domenica 21 giugno 2015

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domenica 11 agosto 2013

Capitolo 36

Capitolo 36 - Isabella


Non potevo credere che quelle parole uscissero dalla bocca di Edward. Non riuscivo a pensare, né a muovermi. Guardavo la sua bocca sillabare e di tanto in tanto perdevo il filo del discorso come se la corrente mi venisse tolta dal cervello. Ma cosa stava dicendo? Perché mi aveva trascinata in quel discorso così doloroso? Tutto ciò che desideravo era dimenticare quel lato malsano di me col quale avevo combattuto troppe volte, gettarlo alle mie spalle come un brutto ricordo, lasciare che svanisse nella nebbia fitta delle retrovie della mente e invece ora Edward me lo stava sbattendo in faccia con una leggerezza che mi faceva male. Giorni, mesi, anni, forse la vita intera non sarebbe bastata a pulirmi da quell’immonda sporcizia che mi sentivo spalmata addosso come mastice. E lui l’aveva chiamata come? Esigenza terapeutica notturna. Ero basita, sconcertata, schiacciata, sudicia tanto da faticare a respirare. Non ne avevamo più parlato e speravo che volesse dimenticare tutto,  così come stavo tentando di fare io, ma evidentemente non ero stata attenta e non avevo colto i segni di un rancore di cui non lo credevo capace. Non riuscivo ad ascoltarlo. Riuscivo solo a sentire quelle tre parole che sbattevano nella mia testa come palline di un flipper in cerca di punteggio.
Esigenza terapeutica notturna.
Le successive giustificazioni mi suonarono false, ma cercai ugualmente di metterle in bell’ordine sul selciato della mia sofferenza, per esaminarle poi con calma.
Ma quale calma. Erano urla quelle che echeggiavano dentro di me.
Avevo temuto di poterlo ferire dicendogli del mio rientro inaspettato al lavoro, mi ero immaginata reazioni irrimediabili, mentre lui non sembrava curarsi del fatto di ferire me, gettandomi addosso lo squallore della mia debolezza morale.
Forse me lo meritavo.
Certo che lo meritavo.
Doveva accadere prima o poi.
Speravo non sarebbe successo mai, ma era una concessione alla quale non potevo aspirare.
Forse era meglio sentirlo dalla sua stessa voce quanto facesse schifo il mio indecente modo di affrontare la paura. Mi vergognai all’inverosimile di me stessa. Mi teneva abbracciata, cercando di consolare quella disperazione sorda che mi accompagnava sempre.
Sempre.
Nonostante la gioia di vivergli accanto avesse compensato di molto la mia disperazione,  quel fetido senso di colpa sedeva comodamente nel mio inconscio, silente, all’ombra dei ricordi più nascosti, tamburellando malevolmente le sue lunghe dita,  artigliate sui miei pensieri felici.
Sempre pronto a colpirmi.
Sempre in attesa di un accenno di cedimento per afferrarmi alla gola.
Era davvero soffocante trovarsi ad essere consapevole della sua pesante presenza.
Amavo Edward dal primo momento che avevo sentito la sua voce e sapevo quanto fosse stata dura la scalata per arrivare dove ora eravamo, quindi mi aggrappai alla consolante speranza che tutto quel suo rivangare il passato avesse un senso e, con lo stesso debole intento, alzai lo sguardo e gli confessai finalmente la mia partenza.
Lasciai che le parole scivolassero dalla mia bocca prima che potessero nascondersi nuovamente tra i pensieri. Nere lettere cucite di nuova speranza.
Edward mi aveva guardata allibito e muto, non se lo aspettava. Come poteva.
Nell’intimo fui quasi contenta di essere riuscita  a fermare quel suo fiume di parole amare. Non le volevo più sentire. Così ne aggiunsi io delle altre.
« Era soltanto di questo che ti volevo parlare. Niente altro. » La voce mi uscì atona, spenta quanto me.
Rimasi a fissarlo. Negli occhi suoi dolcissimi lessi l’evoluzione incontrollata delle emozioni che lo stavano attraversando.
Una lotta silenziosa tra delusione , sorpresa e ragione.

Delusione scuoteva la testa , sostenuta da una Ragione avveduta.
Sorpresa era attonita, in disparte, che stringeva le mani sulla bocca ancora spalancata.


Edward sospirò, accasciandosi subito dopo sui cuscini del divano. Un silenzio breve, ma sufficiente a privarmi dell’ossigeno intorno.
« Era questo che cercavi di nascondermi? Che ti ha resa così strana in questi giorni?» Il tono serio e controllato.
Mi ricordai di respirare.
« Si, credevo che la cosa ti avrebbe ferito. Non volevo mancare alla mia promessa.» Gli occhi di entrambi fuggivano girovagando per il salone. Pause ad effetto, per mascherare il comune disagio.
« Da quanto tempo lo sai?» Era pacato, pensieroso. Fissava il soffitto.
«Qualche giorno, pochi comunque.» Cosa volevo fare, rassicurarlo? Il pavimento sembrava galleggiare tra le lacrime trattenute.
«Perché mi hai fatto credere che fosse a causa di Rose allora? Forse non saremmo arrivati a tanto. Perché hai lasciato che dicessi quelle...» Lo interruppi urlando.
« Perché non credevo possibile che pensassi ancora a me in quel modo » un singhiozzo mi chiuse la gola e il resto fu solo un sussurro «ero certa volessi dimenticare. Ma è evidente che non è così. » Preoccupato si sollevò a guardarmi. La sua voce era dolce e confortante, ma le dita della colpa, annidata in me,  continuavano il loro gioco di potere dentro la mia testa, distraendomi col loro tamburellare. Contorcevo le mani quasi servisse a scacciare quel martellante rumore, ma non c’era modo di liberarsene.
«Ho perdonato già da tempo tutto quello che hai fatto per punirti, Isabella. Era per colpa mia, lo so, quindi sono l’ultima persona che abbia il diritto di giudicarti. Non mi importa più, credimi » cercò la mia mano, ma gliela negai « …ma dimenticare non posso, non ci riesco.»
«Ci hai provato?» Era una domanda cretina, chissà come mi era uscita.
« Fino allo sfinimento.»  Quelle parole furono soffiate via tra le labbra.
Si alzò stancamente e con pochi passi raggiunse la poltrona lasciandovisi cadere sopra. Metteva distanza tra noi. La cosa mi ferì e subito dopo mi indispettì. Lo avevo creduto fragile e invece così non era più ormai. La metà fragile della coppia ero io e prima di quel momento non me ne ero mai resa conto. Si pensa a volte di conoscere alla perfezione chi ci vive a fianco, ma ci si dimentica troppo spesso di sforzarsi di comprendere noi stessi. É molto più faticoso e difficile, così il nostro subconscio preferisce non farlo proprio.
« Mi dispiace che tu non ci sia riuscito. Davvero. Avrei preferito però che me ne avessi parlato prima di arrivare a questo.» E con la mano gli mostrai la stanza e noi, imbarazzati e delusi, amareggiati e nervosi, insieme, ma improvvisamente distanti.
« A questo? Cosa intendi? Il fatto di cercare di spiegarti di Rose e me? Ma se sei sempre stata acida con lei. Questo discorso andava comunque fatto. Sono stanco, solo per il quieto vivere, di tacere ogni volta che parli di lei in quel modo. Dobbiamo discutere eccome. Di questo e di molto altro. » Ero sconcertata. Gli avevo confessato di dovermene andare, ma era evidente che poco gli interessava. E io cretina che non  ci avevo dormito la notte.
« Mi sembra di capire che il fatto che me ne debba andare ti importi meno di quanto ti stia a cuore chiarire il tuo rapporto con Rose?»
«Non dire stupidaggini. Ancora non riesco a credere a quello che mi hai appena detto. Mi sento male solo a pensarlo.»
« Non mi sembra proprio.» Si voltò guardandomi storto e cercando di sfottermi.
« Che c’è, sei delusa che non mi stia disperando?»
« Forse un pochino. Ma tanto c’è la tua Rose qui con te, no? Di che altro hai bisogno.» Balzò in piedi urlando senza controllo.
«Ora basta!Credi che sia facile per me fingere che ora vada tutto bene? Sto impazzendo all’idea di dovermi separare da te e ancora insisti ad attaccare Rose? Ma cosa ti dice in cervello. Se la gelosia ti rode fino a questo punto pensa a cosa dovrei fare io. A questo hai pensato? Sai quanti rospi ho ingoiato per convincermi che non fosse vero? Di più.»
« Beh parliamone allora, diciamo le cose come stanno. Cosa vuoi che faccia? Che mi metta in ginocchio? Che faccia penitenza per la vita?» Urlavo anch’io, senza volerlo, per contrastare la sua voce.
«No che non lo voglio.» Camminava avanti e indietro, stringendosi le dita fra i capelli, lasciandoli poi in aria spettinati, quasi a volersi strappare i pensieri dalla testa. Eravamo in piedi ora. Uno di fronte all’altra a poca distanza. Nervosi e incapaci di stare fermi.
« Sono stata una maledetta vigliacca e se non fosse che ti amo così tanto probabilmente avrei trovato il modo di farla finita del tutto. Ma non ne ho le palle capisci? Non riesco ad arrivare in fondo, perché il fondo per me non ha fine. Tu sei il mio inizio e la mia fine, quindi dimmelo tu cosa devo fare…e io lo farò. Ti giuro che lo farò. Ma non costringermi ancora a discutere di Rose perché ora non mi va proprio. Dovrò lasciarti qui solo con lei e odio anche solo l’idea che ancora una volta si debba sostituire a me. Volevo che almeno questo posto fosse solo nostro e per un momento lo avevo creduto possibile. Non voglio andare via di qui, lo vuoi capire?Ma devo farlo perché ho preso un impegno e sono costretta a rispettarlo. E ho paura. Paura che quando ti rivedrò qualcosa possa essere cambiato, che tu sia cambiato e questo non me lo potrei mai perdonare. Fanculo Rose. É a te che penso, pezzo d’idiota. Cosa farò se non mi vorrai più un’altra volta? Me lo dici?» Crollai miseramente, piangendo lacrime di un sapore che avevo dimenticato. Provavo dentro quell’angoscia già vissuta come se volesse riprendersi le mie viscere e tornare a torturarmi. Chiusi gli occhi voltandomi, non reggevo più il suo sguardo e sarei caduta in ginocchio se le braccia forti e amorevoli dell’uomo che amavo non  mi avessero avvolta stretta, sostenendomi da dietro. Non volevo più combattere. Non ne avevo più la forza. Tutto ciò che desideravo era un po’ di pace vicino al solo uomo che avesse davvero contato nella mia vita. Ci accasciammo a terra in ginocchio, stretti uno all’altra come edera e gelsomino.
« Non piangere cucciola, non lo sopporto. Fai stare male anche me.» Mi si stringeva contro, sussurrandomi  quelle parole sottovoce, come a cullarmi. E continuò. « Non ho mai desiderato che stessi lontano da me amore mio. Te lo giuro. » Sentivo il suo corpo aderire al mio come una coperta calda e la sensazione di benessere fu immediata. Il calore si propagava nel mio essere e il cuore si univa al suo cantando.
« Però lo hai fatto…ed è stato terribile.» Mi abbandonai su di lui.
« Lo è stato anche per me, ho creduto di impazzire.» La sua guancia sfiorava la mia e la carezza del suo fiato mi faceva rabbrividire.
« Sentirmi rifiutata mi ha annientata. Non sai cosa significhi tu per me, non lo immagini neppure o non avresti mai agito in quel  modo.»
« Lo sapevo molto bene invece ed è per questo che mi sembrava come di averti tradito. Non ero più lo stesso uomo che amavi così tanto. Ero come imprigionato in un corpo che mi era estraneo, non mi riconoscevo…e non ti volevo costringere a vivere con quel mezzo uomo che ero diventato. L’ho fatto per te.»
« Mi hai quasi ucciso.»
«Ero già morto senza di te.»
«Mi mancava l’aria.»
«Mi mancavi tu.»
«Ti amo così tanto Edward.»
«Mai quanto me.»
Mi afferrò con impeto costringendomi a voltarmi. Guidò le mie braccia intorno al proprio collo e allungandomi sul pavimento si prese ciò che gli apparteneva di diritto. Lo accolsi donandomi senza esitare. Vibravo sotto il suo corpo acceso e i colori e i profumi del sentimento che provai mi illuminarono dentro. Non era solo un bacio il suo, ma piuttosto una disperata dolcissima richiesta di incondizionato amore. Era innegabile l’alchimia che produceva il contatto della nostra pelle e il tempo non aveva scalfito questa magia che sempre si ripeteva mantenendosi intatta.
« Perdonami Edward»
« Non posso farlo.».
« Ti prego, io…» Mi agitai, ma subito mi interruppe premendo la mano sulle mie labbra ancora aperte.
«Non dire altro. » Un sussurro dolce, un ambrosia per la mia anima. «Non pregarmi. Ti ho perdonata molto tempo fa, anche se non te ne sei accorta. Non mi frega niente di quello che hai fatto, ora sei qui con me. Solo questo mi importa.» Scivolò le dita sulle mie labbra come se accarezzasse petali di rosa e rimase incantato ad osservare le curve disegnate di una bocca che non sapeva se sorridere o piangere.
«Ma io voglio dirti che…» Ancora mi impedì di continuare.
«Shh…ora devi ascoltare me. Non farmi arrabbiare.» Gli sfuggì un mezzo sorriso sghembo e subito il mio volto si illuminò tra le lacrime.
Come potevo pensare di allontanarmi da lì. Non mi era possibile rinunciare alle stupende sensazioni di sapermi accanto a lui.
I suoi occhi si addolcirono al punto da farmi provare dolore fisico e rimasi silenziosa ed obbediente, con il peso di lui a farmi sentire viva,  in attesa di ascoltare altre irripetibili dolci note della sua incredibile voce.
«Quello che deve chiedere perdono sono io. » Mi agitai per protestare, ma mi richiuse la bocca. « Non ci provare o finirò per sculacciarti. » Scherzò dolcissimo.
Mi lasciò andare continuando ad accarezzarmi il viso con una delicatezza da brividi. Si fece più serio e le rughe sulla sua fronte  iniziarono la loro deliziosa danza. «Non posso vivere senza te amore mio. L’incidente mi aveva rubato tutto quello che pensavo fosse importante, ma è stato soltanto quando mi hai detto che te ne saresti andata via che ho capito cosa fosse quella sensazione di vuoto orribile che non mi abbandonava mai. Quando ero solo, in quella casa che sentivo come una gabbia,  pensavo di esserne io la causa, oppure che dipendesse dalla situazione, che ritenevo disperata. Poi però, quando sei caduta nel bagno e ho trascorso la notte accanto a te e ti ho tenuto la mano… il giorno in cui ho potuto guardarti nuovamente negli occhi,  mi sono accorto di cosa fosse veramente quello che mi mancava. Nel tuo sguardo ho ritrovato me stesso. Mi sono riconosciuto. Ho finalmente rivisto l’uomo che avevi amato.» Immobile ascoltavo quella melodia. « Mi perdo se non posso guardarti Isabella. Io sono quello che tu vedi in me. Vivo riflesso nel tuo amore. Se non posso farlo, se non posso più guardarti, non so più chi sono. » Mi sfiorò con un bacio lieve. Appena accennato. Smisi di respirare.
« Guardami Isabella. E non smettere mai.» Mi sollevò come un fuscello alzandosi in piedi. Sapevo che lo sforzo gli costava fatica, ma sembrava non accorgersene. Le labbra umide e schiuse e quel bagliore nello sguardo mi confermarono che la stanza da letto era la sua meta. Non dissi nulla e lasciai che mi portasse dove aveva deciso. Niente mi avrebbe allontanato da Edward, nemmeno il mio fottutissimo lavoro.
La porta della camera era aperta e la luce penetrava a fatica tra gli spessi tendaggi che coprivano le finestre. Le lenzuola erano sfatte e profumavano ancora di noi. Mi depose delicatamente nel mezzo, lasciandomi poi per avvicinarsi alle finestre. Accostò la tenda più scura in modo da permettere alla luce di penetrare nella stanza. Un velo leggero rimase come unico filtro con la realtà lì fuori. Il cielo tuonava e, prima che mi raggiungesse nel letto , la pioggia cominciò a picchiettare sui vetri.
« Voglio guardarti.»
«Devo essere un mostro.»
« Sei bellissima amore mio. »
Non potevo staccare gli occhi dai suoi. Magnetico e incredibilmente bello non potevo credere fosse mio marito. Mai, negli anni vissuti insieme, mi aveva dato motivo di essere gelosa. Forse era per questo che, la presenza costante di una bella donna come Rose accanto, mi infastidiva così tanto. Era la sola che mai vi fosse stata. E non lo potevo sopportare. Soprattutto perché il suo apparire era combaciato col rifiuto secco che Edward aveva opposto alla mia persona. Ora però ero io che giacevo tra le sue braccia e non lei. Era me che baciava con quella devozione che mi toglieva il fiato…e non lei. Parlava di futuro, di un “ noi per sempre” …e mai con lei. Tutta la frustrazione che mi aveva drogata in quei mesi si dissolse e tenendolo stretto mi donai completamente.
«Voglio sentirti cucciola. Dimmi che mi vuoi.» Ero prigioniera della sua bocca e sentivo crescere la sofferenza ad ogni spinta che il suo corpo mi imponeva strusciandosi addosso ancora vestito.
Cercai di attirarlo a me per baciarlo, ma lui si ritrasse rimanendo però vicinissimo.
Sorrise sornione.
« Dimmelo, lo voglio sentire. Dai…» I capelli gli coprivano parte del volto.
«Ti prego Edward.» Volevo toccarlo.
«Dimmelo.» La bocca irrimediabilmente sexy.
«Sto impazzendo, io…»
«Dimmelo!» Le sue dita scivolavano dal viso sul collo, con leggerezza, insinuandosi curiose nelle pieghe delicate della mia pelle. Mugolai.
«Ti voglio amore mio. Ti vorrò sempre.»
« Era quello che volevo sentire…»si sollevò in ginocchio sopra di me sfilandosi la maglia e mostrandomi la sua figura splendidamente abbronzata e tonica «ma non è abbastanza. » Era particolarmente audace e mi sorpresi ad ammirarlo e a desiderarlo con più forza del solito. Quel suo mostrarsi un po’ rude mi eccitava e vedevo che eccitava anche lui. Non era mai successo che Edward mi imponesse qualcosa.
Afferrò i miei polsi guidando le mani sul suo petto. Il contatto della sua pelle calda e soffice mi provocò un gemito che si ripercosse in lui. Vibrò sotto le mie dita, cambiando subito espressione. Lo accarezzai seguendo un disegno immaginario e lui rabbrividì. L’eccitazione lo trasformava e i tratti prima dolci diventavano più decisi e voluttuosi. Le labbra assumevano una smorfia tanto erotica da sfinirmi al solo sfiorarla con gli occhi. Le bagnava passandovi la lingua, come volesse imprimersi il sapore delle mie che lo avevano baciato. E io lo guardavo.
Il mio uomo meraviglioso.
Unico, intenso, bellissimo e straordinario sotto ogni profilo. Il colore dei suoi occhi diventava più intenso e il verde dei boschi diveniva niente al suo pari.
Edward era la mia vita felice, il mio mondo perfetto e colmata dalla sua dolcezza mi sciolsi tra le sue braccia.


mercoledì 31 luglio 2013

capitolo 35

Capitolo 35 – Edward



Rientrammo in casa tenendoci per mano, ma conoscevo bene mia moglie  e sapevo che c’era qualcosa che non andava. Ci voleva sempre un po’ di tempo perché si decidesse ad gettare fuori quello che la tormentava e glielo concessi iniziando a parlare d’altro.
« C’è ancora un po’ di caffè caldo?» Le baciai la guancia rubandole un mezzo sorriso.
«Si certo, vieni di là. Ti va un po’ di torta?» Si diresse verso la cucina lasciandomi la mano.
« Perché no! Mi sento molto meglio ora e mi è venuta pure un po’ di fame in effetti. Ne prendi anche tu?»
«No, sono a posto. Ti faccio solo compagnia.»  La seguii lentamente, godendomi quella sua camminata così particolare.  Le scarpe volarono in un angolo e fu di nuovo a piedi nudi.
Quella donna meravigliosa era mia moglie.
Forse un po’ cocciuta, incoerente e testarda, ma l’amavo proprio così com’era. Lo sguardo sembrava assente, come se fosse lontana mille miglia col pensiero, ma per scoprire cosa esattamente la turbasse avremmo avuto tempo più tardi. Già immaginavo quello che avrebbe detto, ma non volevo essere io a tirar fuori l’argomento. L’avrei ascoltata e poi cercato di sistemare le cose insieme a lei, anche se a dire il vero cominciavo a stancarmi di quel suo atteggiamento contrariato.
Mi sedetti sullo sgabello davanti al bancone, appoggiando i gomiti sul piano  e godendomi lo spettacolo. Si muoveva leggera e quasi sempre in punta di piedi per raggiungere i ripiani più alti della cucina. La tuta aderiva alla sua figura lasciando intravedere le curve perfette del fondoschiena e delle gambe affusolate e la maglia di dimensioni ridotte non faceva altro che evidenziarne lo splendore.
Piccolina, ma fatta così bene. Mi piaceva da morire.
Una parte di me si risvegliò immediatamente e a quella reazione fisica spontanea ghignai, nascondendomi dietro le dita incrociate davanti al viso perché non mi vedesse. Distratta, sembrò non accorgersene.
Era stupendo riavere il controllo del mio corpo, mi dava forza e benessere anche interiore.
Ero sereno.
Mi sembrava di poter spaccare il mondo e di essere in grado poi di ricucirlo.
« Beh!? Credi che non ti abbia visto?» Ironizzò posandomi davanti la tazza fumante e il piattino con la torta di mele. Lei prese per sé un sorso d’acqua.
Afferrai la porzione fingendomi sorpreso di quella domanda e ne ficcai una buona dose in bocca. Poi le parlai farfugliando mentre masticavo.
«Visto cosa?» Continuavo a mangiare portandomi il cibo alla bocca con le mani, come un animale.
«Che mi stavi guardando il culo,  scemo. » Si finse offesa, ma quelle labbra arricciate mentivano.
«Ma non stavo guardando, io contemplavo.» Si mise a ridere e mi baciò le labbra impiastricciate allungandosi da dietro il bancone. Adoravo giocare con lei ed erano quelli i momenti nostri che, nei mesi trascorsi a rodermi l’anima in solitudine, mi erano mancati di più.
« Ah si? E ti pare carino?» Mi baciava aggrappandosi ai capelli. Era uno splendore.
« Che cosa, il tuo culetto? Molto più che carino, direi sexy da morire…e non fa che migliorare. Non so come tu faccia, ma la cosa mi fa impazzire.»
Intinsi il dito nel caffè, mentre la distraevo accarezzandola e guardandola negli occhi languido e poi glielo spalmai tra naso e bocca disegnandole i baffi. Gocce color del caramello le scesero tutto intorno alle labbra e scoppiò a ridere sputandomele in faccia.
« Ma che fai? Che schifooo.» Rideva e si dimenava.
Non mi diedi per vinto e, afferrandola mentre si ritraeva, le leccai la faccia con tutte le briciole ancora in bocca. Fuggì verso il salotto ed io la rincorsi gettandola riversa sul divano. La bloccai sotto di me. Lottammo senza convinzione e dopo qualche istante ero già perso tra le sue braccia… e pian piano le risa scemarono. La baciai lentamente, sfiorando quella pelle di velluto fino alla base del collo e ripulendo le curve del suo viso con le dita. Sospirava sotto il mio tocco e la cosa mi eccitò da morire. Scesi lentamente sulla sua pelle, cercandola.
« Edward…» Un sussurro appena percepibile, di resa.
Sentirle pronunciare il mio nome a quel modo era il più irresistibile degli afrodisiaci. Risvegliava ogni cellula del mio corpo e come colto da un’onda venivo spinto a prenderla, senza potermi opporre.
Lasciai che il desiderio crescesse, stringendola e afferrando le sue labbra tra le mie, quasi a farle male. Quanto tempo avevo trascorso a sognare di poterla tenere ancora così, a sperare che tornasse ad essere mia, a risentire quella voce roca e arrendevole, rimasta prigioniera nella mia testa, immersa per mesi nella nebbia dei ricordi più dolci vissuti insieme.
Ora era tutto vero.
Era qui.
L’afferrai stretta e avvolgendole il viso tra le mani la baciai ancora, più a fondo…fin quasi a cadervi dentro. Il sapore di noi era qualcosa di indescrivibile, un cocktail esplosivo che mi penetrava prendendo il sopravvento su tutto il resto. Assecondavo l’istinto che scioglieva ogni freno.
Isabella conosceva tutto di me ed io ogni cosa di lei.
Questo ci dava modo di sentirci liberi di essere noi stessi.
Quanti potevano affermare di godere dello stesso privilegio?
Mi staccai dalla sua bocca a fatica, per ammirarla.
I suoi occhi scuri luccicavano di desiderio, come perle d’ebano leccate dal sole, ma tradivano un’inquietudine che non le era usuale. Non di recente almeno. Le labbra arrossate e umide, socchiuse in attesa di riavermi nuovamente sopra di sé erano più sincere e cercai il contatto inseguendole ancora. La strinsi forte, ma non ebbi in risposta quel che mi aspettavo.
«Che ore sono?» La sua domanda mi sorprese. Sollevai le sopracciglia rispondendo vago a quella domanda ovvia.
«L’ora di pranzo…credo.» Scossi la testa come a chiederle cosa le importasse.
«Hai fame?» Si era irrigidita e non ne compresi il motivo.
Insisteva a distrarmi da quella bocca invitante…e non era da lei.
« Ma che ti importa Isabella, lo vedi benissimo di cosa ho fame, che ti prende adesso?» Abbassò gli occhi e sgusciò dalle mie braccia sedendosi diritta sul divano, accanto a me.
«Niente…»
Era silenziosa. Mi guardava ogni tanto, ma allontanava poi lo sguardo altrove,  posandolo sulle dita delle mani che continuava a contorcere in grembo.
« Ho fatto qualcosa che non va?» Insistevo a cercare i suoi occhi per capire cosa diavolo fosse accaduto. « Sono alcuni giorni che sei strana, lo sai?» Continuava a tacere. « Isabella guardami. » Il mio tono era tranquillo, volevo soltanto sapere cosa le girasse per la testa e non certo spaventarla.
Allungai la mano accarezzandole il braccio, ma mi scivolò sotto le dita alzandosi e dirigendosi lenta verso la parete a vetro.
Il cielo spumeggiava plumbeo sullo sfondo e sembrava che un altro temporale stesse per abbattersi sulla vallata. Il bagliore di un lampo me ne diede conferma, illuminando per un istante il profilo pallido di Isabella. Lei rimase immobile, per nulla spaventata, lasciando che quel flash le scivolasse oltre e si infrangesse nel nulla.
Mi sistemai meglio tra i cuscini del grande divano bianco e rimasi in attesa.
« Scusami tesoro. » Faticai a sentirla. Un sospiro. Il suo.
Abbassò la testa e la sagoma elegante del suo corpo si compose armonioso in atteggiamento contrito.
« Ma di cosa dovrei scusarti, dai vieni qui. » Tamburellavo la mano sul cuscino accanto a me richiamandola. «Ti prego, non sopporto di vederti così.»
Si avvicinò titubante, gettandosi poi vinta tra le mie braccia.
«Cosa ti preoccupa amore? Sai che a me puoi dire tutto, lo abbiamo sempre fatto. E’ vero o no?»
«Si è così, ma per questa cosa non so proprio da dove cominciare.»
« Facciamo …dall’inizio?» Sollevò gli occhi e vi lessi dolore. Cosa poteva essere successo di così grave da indurla a sentirsi a quel modo. Ancora tentennava e così provai a spronarla.
« Si tratta Rose?»
«No…si...forse, in parte, ma non solo. » Proprio non capivo.
«Dai non farti pregare, sputa il rospo. Sei lì che insisti a roderti per niente. Se hai qualcosa da chiedere fallo e basta. Che ci vuole. » Giocavo con una ciocca di capelli che le ricadeva sul volto, cercando i suoi occhi coi miei. Li sollevò restia e le sorrisi per tranquillizzarla. Niente di quel che poteva dirmi avrebbe cambiato le cose tra noi. Tutto ciò che avevo creduto di perdere era lì davanti a me e niente e nessuno me lo avrebbe più portato via, né  dagli occhi, né dal cuore. Intenderci, era un obbligo morale.
«Come facevi a sapere che Rosalie aveva un fratello?» Mi venne quasi da riderle in faccia pensando che la ragione di tanto malumore fosse questa.
«Me ne ha parlato proprio stamane durante la terapia. Ho dovuto estorcerlo con l’inganno in realtà, ma alla fine me l’ha confessato.» Risposi con calma in modo semplice, nascondendo in un sorriso il sollievo che provavo.
«Come mai non te ne ha parlato prima?» Indagava.
«Beh…è una situazione delicata la sua. Rose è molto riservata riguardo la sua vita privata e fino ad oggi ho sempre rispettato questa sua esigenza.»
«E cosa ti ha spinto a cambiare idea?» Insisteva.
«Il fatto che sia cambiata così tanto. Che sembri sempre sofferente. Da quando siamo qui al lago è divorata da qualcosa che continuava a sfuggirmi e stamattina ho forzato la mano per scoprire cosa fosse.»
«E ora lo sai?» La guardai per capire dove volesse arrivare.
«In realtà no. So soltanto che ha dei problemi con la famiglia e che non sapeva se il fratello le volesse parlare ancora o meno. La ragione di questa disputa familiare non la conosco, ma almeno ora sa che se ha bisogno di qualcuno per parlarne io ci sono. Credo le sarà di aiuto. O almeno lo spero.»
«Confortante.» Ironizzò con uno sberleffo. La cosa mi disturbò. Come poteva non arrivarci da sola?
«Voglio bene a Rose e quando avrà bisogno di conforto per lei ci sarò sempre.» Insistetti.
«Io non ti capisco…» Cercò di rialzarsi, ma la fermai afferrandole il braccio. Era tempo di chiarimenti.
«Lo so. Non puoi capire quanto mi senta in debito con lei. Non eri lì quando raccoglieva dal pavimento i cocci della mia vita che andava in frantumi. Che mi confortava anche se non facevo nulla per meritarlo. Che si prendeva carico di me, un uomo di cui non sapeva assolutamente nulla. E che per lei era solo un paziente come un altro.»
« Sei ingiusto.» Mi sfidò.
«Non è così! E lo sai bene. Senza di lei sarei crollato come una marionetta e forse ora non sarei qui. Sarei probabilmente morto. Dentro lo ero già dal giorno dell’incidente. Non te lo ricordi?»
«Ero lì, sono sempre stata lì con te. Ci ho provato almeno.» La sua sicurezza si stava sgualcendo come un fiore appassito dal tempo. Come petali stinti le sue ragioni scivolarono a terra lente, sostenute da un ultimo disperato alito di orgoglio.
«Ti sbagli Isabella. Mi ero perso io, così come ti eri persa tu. Abbiamo finto di continuare a vivere, ma eravamo solo dei patetici commedianti. Quello che è successo ormai non ha più importanza, almeno non per me, ma non nascondiamoci la verità, non ce n’è bisogno. Ci siamo dentro entrambi.»
«Perché tiri fuori questa storia proprio adesso?» Era spaventata. Non capiva.
«Perché prima o poi dovevamo farlo e visto che per te è così difficile giustificare quanto sia importante per me Rose, trovo giusto dirti quanto sia stato altrettanto difficile per me comprendere e accettare le tue …esigenze terapeutiche notturne.» Taceva ora. Il suo volto era sbiancato e si era allontanata di qualche metro da me. Non volevo arrivare a parlare di quello che tenevo sepolto nella mente, ma era tempo di liberarsi delle zavorre emotive per entrambi e se lei voleva continuare a farmi sentire in colpa per il sentimento di gratitudine che provavo nei confronti di Rose, era giusto che liberassi anche le mie di inquietudini e che la facessimo finita una volta per tutte. Volevo gettarmi tutto alle spalle e sentirmi finalmente libero dal passato.
«Non sono qui a giudicarti tesoro. Non sono stato un angelo nemmeno io. Se potessi rivivere tutto da capo non rifarei gli stessi stupidi errori. Sei sempre stata la persona più importante per me, eppure ti ho tenuta fuori dalla mia vita perché avevo paura che non avresti mai capito, che non mi avresti accettato.  Ho sbagliato. Ora lo so. Si fanno cose spiacevoli e a volte orribili, ma nessuno ha mai diritto di giudicare l’altro, nessuno! Posso comprendere la gelosia che hai provato quando hai trovato Rose e me in quella situazione imbarazzante, lì nel nostro appartamento,  non ero credibile lo so, ma hai mai pensato a cosa ho provato io ogni volta che mi ritrovavo solo in casa? Lunghe notti di silenzio e buio, sapendo che il casco della tua moto non era al suo posto e ancor più conoscendo bene quale ne fosse la ragione?! Sto cercando di non essere esplicito Isabella, ma è stata molto più dura per me. »
Attonita si era rannicchiata sul divano stringendosi addosso tutti i cuscini che trovava. C’erano emozioni e sensazioni che giacevano irrisolte nel profondo del mio essere e mi sentivo di non poterle più rificcare dov’erano. Non c’era più posto in me per quel carico di negatività. Era tempo di gettare via tutto e di ricominciare. Tanto valeva farlo tutto in una volta.
«Tesoro mio grande. In questi mesi trascorsi insieme io sono rinato e lo devo a te e al fatto di essere di nuovo insieme. Non so come sono riuscito a farlo, ma, desiderando il tuo amore più di ogni altra cosa al mondo, mi sono lasciato tutto alle spalle, perché voglio andare  avanti, costruire altri ricordi di noi due, qualcosa di speciale che non avrebbe senso se tu non ci fossi. Ho scelto te oltre ogni altra ragione…senza condizioni…senza preconcetti, solo perché ti amo.»
« Non ho mai voluto ferirti. » Lacrime mute le scendevano sul volto precipitando sulle sua labbra. Sapevo già quanto mi amasse e anche che quel comportamento libertino avvenuto in passato non era volto a ferire me, ma piuttosto se stessa. Autopunirsi era il suo modo di risolvere le paure, ma era tempo che anche questo cambiasse. Lo doveva a me…e soprattutto a se stessa. Cercai la sua mano, ma la ritrasse nascondendola sotto ai cuscini. Non mi lasciai intimidire e continuai.
«Conosco le tue ragioni e, sebbene ti possa sembrare il contrario, le ho accettate. Perché tu non puoi accettare le mie? Perché non capisci quanto sia stata importante Rose per me? Eppure non ti ha mai dato modo di dubitare di lei. A parte quell’episodio del bagno, che tra l’altro non è successo nulla, non ti ha mai dato nessun valido motivo per trattarla nel modo in cui fai tu. Lei con te non l’ha mai fatto…eppure sapeva. Sapeva ogni cosa. E’ stata corretta e ha pensato solamente ad aiutarmi a superare ogni giorno, dandomi la speranza che non fosse l’ultimo e che valesse la pena aspettare il successivo. Dovresti esserle grata…mi ha salvato. E invece la deridi e la tratti da rivale. » Non le avevo mai parlato così francamente dell’argomento e all’improvviso  mi resi conto quanto fosse giusto farlo. Essere accomodanti non sempre era buona cosa. Ero stanco di assecondarla.
« Isabella io ti amo e lo sai, non c’è nemmeno bisogno di dirlo. Tutti gli sforzi che ho fatto sono spinti dal desiderio di ricominciare a vivere la nostra vita insieme. Non c’è alcun motivo di dubitare che questo accadrà…anzi è già accaduto. Sei l’unica donna che voglio al mio fianco per il resto dei miei giorni, ma non per questo devo escludere ogni altra donna sulla faccia della Terra. Non lo farò. Non ha senso. Soprattutto un’amica unica come Rose. »
Mi guardava spaventata, quasi come se non mi sentisse. Il pallore persisteva e sembrava che ogni mia parola le fosse scivolata addosso come ghiaccio. Doveva esserci dell’altro o sarebbe esplosa riversandomi addosso le sue ragioni. Invece taceva e mi fissava. Non piangeva più, ma pareva avesse visto un fantasma e non riuscisse a distogliere gli occhi.
«Isabella che hai? Così mi spaventi.» Mi sollevai e afferrandole i polsi l’attirai verso di me. Si lasciò abbracciare senza reagire, ma non rispose alla mia richiesta di pace. Le cose dette erano palesi a entrambi quindi non pensavo di aver detto nulla che la potesse sconvolgere fino a quel punto.
La strinsi appoggiando il suo volto al petto e cullandola la coccolai. Tremava, ma dopo poco smise di farlo rilassandosi su di me.
«Va meglio ora?» Si sollevò agganciando i miei occhi coi suoi. Incamerò l’aria in petto come se non respirasse da ore e finalmente parlò.
« Edward, presto dovrò tornare a San Francisco, molto presto…entro qualche giorno. Non sapevo come dirtelo. Così te lo dico e basta! Ora lo sai. »

Rimasi a bocca aperta, osservando quello stesso fantasma …portarmela via.

lunedì 6 maggio 2013

Capitolo 34


Capitolo 34 – Edward



    La stanza riservata alle terapie era ampiamente attrezzata con ogni genere di apparecchiature all’avanguardia. Jasper in questo non si era risparmiato e senza spostarmi da lì potevo usufruire della migliore assistenza sulla piazza.
Per il massaggio era stato creato un angolo raccolto, tenuto a temperatura costante, dove, oltre a tutto l’occorrente per il terapeuta, c’erano anche alcuni dei più sofisticati sistemi automatizzati che permettevano al paziente di gestirsi da solo. Nei primi mesi mi erano stati di grande sostegno, non soltanto fisico, ma soprattutto psicologico perché dopo tanto tempo di dipendenza da altri potevo finalmente muovermi in modo autonomo. Rose era sempre il mio punto fermo, senza di lei mi sarei sentito perso e, almeno in questo, dovevo dare ragione a Jasper per aver insistito che si trasferisse con noi al lago. Le dovevo tantissimo e volevo trovare il modo di ripagare tutto l’affetto, il tempo, il sostegno e la pazienza oltre alla innegabile competenza con la quale si era dedicata a me. Oltretutto aveva dovuto subire l’avversione che Isabella aveva avuto per lei fin dal primo momento che l’aveva vista all’ospedale, accanto al mio letto, a curare le ferite di quello stesso uomo con il quale la sera prima aveva fatto l’amore e infiniti progetti.
Non si era più parlato del nostro futuro.
Da quando Isabella ed io eravamo a Tahoe sembrava che soltanto il presente importasse.
Ci eravamo chiusi come in una bolla trasparente oltre la quale tutto il resto non contava e guardavamo, stretti uno all’altra, lo scorrere delle immagini al di là di quel velo protettivo come se non ci riguardassero. Non mi ero reso conto di niente finché Bob non mi aveva fatto notare la cosa e inevitabilmente avevo riaperto gli occhi.
Ora mi importava.
Ora era tempo di tornare tra la gente.
Non significava andarsene da Tahoe, ma soltanto aprire le porte al mondo che viveva lì fuori…e non soltanto.
Erano molti i desideri che volevo soddisfare.
Da alcuni giorni, ad esempio, mi era tornata la voglia di scrivere e nei ritagli pomeridiani ero riuscito a buttare giù una bozza per un nuovo libro, la cui storia esulava un po’ dalle trame che ero solito pubblicare.
Rischiare di morire cambia la visione della vita stessa e probabilmente, leggendo quello che avrei pubblicato in futuro, la cosa sarebbe emersa in modo evidente. Sperai che le mie fedeli lettrici ne avrebbero compreso la ragione.
La mia rinascita stava avvenendo in modo insospettabile e a parer mio sorprendente ed esserne stupito era altamente eccitante. Avere una gran voglia di fare di tutto mi esaltava e non vedevo l’ora di cominciare.
Rose stava preparando l’unguento per il massaggio ed io la osservavo in silenzio, cercando di non distrarla. Il profumo intenso degli oli miscelati era familiare e il benessere che infondeva riguardava sia mente che corpo. Rilassava e aiutava lo spirito a librarsi.
Mi sistemai sul lettino a pancia in su e attesi paziente di sentire le sue mani darmi sollievo.
-                    Allora Edward dimmi, hai fatto qualche strano movimento per sentirti così? – Mi parlava con calma, la voce bassa e modulata. Molto professionale.
-                    Un tuffo dalla barca. Ci crederesti? Io che faccio una cosa del genere? Bob, lo skipper, mi ha costretto a gettarmi in acqua minacciandomi non ti dico come. – Si mise a ridere. Un breve momento di leggerezza che durò il tempo di un sospiro.
-                    Vita spericolata quindi?! Ti stai dando alla pazza gioia.- Le sue labbra ancora sorridevano, ma gli occhi erano nuovamente bui.
-                    Con quell’uomo c’è da aspettarsi di tutto, ma mi sono divertito e non sai quanto. Ohh…quel punto mi fa male da morire. –
Scivolava lenta le dita sulle fasce muscolari delle gambe. Partiva dalla caviglia e lentamente risaliva fino all’inguine. Continuò il movimento aumentando la pressione nei punti dolenti. Chiusi gli occhi e mi abbandonai alle sue mani esperte. Pochi passaggi e già mi sentivo meglio. Lei taceva.
-                    Mi dispiace averti disturbata di domenica. Non potevo farne a meno, credimi, o non l’avrei fatto. Avevi altri programmi? –
-                    Certo, come no. Stare stesa sul lettino del portico a leggere. Davvero un programmino esaltante. – L’ironia era rattristata dal sospiro che ne seguì.
-                    Posso chiederti perché non esci mai? Credevo che qui vicino abitasse la tua famiglia. – Si irrigidì, ma cercò di nasconderlo.
-                    Sì, è così. –
-                    E non hai voglia di vederli?- Deglutì e prese fiato.
-                    Certo che li vorrei vedere. – Fermò le mani e guardò a terra, indecisa se continuare  a parlare o meno.
Appariva stanca. La vecchia Rose di San Francisco sembrava non esistere più. La donna impeccabile e sempre curata si era trasformata in un cucciolo arruffato. Gli occhiali neri le scendevano sul naso ed era costretta a rimetterli a posto col dorso della mano unta.
-                    Ma? – La invitai a continuare quel che stava dicendo.
-                    Edward, sono loro a non voler vedere me. – Sembrò fredda, distante e riprese paziente a scivolare le dita.
-                    Non ci credo. – Ero sorpreso e non volli cedere. Volevo sapere di più. Volevo capire cosa la turbasse. Sollevai la testa per guardarla.
-                    E invece… è così! - Glaciale, come soltanto lei sapeva essere.
-                    Dai, non è possibile. Perché mai non vorrebbero vederti? – Il tocco divenne veloce e pesante più del dovuto. Si era innervosita.
-                    Perché non sono gradita. Sono anni che non vedo i miei. – Gli occhiali scesero nuovamente sul naso e lei li ricacciò al loro posto con un gesto di stizza.
-                    Non voglio farti stare male, sto solo cercando di capire come fare ad aiutarti. Sai che ti voglio bene, vero? -  Sospirò come se avesse trattenuto il fiato fino a quel momento. Sembrò piegarsi su se stessa, come un palloncino che si sgonfia.
-                    Almeno qualcuno me ne vuole. – Ironizzò cercando di sembrare divertente, ma il tremore della sua voce la tradiva e, pur sapendo di rischiare di farla arrabbiare, incalzai.
-                    Ti devo la mia vita Rose, sai bene che te ne voglio. Sei un tesoro, non vedo come si possa non amarti. – Nessuna malizia, solo affetto sincero nelle mie parole.
-                    E invece si può. –
-                    Oh andiamo…nemmeno i tuoi fratelli? Ne hai qualcuno? – Mi guardò strabuzzando gli occhi.
-                    Perché mi guardi così? Non so niente di te, non racconti mai nulla, mentre tu della mia vita conosci praticamente ogni dettaglio… anche il più intimo. Sei ingiusta. –
Il mio tono era amichevole, cercavo di far leva su questo nostro legame speciale e dall’espressione che vidi sul suo viso sembrò funzionare.
-                    Ho un  fratello, ok? Contento? Non vedo come questo possa interessarti visto che non partecipo alla sua vita da anni. – L’ombra scura che da mesi la copriva sembrò lasciar intravedere uno spiraglio di luce, ma subito dopo si richiuse, nascondendola nel buio più totale.
-                    Da quanto tempo?- Non le davo pace.
Afferrò l’asciugamano che avevo sul ventre spostandolo sopra le gambe. Faceva caldo per lei e un velo di sudore le imperlava il volto. Si tolse la giacca di lana e rimase con la sola  maglietta. Non usava più il grembiule bianco come un tempo. Le abitudini erano cambiate per entrambi e mi accorsi che anche il nostro rapporto di fiducia e complicità si era modificato.
A volte mi sembrava un’altra persona.
Forse perché anch’io, senza accorgermene, ero diventato un altro.
-                    Da otto anni. – Gli occhi le luccicavano, ma seppe trattenersi e continuare il suo lavoro. Era sopra di me che lisciava la muscolatura addominale e pettorale. Non mi guardava e la ruga sulla fronte evidenziava il suo stato d’animo ferito e confuso.
-                    Rose…- Le afferrai i polsi e li trattenni cercando di fare in modo che mi guardasse. Non voleva, ma lo fece ugualmente. In quegli splendidi e  profondi occhi blu potevo leggere tutto il suo dolore e mi sentii scosso. Aveva bisogno di un amico. Era sola. Non potevo lasciare che soffrisse. Lei non mi aveva permesso di crollare ed io avrei fatto lo stesso in cambio.
-                    Non posso parlarne Edward…è troppo…- La fermai.
-                    Troppo cosa?! Sono qui Rose. Parlane, sfogati. Ti stai distruggendo e non posso permetterlo. –
-                    Mi fa troppo male…non posso farlo. Scusa. –
-                    Non ti fidi di me? Ti ho forse deluso in qualcosa? Dai dimmelo! Vedrò di rimediare. – Le lasciai i polsi e le sue mani tornarono a posarsi sul mio petto. Riprese a massaggiare delicatamente, con impegno. Le lasciai il tempo per pensare, ma sembrò ignorarmi. Girò intorno al lettino e si mise dietro la mia testa per terminare quel che aveva cominciato. Poi riprese a parlare.
-                    Non dire stupidaggini. Sei un uomo buono, uno dei pochi che conosco e mi fido di te più di qualsiasi altro. Solo preferisco non parlarne. – Mi guardava a rovescio e dolcemente mi sfiorò il viso con le dita. Poi mi schiaffeggiò per gioco, chiedendomi di girarmi. Cercai di farlo, ma sollevandomi fui colto di sorpresa da una fitta alla schiena e quasi caddi dal lettino. Lei mi sorresse, aiutandomi poi a girarmi. Soliti movimenti, fatti e rifatti molte volte in passato. C’era una storia alle nostre spalle, un vissuto che ci legava e che non sarebbe mai stato dimenticato, né da me, né da lei. La guardai negli occhi quando mi fu vicina e invece di stendermi mi sedetti sul lettino. Le afferrai le dita delle mani con delicatezza. Lei non seppe trattenersi e cominciò a piangere in silenzio.
-                    Non fare così…voglio farti stare meglio,  non vederti piangere. – Le sussurrai.
-                    Lascia stare, non  è colpa tua. Mi basta una sciocchezza e piango come una bambina. Non ne posso più. – Vinta e distrutta si lasciò andare senza più maschere, rivelando ciò che nascondeva.
-                    Non puoi capire Edward lo strazio che provo…loro sono lì…io sono qui…e non posso vederli…non...non so nemmeno cosa sto dicendo. Lascia perdere, è un gran casino. -
La sua fragilità mi commosse e mi resi conto della solitudine che doveva aver provato per tutto quel tempo. Tolse gli occhiali e li mise accanto alla giacca, ben riposti, nell’ordine maniacale in cui era abituata a gestire quel posto. Volevo confortarla, ma non sapevo come fare.
-                    Non voglio lasciar perdere. Con me non l’hai fatto e ora è il mio turno di aiutare te. –
-                    Non c’è niente che tu possa fare, credimi. Mia madre mi odia e a mio padre…figurati… non glien’è mai fregato niente di me. Mio fratello era poco più di un ragazzo quando mi ha vista l’ultima volta e non  so nemmeno se lo riconoscerei incontrandolo per strada. Capisci? Gli ho parlato al telefono qualche volta, è un bravo ragazzo, ma più di questo non ho avuto da loro. Chissà se si ricorda ancora di me…non so più niente e ho paura di scoprire di aver perso anche lui. – Piangeva a dirotto. Ma non riuscivo a comprendere il motivo di questo abbandono da parte della sua famiglia. C’era qualcosa che non sapevo o che Rose non voleva dirmi.
-                    Si può sapere che cosa è successo? Che motivo hanno per farti questo?-
-                    Niente. – Secca, decisa. Si asciugò le guance bagnate con le dita.
-                    Come niente, non…-
-                    Basta! Non ne voglio parlare più …ti prego. – Mi fissò torva per farmi comprendere che la discussione era chiusa. Non volli infierire.
Qualcosa avevo scoperto e magari in un altro momento mi avrebbe confessato il resto, ma per ora mi dovevo accontentare.
-                    Girati che non ho finito. – Mi aiutò a stendermi.
-                    Certo, certo. Agli ordini capo. – Le sfuggì un sorrisino e ammiccai sorridendo a mia volta.
Passarono alcuni minuti senza che nessuno dicesse nulla. La musica di sottofondo sembrava accompagnare i nostri pensieri e lasciammo che li cullasse per sopire le ansie, le paure e le preoccupazioni che ognuno a proprio modo deve sopportare ogni giorno. Lente e rassicuranti le sue mani scioglievano le tensioni che mi avevano tenuto sveglio durante la notte e gliene fui grato. Mi aiutava sempre a stare bene. E sapevo che non era stato facile in tutti quei mesi sopportare i miei sbalzi d’umore, le mie angosce, i miei scatti d’ira. Sempre presente Rose era stata l’unico mio punto di riferimento.
Terminato il massaggio mi accarezzò i capelli, come faceva sempre e abbassò la testa sussurrandomi all’orecchio.
-                    Grazie. – Niente altro.
Mi coprì con la termocoperta sistemandola in modo che il calore mi avvolgesse completamente e iniziò a sistemare le cose intorno. Gli occhi socchiusi mi permisero di osservarla piegare l’asciugamano, lavarsi le mani più volte, sistemare le boccette degli oli.
Movimenti sicuri, meccanici.
Rassettò ogni cosa silenziosamente, per lasciarmi il tempo di un ultimo breve riposino.
Quando riaprii gli occhi era ancora lì.
Guardava l’infinito oltre la finestra opaca, senza in realtà vedere nulla.
Non c’erano lacrime sul suo viso , ma era come se tutto il suo corpo fosse un lamento trattenuto. Era un immenso dolore quello che stava tenendo dentro e mi ferì profondamente vederla così, incapace di difendersi.
Mi sollevai lentamente e accorgendosene si voltò a guardarmi.
Iniziai a rivestirmi, pochi movimenti e fui pronto.
-                    Come ti senti ora? – Ancora si preoccupava per me.
-                    Bene. Mi sento un altro. Grazie Rose. – Mi avvicinai.
-                    Sono contenta. Allora posso tornare al mio libro? –
Da quando mi ero rimesso in piedi dopo l’incidente, mi ero accorto di quanto fosse alta rispetto alla media. Non resistetti a quegli occhi sofferenti. Le afferrai la mano, attirandola verso di me.
-                    Vieni qui. –
L’abbracciai tenendola stretta e dopo un istante di rigidità si lasciò andare poggiando il capo sulla mia spalla. Non dissi nulla, perché in quell’abbraccio c’era tutto quello che volevo sapesse da me. Che ero suo amico, che poteva contare sul mio appoggio e soprattutto che le volevo bene. 
La lasciai accarezzandole il volto.
-                    Andiamo. –
-                    Ok. - Afferrò la sua giacca, si sistemò i capelli, infilò i suoi spessi occhiali neri e si lisciò i pantaloni. L’abitudine aveva avuto la meglio.
Mentre ci incamminavamo alla porta cercai di alleggerire l’atmosfera.
-                    Non ti sento più addosso il profumo che usavi a casa. Cos’era…Cloè vero? Non ti piace più?-
Le aprii la porta e le feci cenno di passare per prima.
Sembrava molto più calma e rilassata.
Forse ero riuscito a fare anch’io qualcosa per lei.
-                    Come fai a ricordarlo? Sì, era quello. – Era sorpresa.
-                    Beh? –
-                    L’ho finito. Ecco perché non lo senti più. E mi manca da morire. – Rideva, un po’ impacciata, ma ne fui felice.
-                    Peccato. Bisognerà rimediare. – Le sorrisi di rimando e tra noi ci fu un muto accordo di complicità.
-                    Edward, vieni. – La voce di Isabella mi raggiunse dalla veranda.
Il cielo sembrava mostrare qualche spiraglio di cielo e alcuni raggi più coraggiosi proiettavano il loro bagliore attraverso i vetri del salone. Granelli indistinti di pulviscolo galleggiavano in quella spada di luce e per gioco vi soffiai contro, creando un vortice che li sconvolse. Rose fece lo stesso.
Ridendo uscimmo sotto il portico, trovando Isabella in compagnia di un ragazzo che non avevo mai visto e che mi incuriosì.
Accorgendosi di un ospite Rose dirottò i suoi passi, scendendo la scaletta di fronte al porticciolo, anziché prendere quella che l’avrebbe condotta direttamente al cottage. La lasciai andare, salutandola con la mano. Mi sorrise e riprese il passo. Procedeva lenta e senza fretta, guardandosi intorno lungo il viottolo che conduceva alla riva del lago. Rivolgendomi agli altri mi accorsi che il ragazzo la stava guardando con insistenza. Isabella gli parlava, ma lui sembrava non ascoltarla più. Seguiva i movimenti di Rose senza staccarle gli occhi di dosso. Mi avvicinai notando che i tratti del volto avevano qualcosa di familiare e intanto Isabella mi mostrava uno strano aggeggio che aveva in mano e che scuotendolo produceva un dolce suono.
-                    Guarda che meraviglia? Mike è stato tanto gentile da portarmelo dall’emporio. Ti piace? –
-                    Si… si, certo! – Le risposi distrattamente, continuando ad osservare la scena.
-                    Chi è quella ragazza? – La domanda di Mike arrivò candida, senza preavviso, diretta e pulita. Non so perché mi sentii di dovergli rispondere.
-                    E’ Rosalie Hale, la conosci? – Isabella strabuzzò gli occhi guardandomi di traverso. Lui sembrò illuminarsi e lasciandoci a bocca aperta corse verso di lei chiamandola a voce alta.
-                    Lilly… - Rose si fermò di colpo impallidendo. Non era ancora lontana e la potevo vedere bene in viso. Si era girata verso il ragazzo, ma non si era mossa di lì. Quando le fu accanto si portò le mani alla bocca e lui la prese fra le braccia facendola girare in aria senza tante cerimonie. Era enorme e Rose sembrò sparire in quell’abbraccio affettuoso.
-                    Perché la sta abbracciando? – Isabella sembrava infastidita e sorpresa insieme. Chiedeva a me qualcosa che non potevo certo sapere, ma che leggendo negli occhi di Rose sapevo essere una cosa buona. Piangeva stringendolo forte a sé e lui le parlava senza fermarsi e baciandola sulle guance bagnate. Tremava dall’emozione e non riuscii a trattenere un sorriso condividendo la sua gioia. Non sentivamo quel che si stavano dicendo, ma vedendoli uno accanto all’altra compresi subito chi fosse. Rose si voltò verso di me urlando.
-                    E’ lui. – E le alzai il pollice sorridendo.
-                    Ma lui chi? – Isabella era ignara di tutto e non riusciva a capirci nulla.
-                    Insomma, vuoi dirmi che succede? – Mi tirava la manica della felpa come una bambina cocciuta.
-                    E’ suo fratello. – Feci una pausa osservando la sua sorpresa. – Il fratello che non vedeva da anni. –
-                    Oh…e sua sorella? – Fui io quello sorpreso ora.
-                    Di che parli? – Sembrò pentirsi di quello che aveva detto e volse gli occhi altrove, fingendo indifferenza.
-                    Niente…niente. Dicevo così per dire. – Deglutì a disagio e me ne accorsi. Poi continuò.
-                    Certo che è una donna piena di sorprese Rose eh? Non finisce mai di stupirmi. - Cercava di defilarsi dall’affermazione di poco prima e lasciai perdere.
Guardavo la mia amica finalmente sorridere e ne fui felice.
Mike la prese per mano trascinandola da noi. Rose era stravolta, i capelli si erano sciolti e le danzavano intorno, sollevati dal vento leggero che arrivava dalle acque del lago. Non riusciva a smettere di guardare il fratello ed era radiosa.
-                    Scusate, ma è stata una sorpresa meravigliosa. Chi poteva immaginare che avrei trovato qui mia sorella. – L’abbracciò baciandole i capelli e lei rise.
-                    Avrete molte cose da raccontarvi allora. Ora che vi guardo bene vi somigliate molto. – Tenevo stretta Isabella a fianco a me.
-                    E’ bellissimo vero? – Rose squillava come le campane a festa, era una meraviglia da guardare.
-                    Come te Lilly. – Mike era limpido e genuino. Una folata di freschezza.
-                    Lilly? – Isabella era sempre più stupefatta.
-                    L’ho sempre chiamata così…solo io, perché da piccolo non riuscivo a pronunciare il suo nome. Ti ricordi? – Disse infine rivolgendosi a Rose.
-                    Sì Mike, come potrei dimenticare. – E per un momento gli occhi si velarono nuovamente di tristezza. Mike se ne accorse e la strinse forte.
-                    Immagino abbiate un sacco di cose da raccontarvi. Perché non rimani qui alla villa, Mike? –
-                    Volentieri, ne sarei felice. –
-                    Oggi è domenica e Rose è libera, anche se stamattina l’ho buttata giù dal letto perché avevo bisogno di lei. Tua sorella è un fenomeno come fisioterapista, lo sapevi? –
-                    Ne sono certo. Lei è brava in tutto. Lo è sempre stata. – La accarezzava con dolcezza e amore e lei si stringeva aggrappandosi a lui come a un’ancora di salvezza.
-                    Volete pranzare con noi?- Isabella intervenne più per far parte della discussione che per un sincero interesse. Era palese quanto detestasse la vicinanza di Rose, ma non sapendo che dire fu l’unica cosa che le venne in mente.
-                    La ringrazio, ma preferirei rimanere un po’ da sola con mio fratello. Non ti dispiace vero Mike? – Disse poi rivolgendosi a lui.
-                    Ci potremmo vedere più tardi. Magari usciamo tutti a bere qualcosa in paese. Conosco un sacco di posti carini. – Il ragazzo era pieno di sano entusiasmo e Isabella mi guardò non sapendo che rispondere. Le venni incontro intervenendo io stesso.
-                    Aspettiamo ospiti per stasera. Mio fratello e sua moglie ci raggiungono per qualche giorno. Perché non vi unite a noi? – Li vidi in imbarazzo.
-                    Non c’è fretta – continuai – decidete con calma, ci sentiamo più tardi magari. Non preoccupatevi per questo. Siamo in vacanza no? –
-                    Grazie Edward. – Rose rispose per lui.
-                    Allora a più tardi. Ciao Isabella. – Mike era davvero simpatico.
-                    Ciao. – Isabella sembrava disturbata dalla novità.
Mike si congedò salutando entrambi con la mano e trascinando sua sorella via con sé. Il loro chiacchiericcio vivace li seguì fino al cottage di Rose, dove scomparvero ridendo.