Capitolo 34 –
Edward
La stanza riservata alle terapie era
ampiamente attrezzata con ogni genere di apparecchiature all’avanguardia.
Jasper in questo non si era risparmiato e senza spostarmi da lì potevo
usufruire della migliore assistenza sulla piazza.
Per il massaggio era stato creato un angolo
raccolto, tenuto a temperatura costante, dove, oltre a tutto l’occorrente per
il terapeuta, c’erano anche alcuni dei più sofisticati sistemi automatizzati che
permettevano al paziente di gestirsi da solo. Nei primi mesi mi erano stati di
grande sostegno, non soltanto fisico, ma soprattutto psicologico perché dopo tanto
tempo di dipendenza da altri potevo finalmente muovermi in modo autonomo. Rose
era sempre il mio punto fermo, senza di lei mi sarei sentito perso e, almeno in
questo, dovevo dare ragione a Jasper per aver insistito che si trasferisse con
noi al lago. Le dovevo tantissimo e volevo trovare il modo di ripagare tutto
l’affetto, il tempo, il sostegno e la pazienza oltre alla innegabile competenza
con la quale si era dedicata a me. Oltretutto aveva dovuto subire l’avversione
che Isabella aveva avuto per lei fin dal primo momento che l’aveva vista
all’ospedale, accanto al mio letto, a curare le ferite di quello stesso uomo con
il quale la sera prima aveva fatto l’amore e infiniti progetti.
Non si era più parlato del nostro futuro.
Da quando Isabella ed io eravamo a Tahoe
sembrava che soltanto il presente importasse.
Ci eravamo chiusi come in una bolla
trasparente oltre la quale tutto il resto non contava e guardavamo, stretti uno
all’altra, lo scorrere delle immagini al di là di quel velo protettivo come se
non ci riguardassero. Non mi ero reso conto di niente finché Bob non mi aveva
fatto notare la cosa e inevitabilmente avevo riaperto gli occhi.
Ora mi importava.
Ora era tempo di tornare tra la gente.
Non significava andarsene da Tahoe, ma
soltanto aprire le porte al mondo che viveva lì fuori…e non soltanto.
Erano molti i desideri che volevo
soddisfare.
Da alcuni giorni, ad esempio, mi era tornata
la voglia di scrivere e nei ritagli pomeridiani ero riuscito a buttare giù una
bozza per un nuovo libro, la cui storia esulava un po’ dalle trame che ero
solito pubblicare.
Rischiare di morire cambia la visione della
vita stessa e probabilmente, leggendo quello che avrei pubblicato in futuro, la
cosa sarebbe emersa in modo evidente. Sperai che le mie fedeli lettrici ne avrebbero
compreso la ragione.
La mia rinascita stava avvenendo in modo
insospettabile e a parer mio sorprendente ed esserne stupito era altamente eccitante.
Avere una gran voglia di fare di tutto mi esaltava e non vedevo l’ora di
cominciare.
Rose stava preparando l’unguento per il
massaggio ed io la osservavo in silenzio, cercando di non distrarla. Il profumo
intenso degli oli miscelati era familiare e il benessere che infondeva
riguardava sia mente che corpo. Rilassava e aiutava lo spirito a librarsi.
Mi sistemai sul lettino a pancia in su e
attesi paziente di sentire le sue mani darmi sollievo.
-
Allora
Edward dimmi, hai fatto qualche strano movimento per sentirti così? – Mi
parlava con calma, la voce bassa e modulata. Molto professionale.
-
Un
tuffo dalla barca. Ci crederesti? Io che faccio una cosa del genere? Bob, lo
skipper, mi ha costretto a gettarmi in acqua minacciandomi non ti dico come. –
Si mise a ridere. Un breve momento di leggerezza che durò il tempo di un
sospiro.
-
Vita
spericolata quindi?! Ti stai dando alla pazza gioia.- Le sue labbra ancora
sorridevano, ma gli occhi erano nuovamente bui.
-
Con
quell’uomo c’è da aspettarsi di tutto, ma mi sono divertito e non sai quanto.
Ohh…quel punto mi fa male da morire. –
Scivolava lenta le dita sulle fasce
muscolari delle gambe. Partiva dalla caviglia e lentamente risaliva fino
all’inguine. Continuò il movimento aumentando la pressione nei punti dolenti.
Chiusi gli occhi e mi abbandonai alle sue mani esperte. Pochi passaggi e già mi
sentivo meglio. Lei taceva.
-
Mi
dispiace averti disturbata di domenica. Non potevo farne a meno, credimi, o non
l’avrei fatto. Avevi altri programmi? –
-
Certo,
come no. Stare stesa sul lettino del portico a leggere. Davvero un programmino
esaltante. – L’ironia era rattristata dal sospiro che ne seguì.
-
Posso
chiederti perché non esci mai? Credevo che qui vicino abitasse la tua famiglia.
– Si irrigidì, ma cercò di nasconderlo.
-
Sì,
è così. –
-
E
non hai voglia di vederli?- Deglutì e prese fiato.
-
Certo
che li vorrei vedere. – Fermò le mani e guardò a terra, indecisa se
continuare a parlare o meno.
Appariva stanca. La vecchia Rose di San
Francisco sembrava non esistere più. La donna impeccabile e sempre curata si
era trasformata in un cucciolo arruffato. Gli occhiali neri le scendevano sul
naso ed era costretta a rimetterli a posto col dorso della mano unta.
-
Ma?
– La invitai a continuare quel che stava dicendo.
-
Edward,
sono loro a non voler vedere me. – Sembrò fredda, distante e riprese paziente a
scivolare le dita.
-
Non
ci credo. – Ero sorpreso e non volli cedere. Volevo sapere di più. Volevo
capire cosa la turbasse. Sollevai la testa per guardarla.
-
E
invece… è così! - Glaciale, come soltanto lei sapeva essere.
-
Dai,
non è possibile. Perché mai non vorrebbero vederti? – Il tocco divenne veloce e
pesante più del dovuto. Si era innervosita.
-
Perché
non sono gradita. Sono anni che non vedo i miei. – Gli occhiali scesero
nuovamente sul naso e lei li ricacciò al loro posto con un gesto di stizza.
-
Non
voglio farti stare male, sto solo cercando di capire come fare ad aiutarti. Sai
che ti voglio bene, vero? - Sospirò come
se avesse trattenuto il fiato fino a quel momento. Sembrò piegarsi su se
stessa, come un palloncino che si sgonfia.
-
Almeno
qualcuno me ne vuole. – Ironizzò cercando di sembrare divertente, ma il tremore
della sua voce la tradiva e, pur sapendo di rischiare di farla arrabbiare,
incalzai.
-
Ti
devo la mia vita Rose, sai bene che te ne voglio. Sei un tesoro, non vedo come
si possa non amarti. – Nessuna malizia, solo affetto sincero nelle mie parole.
-
E
invece si può. –
-
Oh
andiamo…nemmeno i tuoi fratelli? Ne hai qualcuno? – Mi guardò strabuzzando gli
occhi.
-
Perché
mi guardi così? Non so niente di te, non racconti mai nulla, mentre tu della
mia vita conosci praticamente ogni dettaglio… anche il più intimo. Sei
ingiusta. –
Il mio tono era amichevole, cercavo di far leva
su questo nostro legame speciale e dall’espressione che vidi sul suo viso
sembrò funzionare.
-
Ho
un fratello, ok? Contento? Non vedo come
questo possa interessarti visto che non partecipo alla sua vita da anni. – L’ombra
scura che da mesi la copriva sembrò lasciar intravedere uno spiraglio di luce,
ma subito dopo si richiuse, nascondendola nel buio più totale.
-
Da
quanto tempo?- Non le davo pace.
Afferrò l’asciugamano che avevo sul ventre
spostandolo sopra le gambe. Faceva caldo per lei e un velo di sudore le
imperlava il volto. Si tolse la giacca di lana e rimase con la sola maglietta. Non usava più il grembiule bianco
come un tempo. Le abitudini erano cambiate per entrambi e mi accorsi che anche
il nostro rapporto di fiducia e complicità si era modificato.
A volte mi sembrava un’altra persona.
Forse perché anch’io, senza accorgermene, ero
diventato un altro.
-
Da
otto anni. – Gli occhi le luccicavano, ma seppe trattenersi e continuare il suo
lavoro. Era sopra di me che lisciava la muscolatura addominale e pettorale. Non
mi guardava e la ruga sulla fronte evidenziava il suo stato d’animo ferito e
confuso.
-
Rose…-
Le afferrai i polsi e li trattenni cercando di fare in modo che mi guardasse.
Non voleva, ma lo fece ugualmente. In quegli splendidi e profondi occhi blu potevo leggere tutto il suo
dolore e mi sentii scosso. Aveva bisogno di un amico. Era sola. Non potevo
lasciare che soffrisse. Lei non mi aveva permesso di crollare ed io avrei fatto
lo stesso in cambio.
-
Non
posso parlarne Edward…è troppo…- La fermai.
-
Troppo
cosa?! Sono qui Rose. Parlane, sfogati. Ti stai distruggendo e non posso
permetterlo. –
-
Mi
fa troppo male…non posso farlo. Scusa. –
-
Non
ti fidi di me? Ti ho forse deluso in qualcosa? Dai dimmelo! Vedrò di rimediare.
– Le lasciai i polsi e le sue mani tornarono a posarsi sul mio petto. Riprese a
massaggiare delicatamente, con impegno. Le lasciai il tempo per pensare, ma
sembrò ignorarmi. Girò intorno al lettino e si mise dietro la mia testa per
terminare quel che aveva cominciato. Poi riprese a parlare.
-
Non
dire stupidaggini. Sei un uomo buono, uno dei pochi che conosco e mi fido di te
più di qualsiasi altro. Solo preferisco non parlarne. – Mi guardava a rovescio
e dolcemente mi sfiorò il viso con le dita. Poi mi schiaffeggiò per gioco,
chiedendomi di girarmi. Cercai di farlo, ma sollevandomi fui colto di sorpresa
da una fitta alla schiena e quasi caddi dal lettino. Lei mi sorresse,
aiutandomi poi a girarmi. Soliti movimenti, fatti e rifatti molte volte in passato.
C’era una storia alle nostre spalle, un vissuto che ci legava e che non sarebbe
mai stato dimenticato, né da me, né da lei. La guardai negli occhi quando mi fu
vicina e invece di stendermi mi sedetti sul lettino. Le afferrai le dita delle
mani con delicatezza. Lei non seppe trattenersi e cominciò a piangere in silenzio.
-
Non
fare così…voglio farti stare meglio, non
vederti piangere. – Le sussurrai.
-
Lascia
stare, non è colpa tua. Mi basta una
sciocchezza e piango come una bambina. Non ne posso più. – Vinta e distrutta si
lasciò andare senza più maschere, rivelando ciò che nascondeva.
-
Non
puoi capire Edward lo strazio che provo…loro sono lì…io sono qui…e non posso
vederli…non...non so nemmeno cosa sto dicendo. Lascia perdere, è un gran
casino. -
La sua fragilità mi
commosse e mi resi conto della solitudine che doveva aver provato per tutto
quel tempo. Tolse gli occhiali e li mise accanto alla giacca, ben riposti,
nell’ordine maniacale in cui era abituata a gestire quel posto. Volevo
confortarla, ma non sapevo come fare.
-
Non
voglio lasciar perdere. Con me non l’hai fatto e ora è il mio turno di aiutare
te. –
-
Non
c’è niente che tu possa fare, credimi. Mia madre mi odia e a mio
padre…figurati… non glien’è mai fregato niente di me. Mio fratello era poco più
di un ragazzo quando mi ha vista l’ultima volta e non so nemmeno se lo riconoscerei incontrandolo
per strada. Capisci? Gli ho parlato al telefono qualche volta, è un bravo
ragazzo, ma più di questo non ho avuto da loro. Chissà se si ricorda ancora di
me…non so più niente e ho paura di scoprire di aver perso anche lui. – Piangeva
a dirotto. Ma non riuscivo a comprendere il motivo di questo abbandono da parte
della sua famiglia. C’era qualcosa che non sapevo o che Rose non voleva dirmi.
-
Si
può sapere che cosa è successo? Che motivo hanno per farti questo?-
-
Niente.
– Secca, decisa. Si asciugò le guance bagnate con le dita.
-
Come
niente, non…-
-
Basta!
Non ne voglio parlare più …ti prego. – Mi fissò torva per farmi comprendere che
la discussione era chiusa. Non volli infierire.
Qualcosa avevo
scoperto e magari in un altro momento mi avrebbe confessato il resto, ma per
ora mi dovevo accontentare.
-
Girati
che non ho finito. – Mi aiutò a stendermi.
-
Certo,
certo. Agli ordini capo. – Le sfuggì un sorrisino e ammiccai sorridendo a mia
volta.
Passarono alcuni
minuti senza che nessuno dicesse nulla. La musica di sottofondo sembrava
accompagnare i nostri pensieri e lasciammo che li cullasse per sopire le ansie,
le paure e le preoccupazioni che ognuno a proprio modo deve sopportare ogni
giorno. Lente e rassicuranti le sue mani scioglievano le tensioni che mi
avevano tenuto sveglio durante la notte e gliene fui grato. Mi aiutava sempre a
stare bene. E sapevo che non era stato facile in tutti quei mesi sopportare i
miei sbalzi d’umore, le mie angosce, i miei scatti d’ira. Sempre presente Rose
era stata l’unico mio punto di riferimento.
Terminato il
massaggio mi accarezzò i capelli, come faceva sempre e abbassò la testa sussurrandomi
all’orecchio.
-
Grazie.
– Niente altro.
Mi coprì con la termocoperta sistemandola
in modo che il calore mi avvolgesse completamente e iniziò a sistemare le cose
intorno. Gli occhi socchiusi mi permisero di osservarla piegare l’asciugamano,
lavarsi le mani più volte, sistemare le boccette degli oli.
Movimenti sicuri, meccanici.
Rassettò ogni cosa silenziosamente, per
lasciarmi il tempo di un ultimo breve riposino.
Quando riaprii gli occhi era ancora lì.
Guardava l’infinito oltre la finestra opaca,
senza in realtà vedere nulla.
Non c’erano lacrime sul suo viso , ma era
come se tutto il suo corpo fosse un lamento trattenuto. Era un immenso dolore
quello che stava tenendo dentro e mi ferì profondamente vederla così, incapace
di difendersi.
Mi sollevai lentamente e accorgendosene si
voltò a guardarmi.
Iniziai a rivestirmi, pochi movimenti e fui
pronto.
-
Come
ti senti ora? – Ancora si preoccupava per me.
-
Bene.
Mi sento un altro. Grazie Rose. – Mi avvicinai.
-
Sono
contenta. Allora posso tornare al mio libro? –
Da quando mi ero rimesso in piedi dopo
l’incidente, mi ero accorto di quanto fosse alta rispetto alla media. Non
resistetti a quegli occhi sofferenti. Le afferrai la mano, attirandola verso di
me.
-
Vieni
qui. –
L’abbracciai tenendola stretta e dopo un
istante di rigidità si lasciò andare poggiando il capo sulla mia spalla. Non
dissi nulla, perché in quell’abbraccio c’era tutto quello che volevo sapesse da
me. Che ero suo amico, che poteva contare sul mio appoggio e soprattutto che le
volevo bene.
La lasciai accarezzandole il volto.
-
Andiamo.
–
-
Ok.
- Afferrò la sua giacca, si sistemò i capelli, infilò i suoi spessi occhiali
neri e si lisciò i pantaloni. L’abitudine aveva avuto la meglio.
Mentre ci
incamminavamo alla porta cercai di alleggerire l’atmosfera.
-
Non
ti sento più addosso il profumo che usavi a casa. Cos’era…Cloè vero? Non ti
piace più?-
Le aprii la porta e le feci cenno di
passare per prima.
Sembrava molto più calma e rilassata.
Forse ero riuscito a fare anch’io qualcosa
per lei.
-
Come
fai a ricordarlo? Sì, era quello. – Era sorpresa.
-
Beh?
–
-
L’ho
finito. Ecco perché non lo senti più. E mi manca da morire. – Rideva, un po’
impacciata, ma ne fui felice.
-
Peccato.
Bisognerà rimediare. – Le sorrisi di rimando e tra noi ci fu un muto accordo di
complicità.
-
Edward,
vieni. – La voce di Isabella mi raggiunse dalla veranda.
Il cielo sembrava
mostrare qualche spiraglio di cielo e alcuni raggi più coraggiosi proiettavano
il loro bagliore attraverso i vetri del salone. Granelli indistinti di
pulviscolo galleggiavano in quella spada di luce e per gioco vi soffiai contro,
creando un vortice che li sconvolse. Rose fece lo stesso.
Ridendo uscimmo
sotto il portico, trovando Isabella in compagnia di un ragazzo che non avevo
mai visto e che mi incuriosì.
Accorgendosi di un
ospite Rose dirottò i suoi passi, scendendo la scaletta di fronte al
porticciolo, anziché prendere quella che l’avrebbe condotta direttamente al
cottage. La lasciai andare, salutandola con la mano. Mi sorrise e riprese il
passo. Procedeva lenta e senza fretta, guardandosi intorno lungo il viottolo
che conduceva alla riva del lago. Rivolgendomi agli altri mi accorsi che il
ragazzo la stava guardando con insistenza. Isabella gli parlava, ma lui
sembrava non ascoltarla più. Seguiva i movimenti di Rose senza staccarle gli
occhi di dosso. Mi avvicinai notando che i tratti del volto avevano qualcosa di
familiare e intanto Isabella mi mostrava uno strano aggeggio che aveva in mano
e che scuotendolo produceva un dolce suono.
-
Guarda
che meraviglia? Mike è stato tanto gentile da portarmelo dall’emporio. Ti
piace? –
-
Si…
si, certo! – Le risposi distrattamente, continuando ad osservare la scena.
-
Chi
è quella ragazza? – La domanda di Mike arrivò candida, senza preavviso, diretta
e pulita. Non so perché mi sentii di dovergli rispondere.
-
E’
Rosalie Hale, la conosci? – Isabella strabuzzò gli occhi guardandomi di
traverso. Lui sembrò illuminarsi e lasciandoci a bocca aperta corse verso di
lei chiamandola a voce alta.
-
Lilly…
- Rose si fermò di colpo impallidendo. Non era ancora lontana e la potevo
vedere bene in viso. Si era girata verso il ragazzo, ma non si era mossa di lì.
Quando le fu accanto si portò le mani alla bocca e lui la prese fra le braccia
facendola girare in aria senza tante cerimonie. Era enorme e Rose sembrò
sparire in quell’abbraccio affettuoso.
-
Perché
la sta abbracciando? – Isabella sembrava infastidita e sorpresa insieme.
Chiedeva a me qualcosa che non potevo certo sapere, ma che leggendo negli occhi
di Rose sapevo essere una cosa buona. Piangeva stringendolo forte a sé e lui le
parlava senza fermarsi e baciandola sulle guance bagnate. Tremava dall’emozione
e non riuscii a trattenere un sorriso condividendo la sua gioia. Non sentivamo
quel che si stavano dicendo, ma vedendoli uno accanto all’altra compresi subito
chi fosse. Rose si voltò verso di me urlando.
-
E’
lui. – E le alzai il pollice sorridendo.
-
Ma
lui chi? – Isabella era ignara di tutto e non riusciva a capirci nulla.
-
Insomma,
vuoi dirmi che succede? – Mi tirava la manica della felpa come una bambina
cocciuta.
-
E’
suo fratello. – Feci una pausa osservando la sua sorpresa. – Il fratello che
non vedeva da anni. –
-
Oh…e
sua sorella? – Fui io quello sorpreso ora.
-
Di
che parli? – Sembrò pentirsi di quello che aveva detto e volse gli occhi
altrove, fingendo indifferenza.
-
Niente…niente.
Dicevo così per dire. – Deglutì a disagio e me ne accorsi. Poi continuò.
-
Certo
che è una donna piena di sorprese Rose eh? Non finisce mai di stupirmi. - Cercava
di defilarsi dall’affermazione di poco prima e lasciai perdere.
Guardavo la mia amica finalmente sorridere
e ne fui felice.
Mike la prese per mano trascinandola da
noi. Rose era stravolta, i capelli si erano sciolti e le danzavano intorno,
sollevati dal vento leggero che arrivava dalle acque del lago. Non riusciva a
smettere di guardare il fratello ed era radiosa.
-
Scusate,
ma è stata una sorpresa meravigliosa. Chi poteva immaginare che avrei trovato
qui mia sorella. – L’abbracciò baciandole i capelli e lei rise.
-
Avrete
molte cose da raccontarvi allora. Ora che vi guardo bene vi somigliate molto. –
Tenevo stretta Isabella a fianco a me.
-
E’
bellissimo vero? – Rose squillava come le campane a festa, era una meraviglia
da guardare.
-
Come
te Lilly. – Mike era limpido e genuino. Una folata di freschezza.
-
Lilly?
– Isabella era sempre più stupefatta.
-
L’ho
sempre chiamata così…solo io, perché da piccolo non riuscivo a pronunciare il
suo nome. Ti ricordi? – Disse infine rivolgendosi a Rose.
-
Sì
Mike, come potrei dimenticare. – E per un momento gli occhi si velarono
nuovamente di tristezza. Mike se ne accorse e la strinse forte.
-
Immagino
abbiate un sacco di cose da raccontarvi. Perché non rimani qui alla villa, Mike?
–
-
Volentieri,
ne sarei felice. –
-
Oggi
è domenica e Rose è libera, anche se stamattina l’ho buttata giù dal letto
perché avevo bisogno di lei. Tua sorella è un fenomeno come fisioterapista, lo
sapevi? –
-
Ne
sono certo. Lei è brava in tutto. Lo è sempre stata. – La accarezzava con
dolcezza e amore e lei si stringeva aggrappandosi a lui come a un’ancora di
salvezza.
-
Volete
pranzare con noi?- Isabella intervenne più per far parte della discussione che
per un sincero interesse. Era palese quanto detestasse la vicinanza di Rose, ma
non sapendo che dire fu l’unica cosa che le venne in mente.
-
La
ringrazio, ma preferirei rimanere un po’ da sola con mio fratello. Non ti
dispiace vero Mike? – Disse poi rivolgendosi a lui.
-
Ci
potremmo vedere più tardi. Magari usciamo tutti a bere qualcosa in paese.
Conosco un sacco di posti carini. – Il ragazzo era pieno di sano entusiasmo e
Isabella mi guardò non sapendo che rispondere. Le venni incontro intervenendo
io stesso.
-
Aspettiamo
ospiti per stasera. Mio fratello e sua moglie ci raggiungono per qualche
giorno. Perché non vi unite a noi? – Li vidi in imbarazzo.
-
Non
c’è fretta – continuai – decidete con calma, ci sentiamo più tardi magari. Non
preoccupatevi per questo. Siamo in vacanza no? –
-
Grazie
Edward. – Rose rispose per lui.
-
Allora
a più tardi. Ciao Isabella. – Mike era davvero simpatico.
-
Ciao.
– Isabella sembrava disturbata dalla novità.
Mike si congedò salutando entrambi con la
mano e trascinando sua sorella via con sé. Il loro chiacchiericcio vivace li
seguì fino al cottage di Rose, dove scomparvero ridendo.