sabato 28 luglio 2012

Capitolo 29



Capitolo 29 - Rose


Corsi oltre il giardino, ignorando le lacrime che mi bagnavano il  viso. Ero stata costretta a trattenerle per tutto il tempo in cui ero stata in quella stanza con Edward, ma ora non era più necessario e potevo lasciare che l’incubo che mi soffocava sfogasse libero.
Tutto intorno a me era distorto e irriconoscibile, mentre correvo pensando soltanto a seguire quel  sentiero di mattonelle ambrate che portava direttamente davanti alla mia porta.
Ancora qualche passo in quel giardino estraneo e sarei stata sola.
Lontana da tutti, ma non dai miei pensieri pressanti.
Saliti i tre gradini come un automa,  mi gettai sul lettino in midollino sotto la veranda che oramai era divenuto il mio rifugio.
Il cuscino era ancora umido del pianto di qualche ora prima e ripensando alla mia vita recente, non riuscivo quasi a ricordare quale fosse l’ultimo giorno in cui non avevo versato lacrime.
La brezza che accarezzava le acque del lago mi raggiunse scivolando sopra i vestiti e quel freddo contatto mi fece rabbrividire, insieme a quell’odore persistente di alghe e fango che col calar della sera diventava più intenso.
Pensare al fondale buio e melmoso di quella distesa d’acqua mi spaventava.
La notte mi svegliavo a volte di soprassalto, coperta di sudore, avvertendo ancora sulla pelle quelle viscide e scure lingue verdi avvinghiarsi intorno alle caviglie trascinandomi verso il fondo.
Quando sarebbe finita quell’orribile tortura.
Non passava un solo giorno senza che ripensassi a quel tragico momento.
Prima di accettare quell’insolito incarico avevo considerato tanto il fatto che tornare a casa, senza soffrirne, mi sarebbe stato impossibile.
Ma  lo dovevo fare.
Era una questione di principio.
Mi raggomitolai sul fianco accartocciando la coperta in grembo e chiusi gli occhi…sperando che il buio dietro le palpebre cancellasse le immagini che scorrevano inesorabili nella mia mente.
A casa.
Strideva anche soltanto pensarla quella parola.
Non la sentivo più come tale da quella notte in cui tutto era cambiato e le certezze che mi avevano accompagnata fin da bambina erano svanite scomparendo.
Quanto era amara la vita a volte.
Giocava a mostrare il futuro come uno splendido scenario dipinto di rosa e
poi non si faceva scrupolo di imbrattarlo di nero, gettando il viscido colore a secchiate sulle nostre speranze.
Casa.
Mi girai sull’altro fianco, rivolta verso il bosco, per evitare che il baluginare degli ultimi raggi di Sole cercasse di rischiarare quel buio rassicurante dentro al quale mi nascondevo.
I pensieri trovarono un varco in quell’ombra fatua e accesero i ricordi di un passato che non sarei riuscita mai a dimenticare.
La casa di legno chiaro dove ero cresciuta, quei tre scalini consumati sui quali inciampavo sempre salendo, l’altalena appesa al ciliegio centenario e quel cancello rotto, legato con un gancio alla staccionata, che non  avevo ricordi di aver mai visto in altro modo. Il sentiero che portava al molo…le canzoni…
Sbarrai gli occhi, cercando di cancellare quell’immagine.
Mi faceva soffrire troppo.
Non vedevo la mia famiglia da quasi otto anni e, a parte qualche breve telefonata a Natale, il muro di silenzio calato tra me e loro era diventato insormontabile.
Sarebbe dovuto essere il contrario, ma il tempo non era riuscito a risanare quel profondo solco che ci aveva divisi.
Tutto ciò non aveva senso per me.
L’unico componente che ancora avesse voglia di sentire la mia voce era mio fratello Mike che, troppo piccolo per capire cosa fosse accaduto all’epoca, non aveva mai smesso di volermi bene.
Per i miei genitori oramai non esistevo più.
Mike era il solo a credere che tutto quello che era successo otto anni prima non fosse dipeso da me, nonostante fosse cresciuto in una casa dove la mia colpa rivestiva le pareti come carte da parati.
La villa era situata a pochi chilometri dal paese dove ero nata , ma nonostante lo desiderassi, non avevo  ancora trovato il coraggio di chiamarlo per fargli sapere del mio arrivo.
La paura che improvvisamente anche lui mi rifiutasse me lo aveva impedito.
Mia madre non si degnava nemmeno di guardarmi in faccia, quasi che l’essere rimasta in vita fosse ai suoi occhi un’imperdonabile colpa.
Le chiacchiere del paese erano state per lei come un sortilegio sulla sua casa ed essendo io in parte la responsabile di questo, mi guardava come una strega da mandare al rogo.
Non le importava che io fossi sua figlia…per lei non ero altro che l’incarnazione costante del suo dolore.
Guardavo quella donna che avevo per anni chiamato mamma chiedendomi chi fosse veramente e cosa di lei avessi nelle vene…sperando di riuscire a non assomigliarle mai nella mia intera esistenza.
Mio padre era un uomo privo di carattere, ligio al suo lavoro di manovale e sempre silenzioso. Quando mia madre mi aveva imposto di andarmene lui era rimasto seduto nella sua poltrona di pelle senza dire una parola e dopo avermi fissata per qualche istante non aveva esitato ad abbassare nuovamente gli occhi sul giornale e a continuare a fumarsi la pipa.
Non era più mio padre.
Non più.
Un vero padre probabilmente non lo era mai stato.
Non avevo un solo ricordo in cui avesse avuto un gesto benevolo nei miei confronti. Soltanto Mike aveva goduto di questo privilegio, ma col senno di poi non sapevo se questo rappresentasse un privilegio oppure il contrario.
Qualche giorno per i preparativi e avevo poi raggiunto mia nonna a San Diego, in quella stessa casa dove avevo trascorso tante estati felici.
Lei non aveva mai accettato il comportamento di mia madre, ma conoscendola molto bene,  aveva pensato a crearmi una nuova opportunità di vita, anziché infliggermi di vivere forzatamente con loro soltanto perché mi avevano generato.
Nonna Ruth mi aveva salvata.
Le ero infinitamente grata per questo.
Peccato non avesse potuto fare lo stesso anche per Emily.
Emily…
Pensare ad Emily era troppo doloroso, ma qualsiasi cosa vedessi intorno me la ricordava.
Le lacrime salirono spontanee annegando le immagini del bosco che avevo davanti, sciogliendole in una massa informe e scura.
Chiusi gli occhi per allontanarle…e scivolando si unirono a quelle versate qualche ora prima sul cuscino.
Emily.
Eravamo uguali…eppure così diverse.
Da piccole nostra madre ci costringeva ad indossare abiti identici e pettinava i nostri lunghi capelli biondi come due bambole da esposizione.
Non era per cura e amore che ci preparava prima di uscire, ma per mostrare al vicinato cosa era stata capace di mettere al mondo.
Due splendide gemelle.
Un trofeo di cui essere fieri.
Fino alla nascita di Mike eravamo state la sua priorità, ma la nascita di un maschio, che avrebbe dato un futuro al nome della famiglia, portò altrove la sua attenzione.
La cosa fu una benedizione per noi perchè ci diede modo di mostrare al mondo quelle che sentivamo di essere veramente.
Fu proprio in quel momento che tutte le diversità tra me ed Emily vennero alla luce…
Tutte… tranne il fatto di essere esternamente identiche…. due gocce d’acqua.
Avevamo dieci anni e tutta la vita davanti.
I successivi cinque anni  ognuna di noi si impegnò in progetti differenti e mentre io diventavo la prima della classe e sognavo di frequentare una università prestigiosa, Emily abbracciava la musica country e accompagnandosi con la sua chitarra, scriveva canzoni che mi cantava la sera sul molo davanti casa, prima di andare a cena.
Ricordavo ancora quanto mi emozionasse la sua voce e quanto in alto mi facessero volare le sue parole sull’amore e la vita.
A volte le cantavamo insieme e alla fine potevamo leggere una negli occhi dell’altra quanto questa cosa ci unisse.
L’amavo come se fosse parte di me…ed era così….
Mi era impossibile pensare la mia vita senza di lei, perché in quella sua esuberanza e quel suo essere solare e spiritosa vivevo tutto quello che non
avevo il coraggio di essere.
Con la pubertà erano arrivati i problemi.
Mamma si era accorta che i ragazzi cominciavano a ronzare intorno a casa e ci proibì di uscire dopo il tramonto, poi ci impedì di farlo anche il pomeriggio…e d’accordo con mio padre ci vietò ogni uscita con le amiche.
Non era prudente secondo lei fraternizzare coi ragazzi del paese.
Oltre alla scuola non ci era permesso nulla.
Mentre io soffocavo la frustrazione nello studio, Emily trovò il modo di aggirare il problema calandosi dalla finestra e fuggendo via, rientrando solo molto tardi, quando mia madre dormendo non la poteva sentire.
Adoravo mia sorella anche se non condividevo il suo modo di comportarsi.
Non mi importava nulla di quello che pensava mia madre,  io avevo solamente paura che potesse succederle qualcosa.
Lei rideva e mi raccontava delle sue avventure, dei posti che scopriva nelle sue scorribande e di quanto fosse divertente farlo sotto il naso dei miei genitori. Rimanevo ogni sera ad attenderla col cuore in palpitazione, terrorizzata che una volta o l’altra non rientrasse affatto.
Una notte era rincasata più tardi del solito…silenziosa, ma sorridente.
Mi confidò, sotto alle lenzuola del grande letto che dividevamo, di aver conosciuto un ragazzo favoloso…che diceva di amarla e che le aveva promesso che l’avrebbe resa felice.
Non sapevo cosa dirle e mi limitavo ad ascoltare le sue confessioni affascinata dal suo modo colorito di raccontarle. Viveva tutto come una favola, mentre meticolosa com’ero io non potevo immaginare nulla che non fosse materialmente davanti ai miei occhi.
Le invidiavo questa capacità di evadere dalla realtà e non sapendolo fare allo stesso modo,  mi affidavo alle sue parole cavalcando le sue fantasie e i suoi sogni come in groppa ad un regale destriero.
Era la mia via di fuga…la mia libertà.
I giorni erano passati troppo in fretta.
Non potevo immaginare quanto fosse pericoloso allontanare i piedi da terra e saltellare tra le nuvole.
Questo mi diceva sempre prima di cominciare i suoi racconti.
-         Sei pronta a volare con me?-
Le facevo cenno di sì con la testa e sorridendo mi accoccolavo sul cuscino accanto a lei ad ascoltarla, senza riuscire a formulare alcuna domanda per non distrarla dal suo racconto.
Quello era stato il periodo più bello della  mia vita.
Emily mi mancava moltissimo.
Senza di lei niente mi era sembrato più così bello.
Niente.
Il mio lavoro era la mia vita.
Dedicavo ogni energia in quello che facevo.
Niente voli pindarici che mi portassero oltre ciò che avevo davanti.
La mia realtà era toccare con mano…e non ero stata mai capace di fare altro.
Ci avevo provato, ma io non ero lei…
Singhiozzai  lasciando che il pianto mi liberasse del profondo dolore.
Emily sarebbe rimasta sempre con me.
Emily era la parte di me che non sarei mai stata.
Mi sollevai a sedere respirando a fondo per riprendere il controllo.
Dovevo mangiare qualcosa altrimenti avrei perso le forze e non avrei potuto fare bene il mio lavoro.
Stavo dimagrendo e i vestiti mi pendevano addosso.
Non andava bene, dovevo reagire.
Rimettere in piedi Edward era il mio obbiettivo.
L’avrei portato a termine e poi avrei pensato a qualcos’altro che mi impegnasse mente e corpo.
Focalizzare la mia mente in quella direzione mi avrebbe aiutata a sopportare quel peso nel cuore.
Mi sistemai i capelli e raccolto il fazzoletto che avevo in tasca mi asciugai gli occhi e mi soffiai il naso.
Mi alzai in piedi notando una figura camminare lungo il sentiero che costeggiava le sponde del lago.
Era solo un’ombra nera sullo sfondo illuminato del lago, ma quell’incedere attirò la  mia attenzione e rimasi ad osservarlo.
Era un uomo giovane e atletico.
Aveva capelli lunghi e un  fascio di corde infilato in un braccio appoggiato alla spalla. Non potevo vedere altro da lì, ma per un attimo quella figura mi parve familiare.
Lo osservai scomparire dietro il fogliame del bosco e con quel senso di dèjà vù rientrai in casa.
Lia mi preparava sempre cibi di ogni sorta e aprendo il frigo non ebbi che l’imbarazzo della scelta.
Avrei dovuto ringraziarla invece di isolarmi sempre tra quelle mura di solitudine.
Predicavo sempre ad Edward di lasciarsi il passato alle spalle e di aprirsi al futuro, mentre io non facevo altro che serrarmi dietro un muro di alibi per non rischiare di perdere quell’equilibrio che credevo tenermi in piedi e che in realtà mi teneva legata come in una prigione.
Mi preparai un piatto leggero di vitello tonnato e di verdura cruda, accompagnandolo con un bicchiere di vino rosso.
Era grazie ad Edward che avevo cominciato ad apprezzare il buon vino e anche molte altre cose che prima per me non esistevano.
Il tempo trascorso con lui era stata una terapia anche per me e sebbene lui non se ne fosse accorto, la sua compagnia mi aveva aiutata ad uscire dalla mia solitudine interiore.
Gli dovevo molto…ma non glielo avevo mai detto.
Anche per questo motivo sentivo il bisogno di realizzare il suo sogno.
Era una sorta di tacito accordo che avevo fatto con me stessa e al quale non potevo e non volevo sottrarmi.
Poco prima lo avevo assalito senza motivo.
Non lo meritava e al più presto mi sarei scusata.
Edward era un uomo profondamente buono e incapace di ferire le altre persone e sapevo che dietro le sue domande insistenti c’era soltanto la preoccupazione di aver mancato nei miei confronti.
Posai le stoviglie sul piano della cucina e tagliai del melone a pezzi.
Li raccolsi in una tazza e andai sulla veranda a guardare le prime stelle e la luna alta in cielo.
Mi sedetti sul dondolo lasciandomi cullare da quel movimento ritmico che mi rilassava.
Intorno solo il canto del bosco e dei grilli impegnati in concerti di gruppo.
Emily avrebbe ascoltato ad occhi chiusi e poi mi avrebbe chiesto…
-         Sei pronta a volare con me? –
Guardando il cielo sorrisi e parlando alla Luna le risposi.
-         Si, Emily…portami via con te! –

7 commenti:

  1. Adesso capisco perchè ami tanto rose, deve aver sofferto tanto per la perdita della sorella e l'allontanamento dei genitori e questo peso che si porta dentro, mi e venuto un groppo alla gola nella sua ultima frase oh fra lo dico sempre sei una poetessa.....ma niente niente che il ragazzo che si prende cura del giardino e lei ha visto in lontananza e mike???? speriamo un incontro sereno con il fratello <3 grazie francy

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    1. Pochi capitoli e sapremo ogni cosa. Non è suo fratello Mary...mi dispiace. Adoro Rose perchè è una donna coraggiosa e anche molto buona, generosa e ....molto altro. Grazie Mary per esserci sempre. <3

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  2. HO SETE SETE SETE....... FRAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAA SCRIVIIIIIIIIIIIIIIIIIIII

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  3. Fra, scusami è normale che dal cap 29 siamo al 30?! comunque io credo che il ragazzo, che è lo stesso che ha incontrato Isabella, sia il ragazzo di Emily, o no?! e credo di aver capito che è annegata o roba del genere e danno la colpa a Rose x aver nascosto le sue fughe e quindi la sua scomparsa?! facci sapere, che groppo in gola xò. Povera Rose, mi sneto in colpa x averla "odiata" un pochino!

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    1. cosa significa che dal 29 siamo al 30?..ahahah...non ho capito perdonami. Hai in parte compreso la situazione si....ma c'e' di più....e lo sapremo in altra occasione. Ti sembra che il cap di rose non sia opportuno?...non ha logica?...voglio capireee..fammi sapere. Bacio e grazie del commento.

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    2. no no spetta, ho sbagliato a scrivere. Non sò xchè ma ieri questo cap era il n. 30 e si passava dal "28" al "30" perdonami, ho fatto casotto. E il capitolo è perfetto. Era solo x capire se mi ero persa in giro un capitolo ma forse c'era un errore del numero o il blog ha fatto le bizze!!

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