi i consensi, ma la mia mente non era lucida e dovevo darmi il tempo di calmarmi e di soffiare via quella nebbia che mi avvolgeva i pensieri. Avevo poco più di un giorno per ritrovare l’equilibrio, per tornare la Isabella di prima, tutta numeri e autocontrollo.
    La sola idea mi diede il voltastomaco.

        Timore e Rimorso volarono fino al cuore, aggrappandosi fino a graffiarlo e stringendolo forte.

         Ragione e Buonsenso sollevarono gli occhi e, abbracciandosi sconvolti, rimasero a guardare.

Non riuscivo nemmeno a pensare di tornare ad essere la cinica e disturbata Isabella di prima, non lo volevo…non più. Essere di nuovo l’amore di Edward mi aveva sanata e quel germe malato che mi avvelenava l’anima ora non viveva più dentro di me. Liberarmene mi era costata fatica e dolore e ora non avevo posto che per la nuova me ritrovata.
Amore.
Come potevo chiamare amore quello che provavo per lui.
Come potevo farlo comportandomi poi in quel modo.
      Ragione e Sentimento sono nemici attenti quando li si mette una di fronte all'altro, perché l'amore non ha logica ne regole, vive di vita propria, non è comprensibile o spiegabile e la miglior cosa da fare è assecondarlo e vedere dove ci porta. 
Ma dove aveva portato me?
Cosa avevo imparato da tutto quello che avevo vissuto fino adesso?
La vita mi aveva costretta a sbagliare e sbagliare ancora.
Quanto tempo ancora avrei dovuto ripetere gli stessi errori prima di fare la scelta giusta?
Mi costrinsi ad alzarmi per non vedere la mia colpa prendere il largo e raggiungere colui al quale era rivolta, aggredirlo alle spalle e appena risollevato rigettarlo a terra.
Mi sollevai dalla panca come se sulla schiena trasportassi dei sassi, tale era il peso dello sconforto che avevo addosso. Attraversai lentamente il prato fino al portico, dove Lia aveva ormai quasi terminato il suo lavoro. Mi guardò negli occhi sollevando lo sguardo dai cuscini che stava sprimacciando.
-         Va tutto bene? Hai l’aria di chi gli è morto il gatto. –
-         Si! – Risposi come un automa lasciandomi cadere sul divanetto appena sistemato.
-         Si vede, tutta vita proprio. – Ironizzò.
Mi girava intorno come se facessi parte dell’arredamento e una volta che fu tutto a posto sospirò parandomisi davanti.
-         Perché non vieni con me? – La guardai sorpresa. Le mani ai fianchi, sguardo deciso.
-         Qui non hai niente da fare e io devo andare all’emporio giù in paese per fare la spesa. Non ti farebbe male uscire un po’ da questo angolo di mondo e due mani per portare le borse non mi dispiacerebbero. Che ne dici? –
Ero esterrefatta, come se mi avesse offerto una libertà che credevo già di avere, ma che una sola telefonata mi aveva tolto. Cambiare aria in quel momento era forse la cosa migliore e poi Edward non sarebbe tornato per almeno un paio d’ore. Potevo andare  e tornare senza che lui nemmeno se ne accorgesse.
-         Sei sicura?. – La guardavo nei suoi occhi intensi.
-         Certo che lo sono. – Lo era davvero. Mi arresi.
-         Forse hai ragione Lia. –
-         Ricordati cara che io ho sempre ragione. – Rise forte senza farsi alcun problema. Era contagiosa e confortante la sua allegria. L’adoravo per questo.
-         D’accordo, vengo. Purché tu mi prometta che saremo di nuovo qui quando Edward rientrerà dal giro in barca. Ce la facciamo? –
-         Facciamo in tempo a fare anche la torta di mele che ho in programma, ma se non prendiamo le mele…niente torta. – Sorrise serena strofinandosi le mani sul grembiule che indossava. Lo tolse e mi invitò a seguirla.
-         Mi lavo le mani, prendiamo Giovanni e il cane e si va, ok? – Si mise a chiamare il bambino a gran voce e in due minuti eravamo pronte.
Ero quasi eccitata per quest’improvvisata di Lia e quando sedetti nel suo furgone mi sfuggì pure una risatina sciocca. Potevo per un attimo mettere quella storia da parte e non pensarci. Tre mesi erano bastati  per sentirsi fuori dal mondo, anche se quel mondo era tutto ciò di cui avevamo bisogno quando eravamo partiti da San Francisco. Legai la cintura e indossai gli occhiali da sole. Giovanni e il cane riempivano quei silenzi che altrimenti in casa mi avrebbero soffocata. Ringraziai il cielo di avere accanto persone come Lia e Marta, felici e soddisfatte davano una carica di positività alle nostre vite.
Osservai ciò che apparve alla fine del vialetto alberato, oltre il cancello che avevo veduto solo il giorno del nostro arrivo. La strada era ampia come la ricordavo e scendeva verso un incrocio dove svoltammo a destra, costeggiando il lago. Come già sapevo quella zona non era molto popolata, nemmeno in estate, ma, via via che ci avvicinavamo al paese, il numero di auto aumentava e ai lati della strada c’erano famiglie e coppie che passeggiavano in abiti leggeri e costume da bagno. Un carretto dei gelati stava attraversando il parco giochi alla nostra sinistra e tutti i bambini accorrevano impedendo al ragazzo che lo guidava di raggiungere la sua meta.
-         Sai Isabella, ci sono famiglie che tornano qui ogni anno in vacanza da generazioni ed è come se facessero parte della comunità di Round Hill Pines Beach.  Senti come suona bene eh? Questo lago ha fatto innamorare un sacco di coppie che ora tornano qui con i loro figli.-
-         E’ bellissimo. Ne conosci qualcuna? –
-         Oh! moltissime. Prima di lavorare nella villa ero commessa all’emporio dove andiamo ora e li ho visti passare tutti i turisti della zona. Vedrai che ti piacerà, è molto caratteristico. –
-         Caratteristico? In che senso? – Ero incuriosita.
-         Lo vedrai. – Svoltò nella piazza, parcheggiando il furgone accanto ad una piccola fontana. Giovanni e il cane quasi sfondarono la porta gettandosi fuori dall’abitacolo e dopo essersi abbeverati al volo, ,li vidi sparire correndo tra i cespugli del parco.
-         Non ti preoccupare – mi rassicurò Lia – conoscono quel posto come le loro tasche e sono al sicuro. –
-         Se lo dici tu, ok! –
-         Vieni e prendi per favore quelle borse che trovi sotto al sedile. –
Feci come mi aveva chiesto e la seguii.
Percorremmo la strada nella direzione opposta al parco e appena dietro l’angolo si aprì in una grande piazza al cui centro zampillava una fontana di grandi dimensioni. Era quadrata e molto originale. Al centro vi era la statua di un orso con accanto il suo cucciolo. Lungo il bordo vi erano sedute molte persone che giocavano e ridevano,  immergendo le mani nelle acque fresche delle vasche. 
-         Vieni, siamo arrivate! – Lia mi distolse dallo spettacolo e la seguii.
L’edificio era in un unico piano e molto ampio. La facciata era dipinta a murales e riportava paesaggi di montagna esattamente uguali a quelli che si vedevano alle sue spalle. Sorrisi guardandomi intorno e Lia mi spiava con la coda dell’occhio.
-         Tutto qui? – Le chiesi.
-         Purtroppo no! – Sospirò ridendo.
Varcammo l’entrata seguendo una famiglia rumorosa, mentre i bambini agitati scorazzavano intorno a noi. Uno mi pestò un piede e una volta all’interno abbassai lo sguardo per constatare i danni.
Lia era due passi avanti a me e si girò a guardarmi.
All’improvviso fui accarezzata da un suono dolcissimo e allo stesso tempo “antico”, non trovavo un aggettivo che definisse meglio quelle note sofferenti e carezzevoli. Sembrava che mille folletti dei boschi facessero vibrare gli steli dei fiori o che sbattessero delicatamente tra loro bolle di cristallo colme di petali, era bellissimo. Sollevai la testa, così come vidi fare a tutti coloro che entravano dopo di me e li vidi. Centinaia di fili trasparenti appesi al soffitto ai quali era legata una sorta di pietra ovale modellata, sopra la quale vi erano incise…o forse disegnate a pirografo o non so cosa, le immagini dei boschi. Ce n’erano a migliaia e, mosse dal flusso delle persone, sfiorandosi producevano quel suono.
-         Ma è meraviglioso. Incredibile! – La bocca aperta ero completamente rapita da quella volta melodiosa.
-         Te l’avevo detto che era particolare, no? – Lia se la rideva e afferrandomi il polso mi trascinò al bancone come fossi una bambina.
-         Ma li vendono? Io li devo avere assolutamente. –
-         Abbi pazienza e poi vediamo. Mentre mi preparano la roba puoi farti un giro, ci sono molte cose carine qui. Vai! Su! – E mi spinse gentilmente verso gli scaffali di souvenir.
Molte di questi raffiguravano i boschi circostanti del Nevada, intagliati nel legno o dipinti su di esso. C’erano molti oggetti da appendere alle pareti, quadri, orologi e buffe clessidre che rivelavano la situazione meteorologica attraverso  il livello dell’acqua che, al suo interno,  si abbassava e alzava seguendo la pressione atmosferica. Era buffo, erano tutte esattamente allo stesso livello. Le presi in mano girandole e giocandoci, quando un ragazzo dietro al banco lì a fianco si avvicinò. Lo guardai curiosa,  mentre,  appoggiando i gomiti sul tavolone di legno, mi osservava divertito. Doveva avere forse diciotto anni e negli occhi gli brillava il cielo più blu che avessi mai visto. I capelli biondissimi erano lunghi e gli ricadevano sulla fronte come fossero disegnati su di lui. Sorrideva e le sue labbra piene e rosee incorniciavano una dentatura perfetta. La lingua pizzicata tra i denti era vergognosamente sexy e quando mi resi conto dell’effetto mi vergognai di averlo pensato e divenni paonazza.
-         Ciao, ti serve aiuto? –
La voce era grave e carezzevole e non me l’aspettavo da un ragazzo tanto giovane. L’accento del posto era marcato, quindi doveva trattarsi di un ragazzo che viveva lì.
 Gli sorrisi sinceramente.
-         In realtà, sì! – Mi avvicinai mettendomi di fronte a lui. Aveva qualcosa di familiare.
-         Chiedi pure, sono tutto tuo. – Era disarmante, non era malizia la sua. O almeno non sembrava a me.
-         Volevo portarmi a casa quelle pietre magiche che avete appese al soffitto, ma non le trovo da nessuna parte. –
-         E’ così, hai detto bene, sono magiche. Quando quella melodia entra nella tua casa,  la tua vita cambia. – Si sollevò rivelando la sua notevole altezza. Gesticolava con le mani e non potei fare a meno di notare quanto fossero grandi e gentili.
-         Bene. - Dissi piano, ma lui sentì ugualmente.
-         Non le troverai perché sono terminate, sono l’articolo più venduto di tutto il negozio. – Lesse sul mio viso la delusione e riprese a parlare.
-         Ma se proprio ci tieni…- aspettò che lo implorassi con gli occhi – potrei staccare una di quelle che sono sopra di noi, ma dovrai aspettare domani, ora non ho tempo come vedi. –
-         E’ perfetto, grazie, sei molto gentile. Devo tornare domani? –
-         Posso consegnarlo anche a casa tua se mi dici dove alloggi. –
-         Sono in una villa qui sulla strada…- Mi resi conto di non saperglielo spiegare, ma pensai che Lia potesse farlo e la cercai con gli occhi.
-         Puoi aspettare un momento? Torno subito. – E tornai al bancone dove Lia aveva terminato di fare le compere. Stava raccogliendo i manici delle borse e mi offrii subito di darle una mano.
-         Lia, mi devi aiutare. –
-         Certo, dimmi tutto. – Si caricava le borse come fossero piene soltanto di patatine, mentre invece il loro peso rischiava di spaccarmi la schiena. Ero decisamente  fuori allenamento. Me ne feci un appunto mentale.
-         Devi dire a quel ragazzo lì, dove si trova la villa. Mi deve consegnare le pietre magiche che fanno “dlin dlon”. Le voglio! – Le feci cenno dove guardare e subito si aprì in un sorriso enorme.
Si incamminò verso di lui parlando ad alta voce.
-         Make, tesoroo. Ti stai divertendo ad infastidire le signore? Guarda che lo dico a tua madre. Anzi meglio di no – aggiunse sottovoce – o le prenderebbe un colpo.
-         Lia ciao. Mi hai beccato! Che ci fai qui? Nostalgia del vecchio lavoro? Non pensarti di tornare perché ormai è mio. –
-         Non ci penso nemmeno giovanotto. Sto bene dove sto, tesoro. –
Mi sentivo esclusa, ma rimasi a gustarmi il quadretto.
-         Ho sentito che devi fare una consegna. Beh te la ricordi la villa dei McFly? Quella spettacolare alla fine della baia?-
-         Certo che la ricordo, è la più bella della costa. –
-         Ebbene noi siamo lì. –
-         Noi? –
-         Si, io lavoro lì e tu sarai il benvenuto. – si girò verso di me – Non è vero Isabella?-
-         Certamente. Quando vuoi. – Mi piaceva questa cosa.
Aspettarsi delle visite sembrava un evento straordinario, mentre in realtà sarebbe dovuto essere la normalità. Uscire di casa mi aveva allargato il cuore e sentivo di doverlo proporre anche ad Edward. Ormai era giunto il momento di farlo. Poi ricordai la chiamata di James e l’anima mi si dipinse di nero.
-         Allora domani pomeriggio, dopo il lavoro, verrò laggiù. – Mi porse la mano e io la presi tra le mie.
-         Felice di conoscerti Isabella. A domani. Ora devo andare o mi licenziano. –
Gli sorrisi. – Ciao. – Gli dissi lasciandola scivolare via. Era simpatico.
Tornammo barcollanti al furgone, cariche di ogni sorta di cibarie e, una volta riposte nel bagagliaio, riprendemmo la via del ritorno. Ci fermammo un istante per raccogliere Giovanni e il suo cane scodinzolante e in meno di un’ora, come promesso,  eravamo di ritorno.
Mentre Lia preparava la torta di mele tornai al molo e rimasi in attesa del ritorno di Edward. Mi sedetti sulla panchina accorgendomi che il mio telefono era rimasto lì, dimenticato da prima. Lo afferrai e lessi il display.
Tre chiamate senza risposta.
Lo spensi lasciandolo dov’era.

6 commenti:

  1. Mi mancava davvero la tua storia che è sempre un piacere leggere ,ciao e alla prossima .

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  2. Sono felice che tu abbia ripreso a scrivere perché sei davvero brava!

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  3. Fra mi sei mancata tantissimo
    tu nn scrivi storia ma poesie, sei di una dolcezza incredibile
    leggo e i miei occhi vedevano la barca allontanarsi e bella sul molo
    sentivo i suoni nel negozio questo e quello che sento quando leggo le tue storie!!
    alla prossima donna!!

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  4. Ecco, spero che questo commento non vada perso come gli altri due che avevo lasciato.. SGRUNT.... comunque come ti spiegavo in MP ieri, questa non è una ff.... forse è nata come tale, ma non lo è più.... anzi non lo è mai stata..... perchè non ne ha l'aspetto,, perchè questa è una storia completa, e questo capitolo ne è una ulteriore conferma.
    Tutte le tue descrizioni, le ambientazioni, è vero che si sentono suoni ed odori anche..... si percorrono strade, melodie, luci.

    Vedo e sento tutto.

    Questo è quello che provo normalmente quando leggo un bel LIBRO.....

    E' una storia molto bella la tua, di perdono, di riconciliazione, di accettazione..... e anche di abbandono....ci sono molte concretezze nelle ambientazioni che descrivi, è la scenografia dei sentimenti.

    E questo mi piace, ti contraddistingue da tutto......


    Ora basta. Bacio

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  5. Bentornata!!
    Sono d'accordo con Andrè! è come leggere un bel libro. Scorrevole, descrittivo, emozionale. Si sente tutto!
    Attendo il ritorno di Edward e quelle telefonate sospese purtroppo mi riempiono di angoscia!!

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  6. finalmente sei tornata... mi mancava la tua storia, non posso che essere d'accordo con le ragazze qui sopra, leggere le tue storie è vivere le tue storie, perchè tu riesci a coinvolgerci tanto che noi siamo lì sul molo a salutare Edward, oppure sentiamo il suono delle pietre appese al soffitto del negozio. Non tutti i libri riescono a coinvolgermi come sai fare tu, il tuo è un dono stupendo, non mi stancherò mai di dirtelo!!!!
    Continua a scrivereeeeeeeeeeee

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