Capitolo 29 - Rose
Corsi oltre il giardino, ignorando le
lacrime che mi bagnavano il viso. Ero
stata costretta a trattenerle per tutto il tempo in cui ero stata in quella
stanza con Edward, ma ora non era più necessario e potevo lasciare che l’incubo
che mi soffocava sfogasse libero.
Tutto intorno a me era distorto e
irriconoscibile, mentre correvo pensando soltanto a seguire quel sentiero di mattonelle ambrate che portava direttamente
davanti alla mia porta.
Ancora qualche passo in quel giardino
estraneo e sarei stata sola.
Lontana da tutti, ma non dai miei pensieri
pressanti.
Saliti i tre gradini come un automa, mi gettai sul lettino in midollino sotto la
veranda che oramai era divenuto il mio rifugio.
Il cuscino era ancora umido del pianto di
qualche ora prima e ripensando alla mia vita recente, non riuscivo quasi a
ricordare quale fosse l’ultimo giorno in cui non avevo versato lacrime.
La brezza che accarezzava le acque del lago
mi raggiunse scivolando sopra i vestiti e quel freddo contatto mi fece
rabbrividire, insieme a quell’odore persistente di alghe e fango che col calar
della sera diventava più intenso.
Pensare al fondale buio e melmoso di quella
distesa d’acqua mi spaventava.
La notte mi svegliavo a volte di
soprassalto, coperta di sudore, avvertendo ancora sulla pelle quelle viscide e
scure lingue verdi avvinghiarsi intorno alle caviglie trascinandomi verso il
fondo.
Quando sarebbe finita quell’orribile tortura.
Non passava un solo giorno senza che
ripensassi a quel tragico momento.
Prima di accettare quell’insolito incarico
avevo considerato tanto il fatto che tornare a casa, senza soffrirne, mi
sarebbe stato impossibile.
Ma
lo dovevo fare.
Era una questione di principio.
Mi raggomitolai sul fianco accartocciando
la coperta in grembo e chiusi gli occhi…sperando che il buio dietro le palpebre
cancellasse le immagini che scorrevano inesorabili nella mia mente.
A casa.
Strideva anche soltanto pensarla quella
parola.
Non la sentivo più come tale da quella
notte in cui tutto era cambiato e le certezze che mi avevano accompagnata fin
da bambina erano svanite scomparendo.
Quanto era amara la vita a volte.
Giocava a mostrare il futuro come uno
splendido scenario dipinto di rosa e
poi non si faceva scrupolo di imbrattarlo di
nero, gettando il viscido colore a secchiate sulle nostre speranze.
Casa.
Mi girai sull’altro fianco, rivolta verso
il bosco, per evitare che il baluginare degli ultimi raggi di Sole cercasse di
rischiarare quel buio rassicurante dentro al quale mi nascondevo.
I pensieri trovarono un varco in
quell’ombra fatua e accesero i ricordi di un passato che non sarei riuscita mai
a dimenticare.
La casa di legno chiaro dove ero cresciuta,
quei tre scalini consumati sui quali inciampavo sempre salendo, l’altalena
appesa al ciliegio centenario e quel cancello rotto, legato con un gancio alla
staccionata, che non avevo ricordi di
aver mai visto in altro modo. Il sentiero che portava al molo…le canzoni…
Sbarrai gli occhi, cercando di cancellare
quell’immagine.
Mi faceva soffrire troppo.
Non vedevo la mia famiglia da quasi otto
anni e, a parte qualche breve telefonata a Natale, il muro di silenzio calato
tra me e loro era diventato insormontabile.
Sarebbe dovuto essere il contrario, ma il
tempo non era riuscito a risanare quel profondo solco che ci aveva divisi.
Tutto ciò non aveva senso per me.
L’unico componente che ancora avesse voglia
di sentire la mia voce era mio fratello Mike che, troppo piccolo per capire
cosa fosse accaduto all’epoca, non aveva mai smesso di volermi bene.
Per i miei genitori oramai non esistevo più.
Mike era il solo a credere che tutto quello
che era successo otto anni prima non fosse dipeso da me, nonostante fosse
cresciuto in una casa dove la mia colpa rivestiva le pareti come carte da
parati.
La villa era situata a pochi chilometri dal
paese dove ero nata , ma nonostante lo desiderassi, non avevo ancora trovato il coraggio di chiamarlo per
fargli sapere del mio arrivo.
La paura che improvvisamente anche lui mi
rifiutasse me lo aveva impedito.
Mia madre non si degnava nemmeno di guardarmi
in faccia, quasi che l’essere rimasta in vita fosse ai suoi occhi un’imperdonabile
colpa.
Le chiacchiere del paese erano state per
lei come un sortilegio sulla sua casa ed essendo io in parte la responsabile di
questo, mi guardava come una strega da mandare al rogo.
Non le importava che io fossi sua
figlia…per lei non ero altro che l’incarnazione costante del suo dolore.
Guardavo quella donna che avevo per anni
chiamato mamma chiedendomi chi fosse veramente e cosa di lei avessi nelle
vene…sperando di riuscire a non assomigliarle mai nella mia intera esistenza.
Mio padre era un uomo privo di carattere,
ligio al suo lavoro di manovale e sempre silenzioso. Quando mia madre mi aveva
imposto di andarmene lui era rimasto seduto nella sua poltrona di pelle senza
dire una parola e dopo avermi fissata per qualche istante non aveva esitato ad
abbassare nuovamente gli occhi sul giornale e a continuare a fumarsi la pipa.
Non era più mio padre.
Non più.
Un vero padre probabilmente non lo era mai
stato.
Non avevo un solo ricordo in cui avesse
avuto un gesto benevolo nei miei confronti. Soltanto Mike aveva goduto di
questo privilegio, ma col senno di poi non sapevo se questo rappresentasse un
privilegio oppure il contrario.
Qualche giorno per i preparativi e avevo poi
raggiunto mia nonna a San Diego, in quella stessa casa dove avevo trascorso
tante estati felici.
Lei non aveva mai accettato il
comportamento di mia madre, ma conoscendola molto bene, aveva pensato a crearmi una nuova opportunità
di vita, anziché infliggermi di vivere forzatamente con loro soltanto perché mi
avevano generato.
Nonna Ruth mi aveva salvata.
Le ero infinitamente grata per questo.
Peccato non avesse potuto fare lo stesso
anche per Emily.
Emily…
Pensare ad Emily era troppo doloroso, ma
qualsiasi cosa vedessi intorno me la ricordava.
Le lacrime salirono spontanee annegando le
immagini del bosco che avevo davanti, sciogliendole in una massa informe e
scura.
Chiusi gli occhi per allontanarle…e
scivolando si unirono a quelle versate qualche ora prima sul cuscino.
Emily.
Eravamo uguali…eppure così diverse.
Da piccole nostra madre ci costringeva ad
indossare abiti identici e pettinava i nostri lunghi capelli biondi come due
bambole da esposizione.
Non era per cura e amore che ci preparava
prima di uscire, ma per mostrare al vicinato cosa era stata capace di mettere
al mondo.
Due splendide gemelle.
Un trofeo di cui essere fieri.
Fino alla nascita di Mike eravamo state la
sua priorità, ma la nascita di un maschio, che avrebbe dato un futuro al nome
della famiglia, portò altrove la sua attenzione.
La cosa fu una benedizione per noi perchè
ci diede modo di mostrare al mondo quelle che sentivamo di essere veramente.
Fu proprio in quel momento che tutte le
diversità tra me ed Emily vennero alla luce…
Tutte… tranne il fatto di essere esternamente
identiche…. due gocce d’acqua.
Avevamo dieci anni e tutta la vita davanti.
I successivi cinque anni ognuna di noi si impegnò in progetti
differenti e mentre io diventavo la prima della classe e sognavo di frequentare
una università prestigiosa, Emily abbracciava la musica country e accompagnandosi
con la sua chitarra, scriveva canzoni che mi cantava la sera sul molo davanti
casa, prima di andare a cena.
Ricordavo ancora quanto mi emozionasse la
sua voce e quanto in alto mi facessero volare le sue parole sull’amore e la
vita.
A volte le cantavamo insieme e alla fine
potevamo leggere una negli occhi dell’altra quanto questa cosa ci unisse.
L’amavo come se fosse parte di me…ed era
così….
Mi era impossibile pensare la mia vita
senza di lei, perché in quella sua esuberanza e quel suo essere solare e
spiritosa vivevo tutto quello che non
avevo il coraggio di essere.
Con la pubertà erano arrivati i problemi.
Mamma si era accorta che i ragazzi
cominciavano a ronzare intorno a casa e ci proibì di uscire dopo il tramonto, poi
ci impedì di farlo anche il pomeriggio…e d’accordo con mio padre ci vietò ogni
uscita con le amiche.
Non era prudente secondo lei fraternizzare
coi ragazzi del paese.
Oltre alla scuola non ci era permesso
nulla.
Mentre io soffocavo la frustrazione nello
studio, Emily trovò il modo di aggirare il problema calandosi dalla finestra e
fuggendo via, rientrando solo molto tardi, quando mia madre dormendo non la
poteva sentire.
Adoravo mia sorella anche se non
condividevo il suo modo di comportarsi.
Non mi importava nulla di quello che
pensava mia madre, io avevo solamente
paura che potesse succederle qualcosa.
Lei rideva e mi raccontava delle sue
avventure, dei posti che scopriva nelle sue scorribande e di quanto fosse
divertente farlo sotto il naso dei miei genitori. Rimanevo ogni sera ad
attenderla col cuore in palpitazione, terrorizzata che una volta o l’altra non
rientrasse affatto.
Una notte era rincasata più tardi del
solito…silenziosa, ma sorridente.
Mi confidò, sotto alle lenzuola del grande
letto che dividevamo, di aver conosciuto un ragazzo favoloso…che diceva di
amarla e che le aveva promesso che l’avrebbe resa felice.
Non sapevo cosa dirle e mi limitavo ad
ascoltare le sue confessioni affascinata dal suo modo colorito di raccontarle.
Viveva tutto come una favola, mentre meticolosa com’ero io non potevo
immaginare nulla che non fosse materialmente davanti ai miei occhi.
Le invidiavo questa capacità di evadere
dalla realtà e non sapendolo fare allo stesso modo, mi affidavo alle sue parole cavalcando le sue
fantasie e i suoi sogni come in groppa ad un regale destriero.
Era la mia via di fuga…la mia libertà.
I giorni erano passati troppo in fretta.
Non potevo immaginare quanto fosse
pericoloso allontanare i piedi da terra e saltellare tra le nuvole.
Questo mi diceva sempre prima di cominciare
i suoi racconti.
-
Sei
pronta a volare con me?-
Le facevo cenno di sì con la testa e sorridendo
mi accoccolavo sul cuscino accanto a lei ad ascoltarla, senza riuscire a
formulare alcuna domanda per non distrarla dal suo racconto.
Quello era stato il periodo più bello
della mia vita.
Emily mi mancava moltissimo.
Senza di lei niente mi era sembrato più
così bello.
Niente.
Il mio lavoro era la mia vita.
Dedicavo ogni energia in quello che facevo.
Niente voli pindarici che mi portassero
oltre ciò che avevo davanti.
La mia realtà era toccare con mano…e non
ero stata mai capace di fare altro.
Ci avevo provato, ma io non ero lei…
Singhiozzai
lasciando che il pianto mi liberasse del profondo dolore.
Emily sarebbe rimasta sempre con me.
Emily era la parte di me che non sarei mai
stata.
Mi sollevai a sedere respirando a fondo per
riprendere il controllo.
Dovevo mangiare qualcosa altrimenti avrei
perso le forze e non avrei potuto fare bene il mio lavoro.
Stavo dimagrendo e i vestiti mi pendevano
addosso.
Non andava bene, dovevo reagire.
Rimettere in piedi Edward era il mio
obbiettivo.
L’avrei portato a termine e poi avrei
pensato a qualcos’altro che mi impegnasse mente e corpo.
Focalizzare la mia mente in quella
direzione mi avrebbe aiutata a sopportare quel peso nel cuore.
Mi sistemai i capelli e raccolto il
fazzoletto che avevo in tasca mi asciugai gli occhi e mi soffiai il naso.
Mi alzai in piedi notando una figura
camminare lungo il sentiero che costeggiava le sponde del lago.
Era solo un’ombra nera sullo sfondo
illuminato del lago, ma quell’incedere attirò la mia attenzione e rimasi ad osservarlo.
Era un uomo giovane e atletico.
Aveva capelli lunghi e un fascio di corde infilato in un braccio
appoggiato alla spalla. Non potevo vedere altro da lì, ma per un attimo quella
figura mi parve familiare.
Lo osservai scomparire dietro il fogliame
del bosco e con quel senso di dèjà vù rientrai in casa.
Lia mi preparava sempre cibi di ogni sorta
e aprendo il frigo non ebbi che l’imbarazzo della scelta.
Avrei dovuto ringraziarla invece di
isolarmi sempre tra quelle mura di solitudine.
Predicavo sempre ad Edward di lasciarsi il
passato alle spalle e di aprirsi al futuro, mentre io non facevo altro che
serrarmi dietro un muro di alibi per non rischiare di perdere quell’equilibrio
che credevo tenermi in piedi e che in realtà mi teneva legata come in una prigione.
Mi preparai un piatto leggero di vitello
tonnato e di verdura cruda, accompagnandolo con un bicchiere di vino rosso.
Era grazie ad Edward che avevo cominciato
ad apprezzare il buon vino e anche molte altre cose che prima per me non
esistevano.
Il tempo trascorso con lui era stata una
terapia anche per me e sebbene lui non se ne fosse accorto, la sua compagnia mi
aveva aiutata ad uscire dalla mia solitudine interiore.
Gli dovevo molto…ma non glielo avevo mai
detto.
Anche per questo motivo sentivo il bisogno
di realizzare il suo sogno.
Era una sorta di tacito accordo che avevo
fatto con me stessa e al quale non potevo e non volevo sottrarmi.
Poco prima lo avevo assalito senza motivo.
Non lo meritava e al più presto mi sarei
scusata.
Edward era un uomo profondamente buono e
incapace di ferire le altre persone e sapevo che dietro le sue domande
insistenti c’era soltanto la preoccupazione di aver mancato nei miei confronti.
Posai le stoviglie sul piano della cucina e
tagliai del melone a pezzi.
Li raccolsi in una tazza e andai sulla
veranda a guardare le prime stelle e la luna alta in cielo.
Mi sedetti sul dondolo lasciandomi cullare
da quel movimento ritmico che mi rilassava.
Intorno solo il canto del bosco e dei grilli
impegnati in concerti di gruppo.
Emily avrebbe ascoltato ad occhi chiusi e
poi mi avrebbe chiesto…
-
Sei
pronta a volare con me? –
Guardando il cielo sorrisi e parlando alla
Luna le risposi.
-
Si,
Emily…portami via con te! –
Adesso capisco perchè ami tanto rose, deve aver sofferto tanto per la perdita della sorella e l'allontanamento dei genitori e questo peso che si porta dentro, mi e venuto un groppo alla gola nella sua ultima frase oh fra lo dico sempre sei una poetessa.....ma niente niente che il ragazzo che si prende cura del giardino e lei ha visto in lontananza e mike???? speriamo un incontro sereno con il fratello <3 grazie francy
RispondiEliminaPochi capitoli e sapremo ogni cosa. Non è suo fratello Mary...mi dispiace. Adoro Rose perchè è una donna coraggiosa e anche molto buona, generosa e ....molto altro. Grazie Mary per esserci sempre. <3
EliminaHO SETE SETE SETE....... FRAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAA SCRIVIIIIIIIIIIIIIIIIIIII
RispondiEliminasto scrivendo, ma son leeeenta...sorry darling
EliminaFra, scusami è normale che dal cap 29 siamo al 30?! comunque io credo che il ragazzo, che è lo stesso che ha incontrato Isabella, sia il ragazzo di Emily, o no?! e credo di aver capito che è annegata o roba del genere e danno la colpa a Rose x aver nascosto le sue fughe e quindi la sua scomparsa?! facci sapere, che groppo in gola xò. Povera Rose, mi sneto in colpa x averla "odiata" un pochino!
RispondiEliminacosa significa che dal 29 siamo al 30?..ahahah...non ho capito perdonami. Hai in parte compreso la situazione si....ma c'e' di più....e lo sapremo in altra occasione. Ti sembra che il cap di rose non sia opportuno?...non ha logica?...voglio capireee..fammi sapere. Bacio e grazie del commento.
Eliminano no spetta, ho sbagliato a scrivere. Non sò xchè ma ieri questo cap era il n. 30 e si passava dal "28" al "30" perdonami, ho fatto casotto. E il capitolo è perfetto. Era solo x capire se mi ero persa in giro un capitolo ma forse c'era un errore del numero o il blog ha fatto le bizze!!
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