Capitolo 33 – Isabella
La notte sembrava
non finire mai e da almeno un’ora ero immobile, rivolta verso Edward,
osservando nell’ombra i contorni del suo volto prendere lentamente forma. La
luce filtrava dai tendaggi spessi, insinuandosi tra le fessure e sembrava volerlo
accarezzare senza essere invadente… quasi avesse paura di svegliarlo. Si era
agitato nel sonno per gran parte della notte, attanagliato da quel dolore alla
schiena e alle gambe che sembrava non volerlo abbandonare, ma dopo un ulteriore
analgesico si era calmato e ora dormiva profondamente. Si era accoccolato sul
fianco quasi abbracciando il suo cuscino e ogni tanto allungava la mano nel
sonno per non perdere il contatto con me.
Quel tocco era come
un regalo.
I capelli lunghi
gli ricadevano sul volto e la dolcezza della sua espressione mi inteneriva fino
a farmi male.
Com’era bello.
Si era infilato nel
letto con la sua tuta addosso e a vederlo lì, infagottato tra le lenzuola, sembrava
un adolescente. Il Sole aveva sortito una specie di magia, sia al suo aspetto
che al suo umore e quell’Edward buio e lontano che avevo avuto accanto per mesi
era ormai solo un ricordo. Mi augurai
che il cambiamento fosse definitivo perché il pensiero di rivederlo chiudersi nella
sua gabbia mi terrorizzava e ancor più mi spaventava poter esserne io la causa.
Era luminoso ora,
sorridente. Lo spettacolare Edward Cullen che avevo conosciuto qualche anno prima.
Sollevai lo sguardo
al soffitto, allontanandomi di poco dal confortante calore del suo corpo.
Fino al lunedì della
settimana seguente non avrei avuto certezze, anche se James continuava a
chiamarmi, probabilmente in preda a crisi isteriche come era suo solito. Mi
rifiutavo di sentirlo al telefono e di lasciarmi travolgere dalle sue angosce ...le
mie erano di altra natura e più che sufficienti da sopportare. Discutere a
priori di quel che sarebbe potuto succedere sarebbe stato del tutto inutile.
James poteva aspettare.
In cuor mio sperai,
con tutte le energie di cui disponevo, di poter alla fine ascoltare, dentro al
mio cellulare, la sua inconfondibile risata liberatoria che mi confermava che
nulla sarebbe cambiato e che il processo avrebbe mantenuto la data fissata in
precedenza.
Non era una
possibilità remota. O forse lo era?
Cosa avrei dovuto
fare se fosse invece avvenuto il contrario?
Annaspavo in mille
inutili supposizioni che sorgevano spontanee nella mia testa in subbuglio, con
le quali giustificare il fatto di dovermi allontanare per un tempo non ancora
definito.
Già. Quanto tempo
sarei stata lontana?
Edward come
l’avrebbe affrontata questa cosa? Durante la settimana era sempre impegnato con
le sue terapie, ma il week end era tutto per noi… soli.
Cosa avrebbe fatto
senza di me?
Quell’essergli
indispensabile era al tempo stesso un’emozione meravigliosa di cui godere e un fardello
troppo pesante da portare.
Codarda.
Non avevo le palle
di affrontare il primo ostacolo che si era posto tra di noi dopo il
riavvicinamento e me ne stavo lì a cercare scuse che giustificassero questa
cosa.
Idiota.
Lui aveva bisogno
di me, questo lo sapevo, ma non potevo chiudermi in casa con lui per il resto
della vita…anche se a volte…mi ero ritrovata a desiderarlo con tutta me stessa.
Ma cosa stavo
pensando?
Dovevo
assolutamente parlargli prima della conferma o meno della data e in seguito
alla sua reazione avrei deciso come comportarmi. Punto.
Meno male che Jasper
e Alice sarebbero arrivati prima di sera e questo mi avrebbe permesso di confrontarmi sia col
suo medico…che con il mio amico. La piccola vacanza che si erano concessi
capitava a fagiolo e fui confortata dall’idea di non essere da sola ad affrontare
la questione.
Codarda. Codarda.
Codarda.
Quando si trattava
di risolvere le problematiche altrui mi battevo come un gladiatore
nell’arena, mentre se si trattava di Edward e me quasi mi cedevano le gambe …e
mi sentivo fragile come una bambina.
Vigliacca.
Era soltanto lavoro,
perché mi dannavo tanto?
Dopotutto si
trattava di un po’ di giorni e probabilmente sarei tornata da lui ogni fine
settimana.
Era fattibile.
Magari un po’
faticoso, ma se necessario lo avrei fatto.
Questo pensiero mi
diede un fragile sollievo.
Il
Gladiatore
sorrise volgendo lo sguardo teneramente accanto
a sé e tese la mano.
La bambina gli offrì la sua con fiducia e gli saltò in
braccio di slancio.
Edward si mosse
accanto a me sospirando e solo a
guardarlo mi si strinse il cuore.
Quanto lo amavo.
Lui lo sapeva. Non
poteva non sentirlo.
Pochi giorni lontani
l’uno dall’altra non avrebbero certo cambiato le cose.
Avevo bisogno di
abbracciarlo, ma preferii lasciarlo dormire tranquillo.
Mi sollevai dal
letto lentamente per non rischiare di svegliarlo e infilata la mia tuta uscii
silenziosamente dalla stanza chiudendomi la porta alle spalle. Percorsi il
corridoio fino a raggiungere il grande salone, dove la luce era più forte e
strinsi gli occhi per abituarmi al riflesso.
C’era la sagoma di
un uomo disegnata sulla parete di vetro e sbattendo le palpebre la misi a
fuoco.
-
Buongiorno
Bella. – Quella voce aveva un volto e, anche se non lo vedevo nitidamente,
seppi chi avevo davanti.
-
Ciao
Bob, mi hai quasi spaventata. Avevo scordato che tu fossi qui. –
-
Veramente
l’ho scordato anch’io. Cosa è successo? – Indossava chiaramente gli stessi
abiti della sera prima, ma teneva la felpa legata in vita. Una semplice
maglietta bianca aveva preso il suo posto. I capelli erano sciolti e tirati
all’indietro e una leggera barba bionda spiccava brillando su quel volto di
cuoio.
-
Davvero
non lo ricordi? –
-
No…niente.
– Sembrava sincero. Meritava una spiegazione.
-
Non
posso aiutarti più di tanto. Ieri sera tu ed Edward siete rimasti in veranda a chiacchierare
e a bere…direi parecchio…e quando è rientrato tu eri appeso al suo collo
semisvenuto. –
-
Davvero?-
Sorrise appena, sbuffando.
-
Mi
ha chiamata preoccupato per te e visto il tuo stato, diciamo pure comatoso, ti
abbiamo messo a letto…ed eccoti qui. – Abbassò lo sguardo al pavimento. Era in
imbarazzo. Mi misi a ridacchiare.
-
Dormito
bene? – Alleggerire la tensione era mio compito.
-
Come
un bambino, grazie. – Ciondolava con le mani in tasca, stringendosi nelle
spalle a disagio.
Il tempo al di là del vetro non sembrava
dei migliori. Le nuvole in cielo erano grigie e cariche di pioggia e il canto
del bosco al risveglio echeggiava fin dentro casa. Ruppi il silenzio tra noi
invitandolo ad unirsi a me.
-
Ti
va un caffè? – Gli sorrisi avviandomi verso la cucina. Avevo bisogno di
compagnia, di distrarmi, di non pensare.
-
Non
vorrei disturbare più del necessario. Forse è meglio che vada. –
-
Dai
non farti pregare. Non si può iniziare la giornata senza un po’ di caffeina,
no?-
Tolse la mano dalla
tasca e la infilò goffamente tra i capelli. Era strano vederlo così, al di
fuori del suo ambiente, senza alcol in corpo, o la sfacciataggine che lo
contraddistingueva, a fargli da scudo. Mi fece sorridere.
-
Vieni,
ci mettiamo in cucina. Edward ha avuto una nottataccia ed è meglio se non lo
disturbiamo. –
Mi seguì e mi accorsi
che mi guardava i piedi perplesso.
-
Ma
tu giri sempre scalza? – Gli risposi mentre premevo il pulsante della macchina
del caffè. Lui si sedette sullo sgabello alto, di fronte al bancone. Prese la
felpa dai fianchi e la infilò disinvolto. Il turchese gli donava.
-
Sì.
Fin da quando ero bambina. Odio sentire i piedi in prigione. – Afferrai due
delle tazze appese in bell’ordine alla parete della cucina e le disposi davanti
a lui.
-
E
non ti si gelano? Oggi fa freddo. – Mi sedetti ad aspettare che il caffè fosse
pronto.
-
Per
niente. Non lo so il perché. E’ sempre stato così. Edward ci diventa matto,
dice sempre che devo essere stata una foca prima di questa vita.-
Scoppiò a ridere e
il suo buonumore mi fu di conforto.
Bob era un tipo
strano, ma in fondo sembrava una brava persona. Tutta quella baldanza che
mostrava in pubblico forse non era altro che un paravento dietro al quale
proteggersi dal mondo che aveva intorno. Tutti noi in fondo cercavamo di
proteggerci, non accorgendoci forse che così facendo ci negavamo il vero vivere.
-
Sei
fortunata lo sai? – Lo guardai negli occhi cercando di capire cosa intendesse.
Dovetti chiederlo.
-
E
perché mai lo sarei? – Piegai la testa da una parte, incuriosita.
-
Perché
tuo marito è pazzo di te. – Quella verità mi fece crollare nuovamente nel mio
sconforto. Abbassai gli occhi e lui se ne accorse.
-
Ho
detto qualcosa di male? – Mi alzai per prendere la caraffa bollente del caffè
appena fatto. E dandogli le spalle gli risposi.
-
No,
per niente. Anzi ne sono felice…e non puoi capire quanto. –
-
E
allora perché fai quella faccia? – Mi voltai avvicinandomi al bancone e senza
rispondere versai quel profumato infuso nelle tazze.
-
Perdonami
Bella. Non sono affari miei, ti chiedo scusa. – Aggiunse.
-
Non
c’è nulla di cui scusarsi Bob è solo che …sono io una sciocca. –
-
Non
lo credo proprio, forse lo sciocco è lui. –
-
Cosa
intendi? – Afferrò la tazza, soffiando al suo interno per intiepidire il caffè fumante.
Mi guardava fisso, in attesa forse che capissi da me, ma non accadde. I miei
occhi gli diedero ad intendere che desideravo una risposta.
-
Forse
questo vostro stare sempre uno col fiato sul collo dell’altro non è poi così
positivo. Io gliel’ho detto, ma non credo lui abbia capito. –
Mi misi a ridere,
era assurdo quello che stava dicendo.
-
Ma
non è vero. Noi stiamo bene insieme. E’ sempre stato così. –
-
Sempre?
– Abbassai gli occhi ripensando agli errori e agli orrori dei mesi appena
dimenticati. Forse non sempre. Ma non era necessario che lui lo sapesse. Era
una cosa nostra.
-
Sì!
Direi di sì. –
-
Davvero
non ti accorgi di quanto quell’uomo abbia bisogno di non dipendere da te?
Credevo che almeno tu lo avessi capito. –
-
Ma
cosa stai dicendo. Lui non dipende da me? –
-
Ah
no? Hai lasciato che decidesse qualcosa da solo negli ultimi mesi? Che uscisse
da questa casa? Che vedesse altre persone? Per quello che so vivete in una
gabbia dorata che non aprite a nessuno e questo lo chiami vivere? –
-
Abbiamo
attraversato un periodo molto difficile e avevamo bisogno di stare insieme e soli.
Non sai niente di noi. –
-
Quello
che è stato mi sembra superato da un pezzo, ma sia tu che lui sembrate gli
unici a non volervene accorgere. –
-
Ma
dove vuoi arrivare? Dillo chiaramente, no? Sembra che solo tu abbia le risposte
qui. – Mi voltai con la tazza in mano scostandomi i capelli che all’improvviso
mi infastidivano il volto. Lui continuò tranquillo. Al contrario di quanto
sembrasse lui non stava facendo la predica a nessuno, ma il mio senso di colpa
mi spingeva a sentire anche quello che Bob non diceva per niente. Tornai a
guardarlo, sorseggiando il mio caffè.
Fece una pausa e poi sospirando mi fissò negli
occhi, parlandomi con calma.
-
Guarda
che io non ce l’ho con te e nemmeno con quel santo di tuo marito, Edward mi piace, ma mi accorgo che questa
vostra vita non è la vita vera. – Rimasi in silenzio, lasciandolo pensare. Poi
continuò.
-
Sono
mesi che state chiusi qui dentro, come se aveste qualcosa da nascondere. –
Gesticolava per esprimere meglio il concetto e seguii la direzione della sua
mano che mi mostrava la villa e tutto ciò che conteneva.
-
Sai
Bella, in barca ci siamo fatti una birra e un sacco di risate e credimi, ne aveva
bisogno. Non sa più cosa sia stare tra uomini. E’ assuefatto alla tua presenza
e sembra quasi che non riesca a farne a meno. Dovete smetterla di impedirvi di
stare l’uno senza l’altro. Pure tu ne hai bisogno …no?-
La realtà delle sue
parole mi colpì duramente.
Forse aveva
ragione. Anche se non poteva capire in che misura.
Mi sedetti di
fronte a lui e, afferrando la tazza tra le mani, provai a confidarmi. Bob non
aveva alcun interesse a dire quelle cose su di noi, quindi se si era concesso di
essere così esplicito era perché, forse, molte di esse erano fin troppo
evidenti. Approfittare del suo punto di vista divenne per me necessario.
-
Bob,
credi davvero quello che hai detto? – Lo dissi piano, quasi temessi la
risposta.
-
Mi
dici altrimenti perché avete tutti e due quella faccia? –
Mi lasciai
scivolare sul piano del bancone, appoggiando la fronte al tavolo.
-
Vorrei
tanto saperlo anch’io Bob…credimi. –
-
Posso
esserti di aiuto? Avete bisogno di una mano? – Sospirando mi sollevai, senza
però riuscire a guardarlo.
-
Basta
chiedere. Son qui apposta. Magari non è così difficile fidarsi di qualcuno…e magari…sarebbe anche ora che lo faceste.
– Parlava come un vecchio amico. Lo avevo sottovalutato quel bel ragazzone
spavaldo. Sotto quella scorza da bell’imbusto pareva avere un cuore grande.
-
Se
ti dico una cosa prometti che rimanga tra noi? –
-
Dimmi
figliola…quante volte? – E si atteggiò come se fosse seduto in un
confessionale. Scoppiai a ridere.
-
Dai,
non fare lo scemo, è importante. – Lo rimproverai.
-
Certo,
spara. Son tutto orecchi. – Appoggiò il mento sulle mani unite, sistemandosi
comodo coi gomiti sul tavolo, in attesa delle mie parole.
-
Ho
un problema di lavoro e …forse sarò costretta a rientrare in città prima del
tempo. – Gettai fuori le parole in fretta, liberandomi del peso di trattenerle.
-
E
dove sta il problema? – Lo guardai come se non capisse.
-
Dove
sta il problema? Bob, non potrò stare qui con Edward e glielo avevo promesso
capisci? Non sono io a decidere la cosa, altrimenti rimarrei senza nemmeno
pormi domande, ma devo…capisci, non ho scelta. –
-
Quindi?
–
-
Ma
come quindi? Edward non sa niente…e io non so come dirglielo senza che questo
lo faccia di nuovo crollare. Ecco cosa… –
-
Ma
ti stai sentendo? Mio dio è più grave di quanto pensassi. Questo non è amore reciproco,
ma dipendenza. Possibile che non te ne renda conto? Se soltanto il pensiero di
stare lontana qualche tempo ti getta nell’angoscia, figuriamoci lui come la
prenderà. Ma siete folli. –
-
Cosa
vuoi capire tu. Non hai una persona vicino che ha sempre bisogno di te. –
-
Questo
è vero…ma nemmeno tu ce l’hai. –
Lo guardai senza
trovare le parole per ribattere. Smontava ogni mia convinzione come se stessi
dicendo delle stupidaggini…mi innervosì, ma aveva ragione. Edward aveva
superato la fase dell’abbandono e le insicurezze che lo costringevano a
richiudersi in se stesso se n’erano andate da tempo. O almeno era quello che
dava ad intendere. Probabilmente ero io a credere di essergli indispensabile,
oppure …ero io a volerlo dopo tanta dolorosa lontananza. Bob semplificava le
ingarbugliate convinzioni che mi ero imposta e decisi di ascoltarlo ancora,
vedendo in lui una via di uscita a questo circolo vizioso.
-
Cosa
dovrei fare allora? –
-
La
cosa più semplice del mondo. Gli fai un bel sorriso e gli dici che al lavoro
c’è un imprevisto e che devi tornare a casa per un po’ di tempo. Che preferiresti
rimanere in vacanza con lui, ma il lavoro reclama la tua presenza. Che tornerai
appena possibile e che lo ami tanto. Non preoccuparti, non rimarrà solo. Ci
sono io con lui e anche la terapista che lo ha in cura, non vive qui? Edward non
me ne parla mai, ma so che dorme nella dependance e quindi al bisogno avrà chi
si prenderà cura di lui, no? –
Il pensiero di
lasciare Edward solo con Rose non mi piaceva molto, ma era anche vero che in
tutto il tempo che eravamo stati lì non aveva fatto altro che il suo lavoro.
Bob mi vide pensierosa e intervenne.
-
Beh,
che c’è? Ho detto qualcosa di sbagliato? –
-
No,
per niente. Anzi grazie per i consigli. Ci penserò. – Afferrai le tazze vuote e
le riposi sul piano della cucina.
-
Forse
è meglio che vada, sta per piovere e visto che oggi non si esce in barca me ne
torno a casa. Il mio cane avrà sbranato la sua ciotola e se non mi sbrigo verrà
a cercarmi. – Risi con lui accompagnandolo alla porta. Mi camminava accanto e
la sua presenza mi confortava. Aprendo lo salutai.
-
Ciao
Bob…e grazie. – Mi avvicinai spontaneamente a lui e sollevandomi sulle punte
dei piedi gli diedi un leggero bacio sulla guancia. Rimasi sorpresa quanto lui,
ma ormai lo avevo fatto. Mi sorrise tirandosi il cappuccio della felpa sopra la
testa.
-
In
bocca al lupo Bella. – E s’incamminò verso il sentiero che costeggiava il lago.
-
Crepi.
– Gli risposi mentre se ne andava.
Sollevò la mano per
salutarmi e richiusi la porta.
Edward emerse dal
fondo del corridoio buio con la faccia di uno che ha appena aperto gli occhi. Sorrideva stringendo
le palpebre per difenderli dalla luce e i suoi capelli erano reduci da una
lotta senza vincitori.
Un amore
stropicciato.
Gli andai incontro
abbracciandolo.
-
Buongiorno
cucciola. –
-
Ciao
tesoro, come ti senti stamattina? –
-
Un
catorcio. – Si liberò dall’abbraccio avvicinandosi al divano e lasciandovisi
cadere sopra. La sua espressione dolorante mi fece preoccupare.
-
Vuoi
il caffè? L’ho appena fatto. –
- Si
grazie, almeno mi sveglio un po’. – Mi avviai verso la cucina, alzando la voce
perché mi sentisse anche da lì.
- Devi
dirlo a Jasper. Stasera quando arriva gli chiedi da cosa può dipendere. –
- Dirà
solo che va tutto bene. Lo sai come la pensa. Più sento dolore, meglio è! E’ un
sadico! – Scoppiai a ridere.
-
Non
essere sciocco, vedrai che ti aiuterà. –
-
Non
posso aspettare fino a stasera, ho bisogno di un massaggio per rilassare la
muscolatura o impazzisco. Dovrò chiedere una mano a Rose. –
-
Ma
è domenica, il suo giorno di riposo. – Gli allungai la tazza e mi sedetti accanto
a lui.
-
Non
credo che mi negherà il suo aiuto. Poi non fa mai nulla nei fine settimana,
magari è anche contenta. Tra un po’ la chiamo e vediamo cosa dice. – Si
dimenava infilando cuscini dietro la schiena, non trovando pace. Sentirlo
parlare di Rose mi infastidiva sempre, era più forte di me, ma ora più che mai
dovevo fidarmi di lei…ne avevo bisogno per stare tranquilla nel caso me ne
fossi dovuta andare da lì.
-
Bob
si è visto? Starà ronfando. –
-
Si
è visto eccome. Abbiamo bevuto un caffè
insieme. Non ricordava nulla di ieri sera e ho dovuto spiegargli come mai fosse
qui da noi. –
-
Addirittura?
Era messo peggio di quel che sembrasse allora. Se n’è andato? –
-
Si,
proprio ora, ma mi ha chiesto di ringraziarti. – Mentii. Ma in fondo era così.
-
Bene.
Son contento di essergli stato d’aiuto. E’ una brava persona sai? Mi piace
molto. –
-
Anche
a me. – Gli risposi.
-
In
che senso? – Ironizzò scherzando.
-
In
tutti i sensi. – Giocai.
- Ah
è così? – Mi tuffai sopra di lui abbracciandolo a facendogli il solletico.
- Ti
prego non farlo…sei pazza. Vuoi vedermi morto. Non posso farcela.-
- Sei
fuori uso quindi. Peccato. Morivo dalla voglia di…- Mi tappò la bocca con un
bacio a tradimento e quando mi lasciò andare non trovai più le parole. Le sue
labbra mi spiazzavano.
- Piccola,
non scherzare col fuoco…potresti bruciarti. – Sussurrò. La sua dolcezza e la
sua forza erano sempre miscelate alla perfezione.
-
Ma
ora lasciami morire in pace…ho consumato tutte le mie energie e necessito di
ricarica. –
-
Vuoi
me?- Lo tentai.
-
Voglio
Rose. – Mi freddò.
-
E
la voglio subito. Passami il telefono per favore. Se non mi rimette in piedi lei
…è finita. – Non voleva certo ferirmi, ma tutto l’insieme dei pensieri che
traballavano sul limite del baratro della mia mente caddero facendo un rumore
assordante dentro me. Uno ad uno li raccolsi e li rimisi in ordine, mentre cercavo
quel maledetto cellulare.
-
Eccolo.
Preferisci che la chiami io? –
-
Grazie
non è necessario ce la faccio. –
-
Ok.
– A malincuore glielo allungai.
Compose il numero e
rimase in attesa. Il telefono trasmise il messaggio di terminale spento e
Edward sbuffando lo richiuse gettandolo accanto a sé.
-
E’
irraggiungibile. – Lasciò andare la testa all’indietro e chiuse gli occhi.
-
Vuoi
che vada io a chiamarla?-
-
Davvero
lo faresti? –
-
Certo.
Ora vado. –
-
Magari
con un paio di scarpe ai piedi. –
-
Certo…certo.
– Risposi distrattamente.
Mi infilai le
scarpe da ginnastica e un gilet imbottito senza maniche che tenevo sempre appeso
vicino alla porta d’uscita.
-
Torno
subito! – Gli urlai uscendo, ma non aspettai di sentire risposta.
Il giardino
profumava di rugiada e terra bagnata. Grossi merli e numerosi passeri cercavano
col becco di estrarre le loro prede dal terreno umido, rincorrendosi e
litigandosi il bottino. Gli alberi eleganti e scuri ondeggiavano nervosi,
sospinti da improvvise raffiche di un vento ancora indeciso su quale direzione
prendere. Camminando spedita verso il cottage rimasi colpita dalla sfumatura
spenta del prato, chiedendomi cosa avesse di diverso. I mille fiori di campo
che solitamente coloravano l’intera area sembravano essersi dissolti, ma subito
mi accorsi che avevano solamente il capo chiuso, in paziente attesa del primo
raggio di sole per mostrarsi in tutto il loro splendore. Li coccolai con gli
occhi sorridendo meravigliata di quanto la natura provvedesse a tutte le sue
creature donando loro la capacità di proteggersi o di donarsi a proprio
piacimento.
Era una cosa
miracolosa.
Essa offriva una
scelta a tutti noi, ma non ero convinta di potermi ritenere capace di usufruire
di questa opportunità. Mi sentivo sempre in balia degli eventi, anche quando
credevo di aver preso io le mie decisioni. La paura di fare la cosa sbagliata
mi avrebbe accompagnata sempre…nel ricordo di quel che avevo fatto a mia madre.
Mamma.
Era da tanto che
non pensavo a lei.
Farlo riapriva una
ferita mai del tutto rimarginata e non potevo permetterlo…non più di qualche
istante.
Ora la mia vita era
ripresa a funzionare come doveva.
Con Edward nuovamente
al mio fianco non temevo nulla…o quasi.
Giunsi a pochi
passi dal portoncino d’ingresso della dependance e mi fermai un istante.
Ingurgitai l’aria
umida riempiendomi i polmoni e la nuvoletta fumosa che uscì dalla bocca si portò
via i brutti ricordi riportandomi al presente.
Edward aveva
bisogno di lei.
Mi avvicinai
cercando un campanello da suonare, ma non c’era nulla sulla parete. Ne fui
sorpresa, ma provai comunque a bussare rimanendo in attesa.
Forse stava ancora
dormendo.
Tornai a bussare,
ma non ricevetti risposta.
Mi parve di sentire
delle voci provenire dal retro e provai a seguirle. Cercando di raggiungerle percorsi
il tratto di lastre di pietra che costeggiavano la piccola abitazione al posto
del marciapiede, attenta a non scivolare sul terriccio bagnato tra l’una e l’altra.
Un delicato profumo di rose accompagnò i miei passi, gialle e setose
incorniciavano rigogliose i confini della piccola abitazione. Quando raggiunsi
il porticato vidi Rose seduta su una grande poltrona in vimini, chiusa in un
grosso giubbotto che su di lei pareva di due taglie più grandi. Era
raggomitolata e si stringeva le ginocchia al petto. Parlava sottovoce, ma
sentii ugualmente ciò che stava dicendo al suo interlocutore.
-
Non
posso tornare a casa Emmet, ne abbiamo parlato un sacco di volte…-
Sembrava non avesse dormito per niente e mi
resi conto di non averla mai vista tanto dimessa. Era quasi irriconoscibile
rispetto alla Rose di San Francisco e sembrava che peggiorasse di giorno in
giorno. Edward mi aveva detto che doveva dipendere dal fatto di essere tornata
qui dove era cresciuta e aveva una famiglia, ma non ci si spiegava come mai non
parlasse con nessuno e nessuno fosse mai venuto a trovarla. Mi fece pena. E per
un attimo compresi che in qualcosa eravamo simili.
Famiglia, problemi….dolore.
Qualcosa ci univa.
Un’illusione che
durò un solo istante.
Quel che disse poi,
la riportò lontana anni luce da me.
-
Edward
ha bisogno di me e non lo lascerò finché non lo avrò rimesso a nuovo, ok? Puoi
pregarmi o arrabbiarti quanto ti pare, io di qui non mi muovo…scordatelo. –
Stavano litigando
di prima mattina. Non era un bel modo di iniziare la giornata e non lo era
nemmeno per me, visto che la ragione del litigio era il mio Edward. Per quanto cercassi di non pensarci quell’immagine di
lei nuda in casa nostra…e di mio marito che rideva come niente fosse
nel nostro bagno riemergeva sempre
quando meno me l’aspettavo…e questo era uno di quei momenti. Mi feci violenza
rimanendo in silenzio ad aspettare che terminasse la sua telefonata, sbollendo
una rabbia irrisolta che cercavo comunque di tenere a bada da sempre.
Forse un giorno
avrei dimenticato.
Forse.
-
Va
bene tesoro, se vuoi mi trovi qui…la mia porta è sempre aperta. Lo so….quando
puoi, non ti preoccupare. Bacio. Buona domenica. –
La vidi gettare il
telefono spento sulla poltrona accanto a sé e richiudersi bene il giaccone con
le braccia. Sembrava distrutta, mentre cercava di legare i suoi bei capelli
biondi in una coda scomposta. Mi feci coraggio e la raggiunsi.
-
Buongiorno
Rosalie. –
Usare il suo nome senza
diminutivi aumentava il distacco. Non riuscivo a farne a meno.
Dovevo darmi una
calmata.
Lei si spaventò per
la mia apparizione improvvisa e balzò in piedi soffocando un urlo.
-
O
santo cielo…è lei. –
Cambiò atteggiamento
non appena mi riconobbe, mettendo le distanze che le avevo imposto molti mesi
prima. La sua altezza mi disturbava, quindi mi sedetti senza chiedere il
permesso e lei fece altrettanto. Dopo qualche istante di silenzio mi rivolse
una domanda.
-
E’
successo qualcosa? Edward sta male? – Sapeva che per nessun’altra ragione mi
sarei rivolta a lei. Era perspicace.
-
Sì,
non sta bene. Da ieri accusa molti dolori alla schiena e alle gambe e voleva te…
per i massaggi, s’intende. – Il doppio senso era voluto. Sondavo le sue
reazioni che in realtà erano pacatissime. Sembrava non provare nulla. Era spenta come una sigaretta consumata
e grigia.
-
D’accordo,
posso venire anche tra poco. Il tempo di sistemarmi e lo raggiungo. – Si alzò
senza pensarci due volte, congedandomi. Ma io rimasi lì, seduta al mio posto.
Non sapevo perché io stessi facendo questo, ma mi venne spontaneo.
-
Se
non ti dispiace ti aspetto. – Rimase stupita.
-
Nessun
problema. Faccio in un attimo. – Mi fissò per un istante di troppo, poi voltandosi entrò in casa lasciandomi sola.
Mi sembrava strano trovarmi lì, vivevo
nella villa accanto da mesi, ma non mi ero mai avvicinata a quella casa. Alzandomi
curiosai intorno a me.
Il porticato era più ampio della casa
stessa e l’ambiente era completo e confortevole. Molto colorato e di gran
gusto. C’erano però tavolini sparsi in modo confuso, quasi li avesse spostati
per appoggiarvi i piedi. Una splendida chaise longue troneggiava su tutto il
resto del mobilio, resa più comoda da uno spesso materassino imbottito e da una
coperta di pile rossa come il sangue stesa sopra in disordine. Accanto c’era un
mobiletto bianco con piccoli cassetti sopra il quale era appoggiato un piccolo volume
che sembrava troppo gonfio per essere soltanto un libro. Mi avvicinai e dopo
aver controllato che Rose non fosse nei paraggi ne sollevai la copertina. Scoprii
una foto un po’ sbiadita che ritraeva due bambine uguali…due gemelle pensai. Si
tenevano per mano e sorridevano l’un l’altra di profilo. I capelli biondissimi
cadevano sulle loro spalle allo stesso identico modo e sembravano felici…perse
nel loro mondo. Dovevano avere circa dodici tredici anni…e mi ricordarono
qualcuno. Il dubbio durò un solo attimo, poi tutto mi fu chiaro. Era di Rose l’espressione che vedevo nei loro sguardi e quel profilo era rimasto lo
stesso anche da adulta. Lei aveva una sorella…una gemella, ma non ne aveva mai
fatto parola.
Il rumore della porta mi costrinse ad
abbandonare l’immagine lasciando ricadere la spessa copertina sui ricordi di
quella persona che viveva con noi da tempo , ma di cui non sapevamo proprio
nulla.
Finsi di non aver visto niente e una volta accanto
a me lei ed io ci avviammo silenziose verso la villa.
Ero turbata, ma lei non si accorse di
nulla.
Cosa nascondeva quella ragazza taciturna?
Chi avevo a fianco?
Quei dubbi non mi lasciarono nemmeno quando
Edward e Rose scomparvero all’interno dell’ambulatorio
nel retro.
Incapace di darmi risposte tornai sui miei
passi.
Avevo un’ora. Volevo saperne di più.
Lasciai la villa…e tornai al cottage.
adesso capisco perchè dici di amare Rose
RispondiEliminadeve avere un grosso dolore che la perseguita
bob è stato molto sincero e ha centrato la verità
spero che insieme possano superare anche questo
periodo di separazione se ci sarà!!
sei e sarei sempre una grande donna!!
Mary carissima.....un abbraccione
EliminaFelice della pubblicazione del tuo capitolo .Molto bella questa storia ,mi piace sempre di più .
RispondiEliminaCiao e alla prossima .
Grazie mille Federobi...ci conto :)
Eliminafra mi mancava leggerti...... sei sempre fantastica
RispondiElimina:)
EliminaEh no.. non ci puoi mica lasciare così cara mia.... adesso ti metti subito subito a scrivere.... a parte gli scherzi... son molto affascinata dalla tua storia e mi intriga sempre di più, lo sai io sono una romanticona e il ritrovarsi di Bella ed Edward mi ha veramente emozionato... spero di leggere al più presto il seguito! Grazie!
RispondiEliminaeva