mercoledì 6 marzo 2013

capitolo 32


Capitolo 32 – Edward



Il grande divano bianco nel salone era il migliore punto di osservazione della casa e sembrava studiato apposta per godere appieno le meraviglie di quel luogo. Voltandomi verso la parete di vetro potevo far scivolare lo sguardo fino alle calme acque del lago e coglierne l’umore, osservandone lo specchio illuminato dalla Luna. A volte immaginavo di vederne uscire una creatura immensa, come le favole sui laghi raccontano, ma accadeva solo con il buio, quando le paure tornano ad essere quelle di un bambino. Con la luce del Sole svanivano per tornare ad essere inquietudini più concrete…e la favola finiva. Di fronte al divano c’era un enorme televisore al plasma, fissato alla parete di roccia intagliata, che noi lasciavamo sempre spento e dimenticato.
Nessuno dei due aveva mai sentito il desiderio di usare il divano per quel motivo, preferivamo occupare il tempo dedicandoci uno all’altra e non ce n’eravamo mai pentiti. Era stato sempre il posto migliore per fare l’amore e per confidarci i nostri  segreti con lunghe e indimenticabili chiacchierate.
 Il caminetto era stato ricavato su quella stessa parete e formava una curvatura che conduceva al tavolo da pranzo. Era difficile descrivere le gesta dell’architetto di quella casa, perché le forme da lui scelte erano così originali da non avere alcun termine di paragone. I pochi mobili erano modellati in punti che sembravano creati apposta intorno ad essi e ogni cosa era esattamente nella sua sede ideale. Il pianoforte alle mie spalle era rialzato e il suo suono inondava la villa di armonia al solo tocco di una nota. Era fantastica.
Isabella era alle prese col caminetto e con mani ormai esperte stava ultimando il suo prodigio del fuoco. Da quando l’aveva dovuto fare la prima volta, in casa nostra a San Francisco, ne era rimasta così entusiasta che non aveva più permesso ad altri di toglierle quel piacere. La serata era stranamente fredda ed entrambi avevamo indossato delle comode tute di felpa per raggomitolarci meglio sul divano e stare caldi. La osservavo muoversi disinvolta, avvolta in quella maglia azzurra che le donava tanto, come se fosse sempre appartenuta a quella casa e mi resi conto di quanto quel posto fosse radicato in noi e di come, semplicemente accogliendoci, avesse risollevato le nostre esistenze dagli insopportabili pesi che avevano sostenuto nell’ultimo anno.
Isabella sollevò lo sguardo sentendosi osservata e mi sorrise cogliendomi in flagrante.
-         Come ti senti? – La sua voce era accompagnata dagli scoppiettii sordi della legna appena accesa e il suo volto era illuminato per metà da quella calda luce di fiamma.
-         A pezzi. Il dolore sta aumentando invece di smettere. Non dovevo dare retta a Bob…è fuori di testa. – Cercai di sollevarmi un po’ per sedere più diritto, ma le fitte alla schiena mi costrinsero a ripiombare lì dov’ero.
-         Hai preso qualcosa? E’ da un po’ che non usi antidolorifici vero?-
-         In effetti non ne ho avuto bisogno. Il dolore ultimamente era sopportabile. Credo che stasera però li dovrò prendere, non ce la faccio più. – Mi sedette accanto circondandomi con le braccia. I nostri movimenti erano sempre in sintonia e bastava un attimo per essere assorbiti uno con l’altro. Mi baciò sulla guancia, lasciando che il contatto durasse un po’ di più.
-         Vado a prenderli, torno subito. – Mi sussurrò sulla pelle.
-         Grazie, tesoro. – E la osservai, mentre si allontanava, scalza come sempre. Mi chiedevo come facesse a non avere i piedi gelati, ma lei era così maledettamente… inspiegabile. Riportai gli occhi sul fuoco, rimanendo prigioniero dell’incanto delle fiamme. La loro danza ipnotica portava i pensieri altrove ed era impossibile contenere la voglia di lasciarli andare. Immaginai noi due nel futuro  e, in ogni fotogramma di pensiero, tutto pareva svolgersi in quella splendida casa. Non sapevo cosa sarebbe accaduto alla fine dell’estate, ma più si avvicinava il momento e più l’ansia di lasciare quel posto si insinuava dentro me ferendomi.
-         Eccomi. Ti prendo un po’ d’acqua. – La sua voce mi distrasse e l’attenzione si spostò su di lei. Si era legata i capelli in modo da lasciare il collo scoperto e non potetti fare a meno di adorare la fossetta sulla nuca un po’ nascosta dal bordo della felpa. Quasi se ne fosse accorta la sfiorò con le dita, prima di sollevare un piccolo ciuffo sfuggito al resto della chioma, cercando di imprigionarlo insieme agli altri. Sorrisi da solo…amandola dolcemente anche per queste sciocche abitudini. La guardai dritta negli occhi, mentre tranquilla veniva verso di me col bicchiere in una mano e le pastiglie nell’altra.
-         Che hai da guardare? – Sorrideva sembrando in imbarazzo.
-         Niente…Non ti posso guardare? – Afferrai il bicchiere che mi porgeva e lasciai che mi mettesse la pastiglia in bocca.
-         Certo che puoi, anzi devi! Solo che stasera hai uno sguardo strano. Hai qualcosa da dirmi?- Mi stupì la sua domanda, soprattutto perché  mi era parso che fosse lei quella che per tutta la sera aveva cercato il modo di dirmi qualcosa. Ingoiai prima di rispondere.
-         Sei tu quella che deve dirmi qualcosa…o mi sbaglio? Non hai fatto altro che distrarti stasera. Non hai ascoltato una sola parola durante la cena. C’è qualcosa che dovrei sapere? – Mi guardava trattenendo il fiato. La cosa mi mise in ansia. La nascosi sorridendole. Si voltò avanzando verso la parete di vetro che dava sul lago. Non parlava.
-         Non fare così, ti prego. Mi spaventi. – Cercai di alzarmi, ma mi fu impossibile. Non se ne accorse, persa a guardare oltre il vetro le fronde degli alberi scossi dal vento.
-         In effetti c’è una cosa di cui ti vorrei parlare…- Sospirò appoggiandosi la mano sulla bocca. Non capivo. Mi irritai.
-         Ok, allora parla perdio. Se fai così mi fai pensare al peggio. Sono qui che non riesco nemmeno a muovermi. Ma che hai?-
Rimase ferma per qualche istante, poi sistemando i capelli inutilmente si voltò e venne da me. Il suo sorriso non era sincero ed ero sicuro mi stesse nascondendo qualcosa.
-         Edward, oggi pomeriggio, quando sei uscito in barca… - Fu interrotta da un rumore insolito. Qualcuno bussava alla porta. Ci guardammo stupiti perché mai nessuno era entrato nella proprietà alla sera e nessuno aveva mai bussato alla porta a quell’ora.
-         Chi può essere? – Era agitata.
-         Non ne ho idea. Forse Rose ha bisogno di qualcosa. – Ero perplesso.
-         Rose avrebbe chiamato prima di venire. –
-         Può essere che il suo telefono non funzioni, magari si è chiusa fuori di casa. –
-         Ma che cavolo stai dicendo. –
-         Ma non lo so, dicevo per dire. – Sussurravamo come due idioti, immaginando chissà quali cose, rimanendo fermi immobili sul divano.
-         Vai a vedere se dal vetro si vede chi è. – Lei si girò guardandomi come fossi un mostro.
-         Sei pazzo? – Altri colpi alla porta. Si voltò di scatto verso il rumore, mordendosi le dita spaventata.
-         Aiutami ad alzarmi, ci vado io. – Di nuovo tornò a guardarmi come un mostro. Mi misi a ridere.
-         La vuoi smettere di guardarmi a quel modo? Voglio solo vedere chi c’è lì fuori. – Tentai di sollevarmi a fatica, lei mi ignorò.
-         Allora? Mi dai una mano o no? –
-         Tu non ti muovi di lì. – Gli occhi spalancati cercava affannosamente di imporsi, ma era spaventata a morte.
-         Allora vai tu! – La sfidai. Era passato qualche minuto e non si sentiva più alcun rumore. Mi lasciai andare nuovamente sul divano , mentre Isabella si faceva coraggio e si avvicinava al vetro. Quando vi giunse davanti, una sagoma nera spuntò dal buio e si diresse verso di lei agitando le braccia.
-         Oh Mio Dio! – L’urlo che ne seguì svegliò tutti gli animali del bosco e mi fece accapponare la pelle. Isabella corse verso di me, mentre sotto il porticato si fece chiara la figura snella e atletica di Bob che reggeva un paio di birre per mano e sorrideva alla Shining.
-         Mi volete aprire?- Sillabò alitando sul vetro.  Avrei voluto sparargli sul posto ed invece scoppiai a ridere sollevato che fosse un amico…pazzo, ma pur sempre un amico.
-         Isabella vai ad aprire a quel cretino per favore. – La invitai ad alzarsi spingendola da dietro. Era rigida come un pezzo di legno.
-         Mi ha spaventata, ma che cosa voleva fare vedermi morta? – Ancora tutta stretta su se stessa si avvicinò alla porta spalancandola. Lo investì di ingiurie ancora prima che Bob riuscisse ad aprire bocca. Lui rispose ridendole in faccia ed entrando sereno, come se fosse casa sua. Isabella dietro di lui continuava a dare di matto, mentre lui si sedeva a gambe bene aperte sul divano e ghignando mi porgeva una birra.
-         Non siete molto ospitali qui eh? – Per niente sconvolto si rilassò sui grandi cuscini prendendo il posto di Bella. Mi pareva un po’ brillo, ma forse era solo un’impressione. Mi chiesi che cosa ci facesse lì a quell’ora, ma nonostante tutto ero felice di vederlo. Mi metteva il buonumore.
-         Sei fortunato che non ci siano armi, Isabella mi avrebbe costretto ad usarle. Ma che ci fai ancora qui? Pensavo fossi tornato in paese da ore. –
-         Ho approfittato per fare qualche modifica alla pedana che ti ho fatto usare oggi, ricordi? E le ore son passate senza che me ne accorgessi. Ho visto le luci accese e ho pensato che potevamo farci una birra. – Sollevò la piccola bottiglia facendola tintinnare con la mia.
Isabella stava in piedi davanti a noi, ancora stravolta. Non era carino, ma la stavamo ignorando. Mi rivolsi a Bob.
-         Hai mangiato qualcosa? – Indossava un paio di Jeans tutti scoloriti e una felpa turchese che doveva aver visto tempi migliori. I capelli erano ancora legati e umidi dal tuffo fatto nel pomeriggio. Gli occhi blu risaltavano sulla pelle scurissima e mi guardavano un po’ sorpresi.
-         No niente, ma non ti preoccupare, vedrò di mettere qualcosa sotto i denti più tardi. –
-         Non se ne parla. – Guardai Isabella che avendo capito dove volevo arrivare mi fissava seccata. Le lasciai il tempo di digerire l’idea. Fu lei a proporre la soluzione.
-         Ti va bene un po’ di torta salata e delle patate arrostite? – Guardava me, poi lui…e di nuovo me.
-         Grazie tesoro, molto volentieri. Sono secoli che non ceno come si deve.-
-         E ce ne sono molte altre di cose che non fai come si deve… "tesoro"…- Borbottò Isabella tra i denti allontanandosi verso la cucina.
Chissà perché quell’uomo mi metteva così a mio agio, me lo continuavo a chiedere. Era così e basta. E la cosa mi piaceva.
-         Allora tutto bene? Non guardi la partita di Basket? Accendi dai. – Stappò la sua birra ficcandosela in gola.
-         Non sapevo nemmeno la facessero, non faccio caso alla tivù. –
-         Ah no? E cosa fate? Scopate e basta? – Cercava i telecomandi guardandosi intorno. Per lui era normale arrivare al dunque senza tanti giri di parole.
-         Non ci crederai , ma ci sono moltissime cose che si possono fare. –
-         Ah si? Magari anche invitare gli amici, non è così? –
-         Esattamente. –
-         Bene, allora ci intendiamo. Hai delle noccioline? –
-         Non lo so Bob, ma prego…fai come se fossi a casa tua. – Gli feci il verso.
-         Grazie tesoro, sei un amico. – Si alzò, dopo aver appoggiato le birre sul tavolino basso di vetro di fronte a noi, e si mise alla ricerca dei telecomandi. Lo osservai, lasciando che si divertisse nella sua ispezione, per niente infastidito dalla sua intrusione. Isabella ed io eravamo sempre soli la sera e non mi ero reso conto di quanto piacevole fosse ricevere qualche visita inaspettata finché quell’ammasso di muscoli abbronzati non  si era presentato alla porta.
-         E dimmi, ti succede spesso di fermarti fino a tardi alla barca? – Apriva      cassetti e sollevava copie di riviste sparse qua e là.
-         Non molto. Di solito me ne vado prima che il sole tramonti…eccoli qua.- Sollevò vittorioso i telecomandi e premette subito il pulsante di accensione. Immediatamente le immagini filtrarono illuminando la sala e in quel momento arrivò anche Isabella con un vassoio colmo di roba.
Trovò il canale che stava cercando e si sedette pesantemente al suo posto. Visto il vassoio davanti a lui, cominciò a mordere visibilmente affamato. Mi chiesi come arrivasse alla villa tutti i giorni e anche dove tornasse tutte le sere. Aveva una casa? Era solo? La sua famiglia viveva lì? Non sapevo niente e mi ripromisi di scoprire qualcosa alla prima occasione in cui fossimo rimasti soli. Isabella si era seduta accanto a me un po’ rigida, ma non sembrava più tanto arrabbiata.
-         Il basket è il mio sport preferito…dopo la vela s’intende. Giocavo parecchio quando vivevo coi miei. Mio fratello era un campione. –
-         I tuoi vivono qui sul Lago? – Isabella ed io lo guardavamo, mentre masticando raccontava di sé. Era uno spettacolo migliore della tivù.
-         Vivevano qui, sì. Sono morti uno dopo l’altro di malattia un paio d’anni fa. Mio fratello Carl si è trasferito a Miami per lavoro e così ora sto da solo in quella grande casa sotto le montagne. – Non c’erano note dolenti nella sua voce, forse un lieve rammarico per essere rimasto solo.
Amava suo fratello ed era felice del fatto che fosse diventato ciò che aveva sempre sognato. Un ricercatore. Lo descrisse tra le ampolle e le provette, fingendo di deriderlo quando invece era evidente quanto fosse fiero di lui.
Gli mancava. Ma non lo disse.
La solitudine spesso si manifesta con un carattere esuberante e una gran voglia di esibizionismo, come a sopperire quel silenzio che si percepisce stando soli con se stessi e che pesa fino a procurare sofferenza.
Bob doveva sentirsi solo…ecco perché era capitato lì a quell’ora. Non aveva nessuno a cui tornare, se non una grande casa vuota.
Questa considerazione aumentò la mia stima per lui, comprendendo bene quali fossero le sensazioni che provava e dove andassero a parare i suoi pensieri…soprattutto col giungere del buio e della notte. Avevo vissuto sulla mia pelle quelle stesse angosce e lo capivo.
Finito di cenare Bob ci raccontò alcuni aneddoti divertenti della sua vita e anche Isabella, ormai rilassata, rise fino alle lacrime. Era dolcissima, accoccolata accanto a me. Ci servì il caffè e la torta di mele che dopo cena avevo rifiutato e che improvvisamente mi era venuto voglia di assaggiare. Mi sentivo molto meglio, tanto da riuscire ad alzarmi per accompagnarlo sotto al portico per una sigaretta e un brandy. Isabella era tornata in cucina a sistemare e lo aveva salutato prima di andare.
Ci sedemmo sui divanetti imbottiti, al buio. Faceva freddo, ma il vento si era calmato e il solo suono chiaro e regolare era quello dei grilli nascosti dalle tenebre.
-         Bella seratina eh? – Era stanco, aveva bevuto parecchio e aveva l’aria di non trovare pace.
-         Qualcosa ti tormenta Bob? –
-         Cosa te lo fa pensare? –
-         Mi sembri un po’ alticcio e sto decidendo se lasciarti andare a casa o tenerti qui stanotte a smaltire tutto l’alcol che ti sei bevuto. –
-         Sto bene…sto bene. – Portò la sigaretta alla bocca e dopo un ultima boccata la lanciò sull’erba, dove si spense lentamente… come una lucciola morente. – Ho solo bisogno di distrarmi un po’. –
-         Pensieri? –
-         Sai…in barca oggi…Parlare di Emily mi ha fatto male. Quei ricordi sono dolorosi e non ci pensavo da un sacco di tempo. Ho soltanto bisogno di metabolizzare la cosa…e l’alcol mi aiuta. Ora vado, tolgo il disturbo e scusa se ti sono piombato in casa a quel modo. – Si alzò sistemandosi i pantaloni e si mise davanti a me.
-         Sei sicuro di farcela? –
-         Certamente. Ci sono abituato. –
-         Come torni a casa? –
-         Ho la moto appena al di qua del cancello. La metto sempre dietro il capanno che uso come ricovero attrezzi. –
-         Non l’ho mai visto. Non sapevo ci fosse. –
-         Certo che non lo sai, non esci mai di qui. –
Era vero. Cominciavo a capire cosa intendesse dire quel pomeriggio sulla barca e cominciavo anche a capire il vero motivo della sua visita improvvisa.
-         Touché! Hai vinto tu. – Mi arresi.
Tolse dalla tasca il suo pacchetto di sigarette e con un colpetto preciso ne fece uscire una infilandola direttamente in bocca. Si prese il tempo di accenderla con calma e poi me la offrì.
-         Non fumo più grazie. Ho smesso dopo l’incidente. –
-         E mi sa che non è l’unica cosa che hai smesso di fare…tieni dai. –
-         Non ne ho voglia. –
-         Allora sei proprio una checca. Ok… - La rimise in bocca lasciandola fumare mentre parlava.
-         Sai Edward…vivere soli ha i suoi lati positivi. Puoi girare nudo per casa, mangiare quando ne hai voglia, tornare tardi la notte…ubriacarti se ti va, ma…sapere che a casa qualcuno ti aspetta, vederlo sorridere quando ti vede arrivare, guardare la sua faccia mentre racconti la tua giornata…fare l’amore, sono le ragioni che mi spingono a credere che vivere soli sia solo una merda. –
Stava appoggiato alla colonna, rivolto verso il bosco, piegato dai suoi stessi pensieri e senza desiderio di porvi rimedio. Un uomo sconfitto. Questo non me lo aspettavo da lui. Non dopo aver visto l’energia di cui era capace. Eppure non rimasi così sorpreso.
-         Puoi sempre fare qualcosa per cambiare la situazione. –
-         Non ci riesco. –
-         Hai un sacco di ragazze, qualcuna ci sarà disposta a condividere la tua vita no? –
-         Nessuna di loro è lei, come lei non ne ho più incontrate. Emily era solare, riempiva l’aria intorno  a sé e tutto il rumore che faceva…dio non puoi capire quanto fosse casinista…era vita pura. E io l’ho gettata via. Non riesco a perdonarmi quello che ho fatto. Non credo ci riuscirò mai. Se ha perso la vita è stato soltanto a causa mia. – Abbassò il capo e sedette sullo scalino che scendeva sul prato davanti casa.
Rimasi in silenzio per un po’, sorseggiando il mio brandy e osservando come un ricordo potesse distruggere la vita di uomo. Io stesso in ricordo della vita che avevo vissuto, prima di perdere le gambe, avevo mollato tutto, perso interesse per la vita…e abbandonato mia moglie per paura che fosse lei a farlo. Il solo pensiero di perderla mi spaventava al punto di evitare di parlargli tenendola lontana.
Mi ero sbagliato su tutto.
Lo stesso poteva essere accaduto a Bob.
Forse quel senso di colpa lo aveva creato come alibi per affrontare il dolore della morte di lei. Per dargli un senso, anche se la morte di una ragazza giovane un senso non lo ha mai.
-         Credi davvero sia tua la colpa? –
-         Lo è, credimi. Tutti in paese lo sanno, lo leggo in faccia ad ognuno. Non puoi capire che significa…è terribile. –
-         Vuoi raccontarmi cosa è successo? – Non rispose subito. Lasciò che la sigaretta arrivasse quasi alla fine prima di trovare le parole. Attesi paziente.
-         Non voglio raccontarti tutto quello che è successo, non credo che capiresti e non credo di farcela. –
-         Provaci. – Ne aveva bisogno eccome.
Sospirò e riprese a raccontare.
-         Una sera lei venne da me dicendomi che aspettava un figlio, progettando felice il nostro futuro. Io mi spaventai…ero solo un ragazzo. Non sapendo che fare le risi in faccia e la mandai via. – Si schiarì la voce rotta dall’emozione. – La mandai via capisci? Quella notte si ubriacò e per uno stupido gioco di equilibrio cadde nelle acque del lago. – Piangeva in silenzio. Si asciugò la faccia col dorso della mano. Non dissi nulla. Lui continuò. – Cercai di salvarla, ma la persi nel buio e per quanto ci abbia provato non sono stato capace di ritrovarla. – Guardava le acque del lago come ad un nemico oscuro e mi sentii rabbrividire all’idea di quello che aveva dovuto sopportare in tutto quel tempo…e allora.
-         E’ stata colpa mia capisci? Tutta colpa mia. – Era distrutto.
-         Riuscii a salvare sua sorella, che da quel giorno non ho più visto. – Prese la testa tra le mani e sciolse i capelli scuotendoli. Attorcigliò l’elastico tra le dita, poi afferrò la sigaretta che teneva all’angolo della bocca e la lanciò lontano. Si alzò sospirando e cercando di cambiare umore, ma gli si leggeva in faccia quanto stesse soffrendo. Barcollò verso il bicchiere di Brandy ancora pieno e lo scolò d’un fiato. Aveva bisogno di aiuto e seppi improvvisamente che fare. In quelle condizioni le parole di conforto non sarebbero servite a niente.
-         Tu stanotte rimani qui. –
-         Non se ne parla amico. Io voglio…–
-         Non mi importa cosa vuoi fare tu. Stanotte rimani qui. Non voglio averti sulla coscienza, quindi prendi le tue belle chiappe sode e vieni con me. La tua camera ti piacerà. – Gli si chiudevano gli occhi e se si fosse addormentato lì non sarei stato in grado di spostarlo. Lo trascinai per il braccio e lui mi seguì brontolando. Chiamai Isabella che mi raggiunse aiutandomi nell’impresa e dopo pochi minuti Bob giaceva addormentato in un letto, sotto una coperta calda.
-         Ma che gli è successo? – Mia moglie non capiva.
-         E’ un uomo solo  e disperato. Non ti ricorda qualcuno? –
     Isabella si ritrasse irrigidendosi.
     Ero io quello che ora non capiva.

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