venerdì 25 gennaio 2013

Capitolo 31


Capitolo 31 – Edward



 La veduta del lago dalla piccola baia era qualcosa di straordinario. Il mattino presto la luce del Sole illuminava le vette più alte del monte Witney,  sulle cui cime si intravedeva il biancore dei ghiacci accumulati d’inverno. Limpide e luminose si stagliavano sullo sfondo indaco del cielo estivo. Man mano che le ore avanzavano quello stesso splendore si posava sulla vallata, come una cascata di luce che la faceva brillare.  Quando potevo, al mattino, uscivo presto e mi sedevo sotto al portico ad ammirare tutto questo, senza stancarmi mai di quel silenzio colmo di vita. I lunghi mesi trascorsi nel mio appartamento mi avevano costretto a dimenticare quanto fosse appagante riempire i polmoni di quel fresco refrigerio che era l’aria pura ed ora che ero libero, non mi bastava mai. I boschi profumavano di resine e di natura e i versi degli uccelli al mattino si prolungavano in un canto senza sosta. Una meraviglia. Dopo lunghi mesi, avevo finalmente gettato via la mia sedia a rotelle…unica temuta compagna di un lungo periodo di silenzi e di dolore e  che, forse per la prima volta, riuscivo a credere fossero dimenticati per sempre. La calma e la pace di quel posto mi avevano riportato alla vita e pensare di andarmene mi faceva stare male. A volte sospettavo che quel sogno fatto mesi prima, di me e Isabella abbracciati ad ammirarlo,  non fosse stato un caso, ma piuttosto un cenno del destino che ancora una volta aveva deciso tutto senza consultarmi.
La prima volta che Isabella ed io eravamo usciti in barca, Bob ci aveva gentilmente fatto da Cicerone, ricamando storie divertenti e curiosità intorno ad ogni lembo di terra lungo la costa. Diceva che c’era qualcosa di magico in quella distesa d’acqua e intorno alle guglie dei monti circostanti  e che probabilmente nessuno, a parte lui,  lo aveva ancora capito. Come leggende indiane le sue storie ogni volta cambiavano, ma era talmente divertente ascoltarlo che decidemmo di non farne cenno. Mi piaceva solcare le acque trasparenti senza nessun’altra compagnia che il vento, amico inseparabile di quelle vele sciolte che sembravano ballare per invitarlo ad entrare e a portarle via con sé. Lentamente stava riemergendo quello che avevo sepolto mesi addietro in fondo all’anima e la cosa aveva del miracoloso davvero.
Forse Bob aveva ragione, quel posto era veramente magico.
Dovevo iniziare a togliere tutti quei forse dai miei pensieri e casomai aggiungere degli imperativi che mi liberassero definitivamente dalle mie paure.
Cammina!
Respira!
Vivi!
Ogni giorno un passo in più.
Ogni giorno una goccia di timore in meno.
Isabella il mio sostegno. Sempre.
Non mancava nulla perché ciò accadesse. Tutto sarebbe andato per il meglio.
Il vento cambiò improvvisamente direzione e il boma mi passò di colpo sopra la testa sfiorandomi.
-                    Ehi Eddy, mi dai una mano o te ne rimani lì impalato? – La voce ironica di Bob era sempre confortante.
-                    Credevo fossi tu lo skipper, che ti pago a fare sennò? Mi stavi per tagliare di netto la testa. –
Tirava e allentava le cime che governavano la barca, fissandole ai morsetti con movimenti esperti. I lunghi capelli biondi gli finivano sempre davanti agli occhi e continuava a toglierli seguendo un’inutile schema che ogni volta li riportava dov’erano. La sigaretta gli pendeva dalle labbra e, quando parlava, questa dondolava spargendo cenere al vento.
-                    Non fare la signorina e datti da fare. Solleva i parabordi o ce li perdiamo per strada. Usa il mezzo marinaio e sta attento o va a finire che ti dovrò ripescare io. –
Afferrai il manico di legno e sporgendomi agganciai quei salsicciotti di gomma puzzolenti. Li sollevai e senza toccarli li feci pendere all’interno.
-                    Ma guarda che schifo. La dai mai una lavata a questi cosi? Puzzano di pesce marcio e hanno più alghe appiccicate intorno di quante ce ne siano sul fondo del lago. –
-                    Smettila di frignare. Quello è profumo e, se non fossi la checca che sei, te ne accorgeresti, ma da dove vieni?...Puzza. Tu sei pazzo.–
Stare solo con Bob mi faceva sentire bene, come se fossi tornato indietro ai tempi delle vacanze con mio fratello e i nostri amici. All’epoca noleggiavamo una piccola vela a testa e poi organizzavamo delle mini regate tra noi, insultandoci ogni volta che ci passavamo accanto. Erano ricordi fantastici e mi accorsi che le cazzate tra uomini mi mancavano.
Bob era affaccendato e, anche se continuava a fare il cretino,teneva ogni cosa sotto controllo, compreso me che ancora non ero tanto fermo sulle gambe da sentirmi sicuro.
Cominciai a sudare e la maglietta nera mi si appiccicò addosso.
-                    Fa un caldo pazzesco oggi, non trovi? Il Sole picchia di brutto. –
-                    Vuoi la cremina? Te l’ho detto che sei una checca. Stammi lontano…oggi ho le mie cose, baby. – Scoppiai a ridere e lui fece altrettanto.
-                    Sei un cretino. – Gli urlai, mentre si spostava a prua.
-                    Grazie, mi sento meglio ora. – Mi rispose saltando una fune volante.
Allentò la cima della vela maestra lasciando che il vento la gonfiasse del tutto e pian piano la barca acquistò velocità. Lo sciabordio dell’acqua sotto la chiglia era davvero rilassante. Un piccolo gruppo di gabbiani passò sopra di noi superandoci e planando poco più in là in cerca di cibo.
Bob venne a sedersi accanto  a me, lasciando che fossi io a governare il timone, alzando di tanto in tanto lo sguardo per controllare fosse tutto a posto.
-                    Fa caldo davvero.– Si alzò per scomparire sotto coperta.
-                    Ti va una birra? – Risalendo me la lanciò, ancor prima che rispondessi e l’afferrai al volo, lasciando per un attimo il timone.
Sollevai la linguetta del tappo e misi il collo della bottiglia in bocca.
Un paradiso gelato.
Rimanemmo un po’ in silenzio, lasciando che lo sguardo spaziasse libero e che al contempo saziasse il bisogno di pace che spinge gli uomini a prendere il largo soli, a bordo di una barca.
Finimmo la birra senza dire una parola.
Bob era in piedi sul bordo, rivolto verso il sole, con la sua solita sigaretta mezza spenta e ogni tanto canticchiava qualcosa che non conoscevo.
Mi piacevano quei momenti. Sentivo la vita avvolgermi e accarezzarmi, invitandomi ad amarla in quel modo intenso che avevo scordato. E mi lasciavo andare, non riuscendo a fare a meno di sorridere di tanto in tanto.
Bob si girò e cominciò a fissarmi.
-                    Sai che sei proprio cambiato? Sembri un altro. Stai proprio bene. –
-                    Che fai,  ci provi tu adesso? –
Mi sorprendeva sempre, uscendosene con frasi che non mi aspettavo. Era difficile fare un discorso serio con lui.
-                    Non ci penso proprio, hai già la tua Bella che ti aspetta e non ti nascondo che  mi piacerebbe che aspettasse anche me…una come lei. –
-                    E’ uno schianto vero? –
-                    Oh si, lo puoi dire forte. Un gran bel bocconcino. –
-                    Ehi, vacci piano…è mia moglie. – Sbuffai scherzando.
-                    Lo so amico. Tranquillo. Volevo solo farle un complimento. –
Riaccese la sigaretta che nel frattempo gli si era spenta e aspirando forti boccate la ripose all’angolo della bocca. Chiuse il tambuccio e si sedette sopra la cabina.
-                    È da molto che vi conoscete? – Allungò le gambe.
-                    A me sembra di averla sempre avuta accanto. Non ricordo quasi nulla della mia vita prima di incontrare lei. – Era vero.
Ritornai con la mente a quel giorno al parco, quando tutto ebbe inizio e il confine tra realtà e ricordo si dissolse.
-                    Devi amarla molto. A volte ti osservo mentre sei con lei. Sei diverso. –
-                    Cosa intendi? –
-                    Si beh, è una cosa strana, non so come spiegartela, ma sei diverso e basta. –
-                    -Provaci. –
-                    Non chiedermelo, non sono bravo in queste cose. Le donne per me son tutte uguali, nessuna è mai stata speciale più delle altre. –
-                    Per questo non ti sei sposato? – Rise poco convinto.
-                    Il matrimonio non fa per me. Non sono nato per essere di una donna soltanto. Sarei sprecato. –
-                    Oh ohhh, sentilo. Quindi rimarrai scapolo a vita? –
-                    Ti sembra una cosa brutta? A  me va bene così. –
-                    Ma davvero non ti sei mai innamorato tanto da perdere la testa?-
-                    Una volta…molto tempo fa. – Abbassò gli occhi e un velo scuro sembrò ricoprirlo.
-                    E come finì? – Mi incuriosiva. Non aveva mai parlato di sé e del suo passato.
-                    Nel peggiore dei modi. – Fece un pausa, lasciai che trovasse le parole. - Vedi Edward, a volte si ama, ma non abbastanza. Quando si è giovani non è facile comprendere la grandezza del sentimento che si prova; soprattutto se si è dei cretini come lo ero io…e non si ha il tempo di pensarci come si deve. Il sesso, da ragazzi, è come una droga e io ero decisamente dipendente. Non che non lo sia anche adesso si intende,  ma…era diverso. L’ho capito troppo tardi quello che avevo perso. – Gettò la sigaretta in acqua, lasciando che lo sguardo seguisse la scia della caduta. Rimase a fissarla, mentre galleggiava ondeggiando.
-                    E lei che fine ha fatto? –
La sua risposta gli rimase sospesa tra le labbra, finché uscendo dalla sua bocca mi precipitò addosso.
-                    È morta. – Rimasi in silenzio, assimilando quella confidenza come se l’avesse introdotta in me dolorosamente in vena. Non mi potevo aspettare che mi rispondesse a quel modo e all’improvviso mi sembrò di aver violato un comparto segreto del suo cuore…e di non averne il diritto.
-                    Scusami – cercai di rimediare – non dovevo chiederlo. -
-                    Non preoccuparti è successo molto tempo fa e la vita va avanti. –
Scese saltando agile sopra il ponte togliendosi la maglietta ormai fradicia che aveva. Il suo volto era di nuovo allegro e la voglia di scherzare era tornata. Si legò i capelli con un piccolo elastico che teneva al polso.
-                    Che ne dici se ci facciamo un tuffo? L’acqua è favolosa e qui si vede il fondo. –
Eravamo vicini alla costa a ridosso di una piccola baia protetta dal vento. L’acqua era invitante e trasparente come nella piscina della villa. Bob gettò l’ancora ancor prima di smorzare la vela, già sgonfia di vento.
-                    Tu sei pazzo. Non ci penso proprio. Mi dici come faccio? –
-                    Che c’è hai paura? Sei in acqua dalla mattina alla sera, che cosa ci sarà mai di diverso. -
-                    C’è che qui non ho chi mi salva. – Ero improvvisamente inquieto.
-                    E io chi sono, un idiota? Credi che non saprei tirarti fuori dall’acqua se ce ne fosse bisogno? Avanti non fare storie. È tempo che cominci a pretendere qualcosa di più da te stesso. – Mi fissò e vidi il pazzo che viveva in lui. Quella lucina negli occhi mi fece paura.
Si tolse i pantaloni e anche il costume, rimanendo nudo davanti a me. Mi fissò ghignando.
-                    Lo vedi che sei una checca? Stai sempre lì a fissarmi il pisello. – Mi sfidava facendo il gradasso, mani ai fianchi. Scoppiai a ridere.
-                    Ma ti stai vedendo? Ma che ti sei fumato? –
-                   Dimostrami che sei un uomo e buttati dentro questo paradiso senza tante storie. –
-                   Ma non ce la faccio! –
-                   Quanto sei pesante. Sbrigati che mi annoio. -
Afferrò una tavoletta galleggiante dentro un contenitore al mio fianco e la gettò in acqua. Era legata ad una cima che fissò ad un moschettone.
-                    Dai, ci buttiamo insieme…sei contenta? –
-                    Vaffanculo Bob! –
-                    Non mi sembra il momento, visto come sto messo ora. – E scoppiò a ridere.
-                    Datti una mossa prima che mi ecciti. O vuoi che ti spogli io?– Fece per avvicinarsi. Lo fermai alzando le mani.
-                    Ok, ok, ok…faccio da me. –
Mi tolsi i vestiti un po’ impacciato, anche se farmi vedere nudo ormai non mi faceva nessun effetto. Avevo più mani addosso io ogni giorno di quante ne avesse una prostituta in un orgia…solo che non era così piacevole.
Mi alzai sostenendomi al parapetto e lentamente mi avvicinai al cancelletto aperto.
-                    Devo essere pazzo a darti ascolto. Lo so che me ne pentirò. –
Bob era accanto a me che rideva e allo stesso tempo mi sosteneva saldamente.
-                    Andrà tutto bene. Ti fidi di me? – Mi voltai a guardarlo.
-                    No, per niente. –
-                    Bene. Prendi fiato. – E così dicendomi mi trascinò in acqua con lui.
Il tuffo mi lasciò senza forze e mentre risalivo aprii gli occhi assaporando i suoni ovattati  e lasciandomi accarezzare dai raggi del Sole che tagliavano la superficie come coltelli.
Uscii urlando, spinto dalle forti braccia di Bob che non mi aveva lasciato un solo istante.
-                    Cazzo è freddissima. – Dissi sputando ovunque, anche in faccia a lui.
-                    Non dire stronzate, è stupenda. È tutto ok? –
-                    Si, si! Anche se ancora non so cosa cazzo ci faccio qui nudo con te. –
Scoppiò a ridere, senza mai lasciarmi e lentamente mi avvicinò alla tavoletta. L’afferrai deciso e lui mi lasciò.
-                    Una sana botta di vita non può che giovarti, amico. Vorresti perderti tutto questo? Da quanto tempo non fai veramente qualcosa di divertente? Due mesi, sei, un anno? Ne hai bisogno credimi…ti si legge in faccia. –
-                    Davvero? –
-                    Cazzo guardati, sei una mummia. – La diplomazia non gli apparteneva. Gliene fui grato.
-                    Fatti i cazzi tuoi. Io sto benissimo. Ho tutto quello che  mi serve. –
-                    Ah davvero? Tu e Isabella, Isabella tu,  tu e Isabella? Ma non ti rompi le palle? –
-                    Per niente. Isabella è tutta la  mia vita. –
-                    Ecco cosa intendo. Davvero non senti il bisogno di niente altro che la tua bella mogliettina? Ci sono un sacco di cose che puoi fare anche se lei non è con te. –  Mi rimaneva accanto, muovendosi per tenersi a galla.
-                    Cosa dovrei volere di più? –
-                    Questo ad esempio. Un po’ di sano cazzeggio tra uomini. –
Ci pensai un istante e tutto sommato il suo discorso filava, ma pensare me senza lei ancora mi risultava faticoso.
-                    Ma non ne ho bisogno...o almeno credo. –
-                    Io invece ne sono sicuro. Anche uscire ti farebbe bene. Andate mai giù in paese? –
-                    Veramente no, ancora non l’abbiamo fatto. Per ovvi motivi. – Aggiunsi.
-                    Beh, ora stai bene, se avete bisogno di un amico che vi guidi nei posti giusti fammelo sapere. Sarei felice di farlo. E una sera esci con me e ci facciamo una birra. –
Lo osservai, mentre si girava e iniziava a nuotare a larghe bracciate. L’acqua era talmente trasparente da sembrare che Bob stesse volando nell’aria. Era un tipo strano, ma la sua franchezza mi portava coi piedi a terra e l’apprezzavo più di quanto gli dessi ad intendere.
Lasciai cadere la testa indietro immergendola nell’acqua e sollevandomi lisciai i capelli con le mani. La tavoletta si allontanò di poco e l’afferrai prima che se ne andasse. Avrei voluto staccarmene e nuotare anch’io come Bob, ma al momento quello che stavo facendo era già abbastanza. Cominciai a sentire freddo.
-                    Si sta divinamente, tutto ok? – Era già di ritorno e mi era di nuovo accanto.
-                    Certo tutto ok, ma mi è sparito il pisello per il freddo…non è che ci resti male vero? – Rise.
-                    Vuoi una mano per ritrovarlo? – Si avvicinò con intenzione.
-                    Ti distruggo se ci provi. Tieni le mani a posto. –
-                    Allora ti arrangi a salire! – Mi provocava di nuovo.
-                    Cafone! –
-                    Checca! –
-                    Stronzo! –
-                    Si, questa mi piace. Grazie. – E scoppiammo di nuovo a ridere.
-                    Dai saliamo o la tua dolce metà mi denuncia per rapimento. – Mi appoggiai a lui e ci avvicinammo alla scaletta. –
-                    Rimani qui. Appoggia i piedi su quella pedana che vedi lì sotto e vedrai che bella magia. – Risalì velocemente la scaletta e scomparve oltre il parapetto. Torno dopo pochi istanti con un  telecomando in mano.
-                    Occhio alla magia. Tieniti ai sostegni. –
Lo guardavo interrogandomi se fosse pazzo. Premette il pulsante e lentamente la pedana mi sollevò dall’acqua. Scorreva su due guide che non avevo notato per niente e fu facile dopo meno di un minuto fare il passo per tornare sul ponte.
-                    È Fantastico. –
-                    Vero? Ne sono molto orgoglioso. L’ho progettato io e ancora non l’avevo provato. Mi servivi da cavia.
-                    Che farabutto, credevo mi amassi…- Scherzai. Lui stette al gioco e dopo una serie di battute decisamente scadenti ci accorgemmo di essere ancora nudi sul ponte. Mi passò un piccolo asciugamano e ne prese uno per lui. Ci stavamo asciugando in piedi soprapensiero, rivolti verso la costa deserta, quando vedemmo giungere da prua un motoscafo di quelli a noleggio, un’imbarcazione di medie dimensioni che poteva contenere fino a  quattro persone. Distese a prua c’erano tre ragazze in bikini che gettavano lo sguardo verso di noi e alla guida un ragazzetto che faceva loro da skipper. Ci coprimmo tenendo l’asciugamano aperto sul davanti. Bob subito disse la sua.
-                    Uh guarda quanta carne al Sole. Alla biondina sembra scoppi il reggiseno. –
-                    Anche la brunetta col capello corto non è male. –
-                    Ha un culo da urlo. Me la farei. E mi sta mangiando con gli occhi. –
-                    Ma se sta guardando me. –
-                    Si …sogna, qui il fico sono io. Sono famoso sai?-
-                    Ah davvero? E allora perché mi sta praticamente scopando con lo sguardo? .
-                    Si vede che non ci vede bene. La bionda si è tolta il reggiseno. Quella mi vuole. La troietta ci sta. Ti dico che ci sta. Che faccio le chiamo?–
-                    Non ti azzardare a farlo. Sorridi e saluta. –
-                    Che ne dici se facciamo loro una sorpresa? –
-                    E che vorresti fare? –
-                    Non l’hai capito? –
-                    Si, ma non voglio crederci. Sei un pazzo. –
-                    Sono qui davanti, al tre lo facciamo ok? –
-                    Tu sei fuori di testa. –
-                    Fammi contento, cazzo! –
-                    Ok! Vai! –
-                    Uno, due, tre. –
Ci strappammo di dosso gli asciugamani microscopici e le salutammo sventolandoli in aria. Rimanemmo nudi come due salami a fare gesti che le ragazze trovarono esilaranti. Tutte e tre ridevano come pazze e urlavano, guardando questi due deficienti tornati bambini. Quando il motoscafo passò oltre mi resi conto di non essermi divertito tanto dai tempi del liceo e mi ritrovai a battere il cinque a questo incredibile uomo che mi stava regalando tutto questo.
-                    Credo che la bionda sia svenuta, ha fatto una faccia. Credevo di morire dal ridere. – Blaterava perdendosi le parole tra le risate.
-                    Oh mio dio, quella dietro continuava ad applaudire. Ha apprezzato molto, non trovi?. –
-                    Di show così non se ne vedono tutti i giorni, credimi. – Eravamo piegati in due, senza fiato.
-                    Lo spero o qui pioverebbero denunce da ogni parte. –
Ci stavamo rivestendo, mentre Bob già sistemava per riavviare il motore e riportarci al largo. Mi rimisi al timone lisciandomi i capelli per tirarli all’indietro. L’acqua fredda mi aveva dato vigore e ora mi sentivo davvero bene. Respirai a fondo l’aria frizzantina e in un solo istante mi resi conto di essere felice..e di esserlo senza il coinvolgimento di Isabella e non per la sciocca scenetta di poco prima con le ragazze, ma soltanto per il fatto di essere libero di esserlo…senza un perché.
Bob mi aveva dato da pensare e ora mi appariva sensato tutto quello che mi aveva detto. Isabella era la donna più importante della mia vita ed ero felice di questo ora che le stavo nuovamente accanto, ma, sia per me che per lei, c’era dell’altro a questo mondo, importante allo stesso modo e che valeva la pena di essere vissuto. Il valore della vita lo conoscevo bene, proprio perché avevo rischiato di perderla ...e poi di perdermi dopo averla riavuta. Rimettere ordine in tutta questa confusione era davvero faticoso, ma non impossibile. L’aiuto che stavo ricevendo dagli altri era un bene prezioso.
Leggera come il vento la vela ci condusse a destinazione con calma e quando all’orizzonte apparve il piccolo molo di approdo, vidi arrivare la donna che rendeva la mia vita degna di un re.
Indossava un abito leggero e ampio e l’aria giocava a contenderselo con le sue dita che lo stringevano intorno al suo corpo da bambina. Era scalza, semplice, pulita eppure nessuna al mondo avrebbe potuto pareggiare quello che sentivo dentro guardandola.
Il suo sorriso mi accolse, mi abbracciò coccolandomi con gli occhi e non appena scesi a terra volò tra le mie braccia.
-       -   Ciao amore mio – Le dissi all’orecchio.
-       -   Quanto sei bello. – Mi soffiò sulle labbra.
La vita era un regalo e l’avrei condivisa con lei.

domenica 20 gennaio 2013

Capitolo 30


Capitolo 30 - Isabella

La chiglia bianca della barca scivolava sulle acque scure del lago, lasciando dietro sé una scia che come un nastro di luce sembrava inseguirla. Il Sole era alto nel cielo e i suoi raggi penetravano il biancore delle vele sciolte che ancora ondeggiavano scomposte in attesa di vento.
Tutto era tranquillo e insolitamente immobile.
Le cicale, nascoste tra i cespugli, sfregavano le loro ali producendo quel canto costante che accompagna la stagione estiva, tentando di zittire il sordo borbottio del motore che, faticando, trascinava la barca lontano dalle sponde.
In piedi, sulla passerella del piccolo pontile, osservavo Edward seduto al timone,  con la mano poggiata sulla fronte per farsi scudo dal sole. Non sopportava gli occhiali scuri e preferiva stringere gli occhi fino a renderli fessure, facendo apparire agli angoli quelle sottili rughe che trovavo irresistibili. I capelli ribelli sembravano non trovare pace, mentre le sue mani cercavano inutilmente il modo di domarli. Sorrideva come un bambino al quale è stato regalato un nuovo gioco e mi si strinse il cuore per la gioia di rivederlo felice.
Mi sedetti sulla panchina di legno del piccolo molo,  allungando le gambe, mentre la brezza del pomeriggio scivolava su di me accarezzandomi.
Il cielo era libero da nuvole e quando alzai gli occhi rimasi prigioniera di quel blu intenso che si rifletteva poi sullo specchio d’acqua che avevo di fronte. Non ci fossero state le colline a dividerli, cielo e terra si sarebbero fusi insieme in un tutt’uno.
Mi voltai verso la villa.
Lia stava rassettando il portico, dove Edward ed io avevamo pranzato poco prima, lasciando che il tempo non fosse mai abbastanza per saziarci uno dell’altra. La tranquillità di quel luogo aveva sortito un profondo cambiamento in entrambi e sebbene le giornate avessero la durata di sempre, la sera sembrava giungere con più calma, lasciandoci il tempo di godere dolcemente ogni singolo attimo che quell’angolo di paradiso riusciva a regalarci.
Prima che l’immagine di lui apparisse indistinta, Edward alzò la mano agitandola nella mia direzione ed io risposi alzando entrambe le braccia e lanciandogli un bacio che si perse nell’aria e lui non vide arrivare. Bob era con lui e si spostava da un lato all’altro della barca per sistemare le cime in modo da trovarsi preparato nel momento in cui il vento li avrebbe portati con sé. Era vestito di bianco e si sarebbe confuso con i colori della barca se non fosse stato per la sua pelle scurissima che risaltava in tutto quel chiarore.
Era passato più di un mese da quando lo avevo incontrato la prima volta e nonostante mi fosse sembrato ambiguo, arrogante e assolutamente un individuo da evitare, col tempo si era rivelato invece un ottimo amico per Edward, che aveva bisogno della presenza di un uomo che non fosse un medico o un fisioterapista; qualcuno col quale parlare di tutte quelle sciocchezze che soltanto tra uomini sembrano interessanti. Trascorreva con lui almeno due pomeriggi la settimana, quando il suo intenso programma lo permetteva e mi rincuorava accorgermi di quanto fosse altrettanto terapeutico lo stare in barca con quell’uomo. Le prime volte mi aveva portato con sé, convinto di non potermi stare lontano o di farmi un torto, ma una volta che mi ero resa conto di quanto la mia presenza lo condizionasse mi ero messa in disparte, con la scusa del lavoro e la cosa sembrava aver funzionato.
Bob probabilmente era preparato a gestire una persona non del tutto autonoma e sembrava perfettamente a suo agio anche quando le difficoltà di Edward richiedevano un suo intervento. Avevano trovato l’intesa ed ora ognuno si muoveva su quello spazio angusto senza problemi.
Le terapie dell’ultimo mese avevano sortito un mutamento tale nelle capacità motorie di Edward che io stessa stentavo a credere ai risultati. Sotto ai miei occhi l’avevo visto alzarsi da solo e muovere i primi passi appoggiandosi alle stampelle. Era un miracolo. Rose gli era accanto sempre ed ero rimasta sconcertata da quanta costanza e pazienza avesse con lui e con quanta serietà svolgesse il suo lavoro. Un  lavoro duro ed estenuante. Lo aveva accompagnato lungo tutto il percorso terapeutico senza risparmiarsi, curandosi che tutto fosse portato avanti esattamente come Jasper richiedeva e nonostante fosse evidente che non stesse bene, non aveva mollato un solo attimo. Segretamente la ammiravo per questo e da tempo mi ero anche resa conto di quanto, la mia pretesa di sostituirla in principio, fosse stata una vera sciocchezza. Mi chiedevo però cosa significasse quel suo cambiamento radicale. Non sembrava più lei. Era sempre più pallida nonostante cercasse di coprire il volto con un  trucco più marcato.  La sua pelle non aveva preso colore come era successo a tutti noi,  perché, quando non era in palestra con Edward, rimaneva sempre chiusa in casa. Non la capivo. O forse non volevo curarmi di cosa la turbasse. Dentro la mia testa serpeggiava sempre il dubbio che in tutto questo c’entrasse il mio riavvicinamento con Edward, ma allo stesso modo qualcosa, nella mia coscienza, mi suggeriva che mi stavo sbagliando. Quella ragazza aveva un qualcosa che le rodeva e non trovava modo di liberarsene, un’angoscia silenziosa che la tormentava costantemente. Potevo capirla, mi ero sentita così molte volte e per lungo tempo ed era questa consapevolezza, forse, che mi costringeva a starle lontana. Qualche volta mi era venuta voglia di spingermi oltre il giardino per parlare con lei, per scoprire cosa nascondesse, un dettaglio, qualsiasi cosa, ma subito dopo la rivedevo correre quasi nuda sul corridoio di casa mia e il buon samaritano che era in me si trasformava in Caronte. Avevo altre cose a cui pensare, Edward, la sua salute, il nostro rapporto da ricostruire, tutto a mio parere più urgente e importante e accantonavo quindi quell’idea lasciandola in sospeso.
Eravamo lì da quasi tre mesi e a parte un paio di visite di Emmet, durate qualche ora soltanto, nessuno, oltre le persone addette ai lavori, aveva messo piede nella villa. Jasper aveva annunciato che la settimana seguente, in occasione del compleanno di Alice, sarebbero venuti da noi a trascorrere qualche giorno di vacanza in compagnia. Edward ed io eravamo eccitati per l’evento. Le stanze degli ospiti erano state preparate con largo anticipo e Lia e Marta erano già in fermento per i menù da preparare. Edward insisteva nel dire che il vino non sarebbe stato all’altezza e aveva costretto Jasper ad andare nel nostro appartamento per rifornirsi, indicandogli dettagliatamente cosa prendere e dove cercare. Una ventata di novità avrebbe certo giovato ad entrambi che, troppo occupati a ritrovare noi stessi, stavamo dimenticando il resto del mondo.
Quella vacanza aveva rappresentato un nuovo inizio e il nostro rapporto era diventato forse migliore di quanto lo fosse prima dell’incidente. C’era una consapevolezza nuova di quello che eravamo l’uno per l’altra, di ciò che potevamo diventare e di come le nostre vite fossero unite indissolubilmente. Non mi ero mai sentita così serena e soddisfatta come lo ero adesso. Speravo fosse lo stesso per Edward. Ancora non ne ero certa.
In quell’oasi di pace dovetti ammettere che il suono del cellulare, trillante nella mia tasca, stonava decisamente.
-         James, ciao. Credevo che il sabato fosse il tuo giorno libero, hai deciso di rinunciare anche a quello? – Mi stupiva la sua chiamata, considerando che ci eravamo sentiti solo un paio d’ore prima.
-         Bella, lascia perdere! È successo un casino. – Era affannato come se avesse fatto una corsa.
-         Che c’è?  Stai calmo. – Non era da lui fare così.
-         Ti ricordi il Giudice Norton? –
-         Certo che me lo ricordo, è lui che seguirà il processo. –
-         Beh è morto ieri sera. Ha avuto un  infarto mentre giocava a bridge con gli amici in casa sua e c’è rimasto secco. La moglie ha dato la notizia solo un’ora fa. –
-         È terribile, mi dispiace molto. Norton era una brava persona. Andrete al funerale? – Non pensavo fosse necessario rientrare a casa. L’ufficio avrebbe di certo mandato qualcuno di rappresentanza.
-         Ma che ti frega del funerale, non lo so! So soltanto che siamo tutti qui a incrociare le dita in attesa di sapere chi verrà assegnato come suo sostituto. Ce ne sono tre in lista e mi auguro solo che non sia Johnson o siamo nella merda. –
-         Quello del processo Graam?-
-         Si, lui. Non lo sopporto. – Stava camminando su e giù, mi sembrava di vederlo.
-         Perché dici così? Non ricordo fosse male. – La conversazione mi stava allarmando.
-         Quell’uomo ama complicare le cose ed è possibile che sposterà il calendario delle udienze in tribunale. Comunque staremo a vedere, Lunedì sapremo di chi si tratta. Volevo metterti in guardia subito, perché se fosse - sospirò nervoso, sapendo di dovermi ammazzare - dovrai tornare a casa Bella. –
-         -Ma non può farlo, creerebbe un sacco di problemi anticipando le date e non soltanto a noi. Sarebbe una follia. Vedrai che nessuno accetterà una cosa simile. – Non ne ero molto sicura.
-         Te l’ho detto tempo fa e te lo ripeto, è un fanatico del suo lavoro e gli piace comandare, tenere tutti in pugno, quindi non aspettarti trattamenti di favore se dovessero scegliere lui. Cazzo! Ti rendi conto? Stava andando tutto così bene. Questa non ci voleva. –
-         Lo dici a me. – Mi accasciai sulla panca.
-         Bella ti prego, non fare scherzi anche tu eh? Se mi molli qui da solo sai bene che non potrò farcela. – Non risposi. Lui incalzò cambiando tono.
-         Bella, tesoro…- La sua voce si era ammorbidita, era tornato ad essere il mio amico. – …ci sei? –
-         Si, scusami. È solo che… - Non riuscii a terminare la frase.
-         Ora sta calma tu. Aspettiamo di vedere cosa accade lunedì prima di disperarci. Speriamo che Dio ce la mandi buona. Ora vado tesoro, ho un sacco da fare. –
-         Ok! – feci una pausa – James… - Non mi sentì. Parlava a qualcun altro.
-         Ciao. – Mi disse distratto e in attimo era già lontano.
Riposi il telefono accanto a me lentamente e mi accasciai sullo schienale della panca.
Tutto lo splendore che avevo intorno improvvisamente mi infastidiva.
La barca di Edward era ormai solo un puntino di luce sul tappeto blu che avevo innanzi e rimasi a fissarlo aggrappandomi alla speranza che, se fosse accaduto quel che James aveva previsto, lui avrebbe capito, ma dubitai. Dubitai profondamente.

Timore e Rimorso si arrampicarono lungo le viscere fino a saltellare sul    mio stomaco.
Ragione e Buonsenso, appoggiati l’un l’altra, aspettavano che si stancassero per rimettere tutto a posto.

Strofinai le mani sul viso quasi a scacciare le immagini negative che senza volerlo venivano partorite dalla mia mente. Cosa avrebbe fatto Edward se fossi stata costretta ad andarmene? Quale giustificazione valida avrei potuto dare per fargli questo? Nessuna. Non avrebbe mai capito. Mai!

             Timore e Rimorso fecero un salto mortale ridendo.
Ragione e buonsenso si guardarono scuotendo la testa.

Tutti i traguardi raggiunti in quel breve lasso di tempo potevano essere compromessi e la colpa sarebbe stata soltanto mia. Avrei dovuto decidere quali fossero le mie priorità, ma la realtà era che non sapevo che fare .Come una statua osservavo il dondolio dolce delle acque del lago, quasi che perdermi in quel movimento avrebbe fermato il tempo, impedendomi di dover scegliere. Cercavo disperatamente una soluzione che potesse accogliere entrambi i consensi, ma la mia mente non era lucida e dovevo darmi il tempo di calmarmi e di soffiare via quella nebbia che mi avvolgeva i pensieri. Avevo poco più di un giorno per ritrovare l’equilibrio, per tornare la Isabella di prima, tutta numeri e autocontrollo.
    La sola idea mi diede il voltastomaco.

        Timore e Rimorso volarono fino al cuore, aggrappandosi fino a graffiarlo e stringendolo forte.

         Ragione e Buonsenso sollevarono gli occhi e, abbracciandosi sconvolti, rimasero a guardare.

Non riuscivo nemmeno a pensare di tornare ad essere la cinica e disturbata Isabella di prima, non lo volevo…non più. Essere di nuovo l’amore di Edward mi aveva sanata e quel germe malato che mi avvelenava l’anima ora non viveva più dentro di me. Liberarmene mi era costata fatica e dolore e ora non avevo posto che per la nuova me ritrovata.
Amore.
Come potevo chiamare amore quello che provavo per lui.
Come potevo farlo comportandomi poi in quel modo.
      Ragione e Sentimento sono nemici attenti quando li si mette una di fronte all'altro, perché l'amore non ha logica ne regole, vive di vita propria, non è comprensibile o spiegabile e la miglior cosa da fare è assecondarlo e vedere dove ci porta. 
Ma dove aveva portato me?
Cosa avevo imparato da tutto quello che avevo vissuto fino adesso?
La vita mi aveva costretta a sbagliare e sbagliare ancora.
Quanto tempo ancora avrei dovuto ripetere gli stessi errori prima di fare la scelta giusta?
Mi costrinsi ad alzarmi per non vedere la mia colpa prendere il largo e raggiungere colui al quale era rivolta, aggredirlo alle spalle e appena risollevato rigettarlo a terra.
Mi sollevai dalla panca come se sulla schiena trasportassi dei sassi, tale era il peso dello sconforto che avevo addosso. Attraversai lentamente il prato fino al portico, dove Lia aveva ormai quasi terminato il suo lavoro. Mi guardò negli occhi sollevando lo sguardo dai cuscini che stava sprimacciando.
-         Va tutto bene? Hai l’aria di chi gli è morto il gatto. –
-         Si! – Risposi come un automa lasciandomi cadere sul divanetto appena sistemato.
-         Si vede, tutta vita proprio. – Ironizzò.
Mi girava intorno come se facessi parte dell’arredamento e una volta che fu tutto a posto sospirò parandomisi davanti.
-         Perché non vieni con me? – La guardai sorpresa. Le mani ai fianchi, sguardo deciso.
-         Qui non hai niente da fare e io devo andare all’emporio giù in paese per fare la spesa. Non ti farebbe male uscire un po’ da questo angolo di mondo e due mani per portare le borse non mi dispiacerebbero. Che ne dici? –
Ero esterrefatta, come se mi avesse offerto una libertà che credevo già di avere, ma che una sola telefonata mi aveva tolto. Cambiare aria in quel momento era forse la cosa migliore e poi Edward non sarebbe tornato per almeno un paio d’ore. Potevo andare  e tornare senza che lui nemmeno se ne accorgesse.
-         Sei sicura?. – La guardavo nei suoi occhi intensi.
-         Certo che lo sono. – Lo era davvero. Mi arresi.
-         Forse hai ragione Lia. –
-         Ricordati cara che io ho sempre ragione. – Rise forte senza farsi alcun problema. Era contagiosa e confortante la sua allegria. L’adoravo per questo.
-         D’accordo, vengo. Purché tu mi prometta che saremo di nuovo qui quando Edward rientrerà dal giro in barca. Ce la facciamo? –
-         Facciamo in tempo a fare anche la torta di mele che ho in programma, ma se non prendiamo le mele…niente torta. – Sorrise serena strofinandosi le mani sul grembiule che indossava. Lo tolse e mi invitò a seguirla.
-         Mi lavo le mani, prendiamo Giovanni e il cane e si va, ok? – Si mise a chiamare il bambino a gran voce e in due minuti eravamo pronte.
Ero quasi eccitata per quest’improvvisata di Lia e quando sedetti nel suo furgone mi sfuggì pure una risatina sciocca. Potevo per un attimo mettere quella storia da parte e non pensarci. Tre mesi erano bastati  per sentirsi fuori dal mondo, anche se quel mondo era tutto ciò di cui avevamo bisogno quando eravamo partiti da San Francisco. Legai la cintura e indossai gli occhiali da sole. Giovanni e il cane riempivano quei silenzi che altrimenti in casa mi avrebbero soffocata. Ringraziai il cielo di avere accanto persone come Lia e Marta, felici e soddisfatte davano una carica di positività alle nostre vite.
Osservai ciò che apparve alla fine del vialetto alberato, oltre il cancello che avevo veduto solo il giorno del nostro arrivo. La strada era ampia come la ricordavo e scendeva verso un incrocio dove svoltammo a destra, costeggiando il lago. Come già sapevo quella zona non era molto popolata, nemmeno in estate, ma, via via che ci avvicinavamo al paese, il numero di auto aumentava e ai lati della strada c’erano famiglie e coppie che passeggiavano in abiti leggeri e costume da bagno. Un carretto dei gelati stava attraversando il parco giochi alla nostra sinistra e tutti i bambini accorrevano impedendo al ragazzo che lo guidava di raggiungere la sua meta.
-         Sai Isabella, ci sono famiglie che tornano qui ogni anno in vacanza da generazioni ed è come se facessero parte della comunità di Round Hill Pines Beach.  Senti come suona bene eh? Questo lago ha fatto innamorare un sacco di coppie che ora tornano qui con i loro figli.-
-         E’ bellissimo. Ne conosci qualcuna? –
-         Oh! moltissime. Prima di lavorare nella villa ero commessa all’emporio dove andiamo ora e li ho visti passare tutti i turisti della zona. Vedrai che ti piacerà, è molto caratteristico. –
-         Caratteristico? In che senso? – Ero incuriosita.
-         Lo vedrai. – Svoltò nella piazza, parcheggiando il furgone accanto ad una piccola fontana. Giovanni e il cane quasi sfondarono la porta gettandosi fuori dall’abitacolo e dopo essersi abbeverati al volo, ,li vidi sparire correndo tra i cespugli del parco.
-         Non ti preoccupare – mi rassicurò Lia – conoscono quel posto come le loro tasche e sono al sicuro. –
-         Se lo dici tu, ok! –
-         Vieni e prendi per favore quelle borse che trovi sotto al sedile. –
Feci come mi aveva chiesto e la seguii.
Percorremmo la strada nella direzione opposta al parco e appena dietro l’angolo si aprì in una grande piazza al cui centro zampillava una fontana di grandi dimensioni. Era quadrata e molto originale. Al centro vi era la statua di un orso con accanto il suo cucciolo. Lungo il bordo vi erano sedute molte persone che giocavano e ridevano,  immergendo le mani nelle acque fresche delle vasche. 
-         Vieni, siamo arrivate! – Lia mi distolse dallo spettacolo e la seguii.
L’edificio era in un unico piano e molto ampio. La facciata era dipinta a murales e riportava paesaggi di montagna esattamente uguali a quelli che si vedevano alle sue spalle. Sorrisi guardandomi intorno e Lia mi spiava con la coda dell’occhio.
-         Tutto qui? – Le chiesi.
-         Purtroppo no! – Sospirò ridendo.
Varcammo l’entrata seguendo una famiglia rumorosa, mentre i bambini agitati scorazzavano intorno a noi. Uno mi pestò un piede e una volta all’interno abbassai lo sguardo per constatare i danni.
Lia era due passi avanti a me e si girò a guardarmi.
All’improvviso fui accarezzata da un suono dolcissimo e allo stesso tempo “antico”, non trovavo un aggettivo che definisse meglio quelle note sofferenti e carezzevoli. Sembrava che mille folletti dei boschi facessero vibrare gli steli dei fiori o che sbattessero delicatamente tra loro bolle di cristallo colme di petali, era bellissimo. Sollevai la testa, così come vidi fare a tutti coloro che entravano dopo di me e li vidi. Centinaia di fili trasparenti appesi al soffitto ai quali era legata una sorta di pietra ovale modellata, sopra la quale vi erano incise…o forse disegnate a pirografo o non so cosa, le immagini dei boschi. Ce n’erano a migliaia e, mosse dal flusso delle persone, sfiorandosi producevano quel suono.
-         Ma è meraviglioso. Incredibile! – La bocca aperta ero completamente rapita da quella volta melodiosa.
-         Te l’avevo detto che era particolare, no? – Lia se la rideva e afferrandomi il polso mi trascinò al bancone come fossi una bambina.
-         Ma li vendono? Io li devo avere assolutamente. –
-         Abbi pazienza e poi vediamo. Mentre mi preparano la roba puoi farti un giro, ci sono molte cose carine qui. Vai! Su! – E mi spinse gentilmente verso gli scaffali di souvenir.
Molte di questi raffiguravano i boschi circostanti del Nevada, intagliati nel legno o dipinti su di esso. C’erano molti oggetti da appendere alle pareti, quadri, orologi e buffe clessidre che rivelavano la situazione meteorologica attraverso  il livello dell’acqua che, al suo interno,  si abbassava e alzava seguendo la pressione atmosferica. Era buffo, erano tutte esattamente allo stesso livello. Le presi in mano girandole e giocandoci, quando un ragazzo dietro al banco lì a fianco si avvicinò. Lo guardai curiosa,  mentre,  appoggiando i gomiti sul tavolone di legno, mi osservava divertito. Doveva avere forse diciotto anni e negli occhi gli brillava il cielo più blu che avessi mai visto. I capelli biondissimi erano lunghi e gli ricadevano sulla fronte come fossero disegnati su di lui. Sorrideva e le sue labbra piene e rosee incorniciavano una dentatura perfetta. La lingua pizzicata tra i denti era vergognosamente sexy e quando mi resi conto dell’effetto mi vergognai di averlo pensato e divenni paonazza.
-         Ciao, ti serve aiuto? –
La voce era grave e carezzevole e non me l’aspettavo da un ragazzo tanto giovane. L’accento del posto era marcato, quindi doveva trattarsi di un ragazzo che viveva lì.
 Gli sorrisi sinceramente.
-         In realtà, sì! – Mi avvicinai mettendomi di fronte a lui. Aveva qualcosa di familiare.
-         Chiedi pure, sono tutto tuo. – Era disarmante, non era malizia la sua. O almeno non sembrava a me.
-         Volevo portarmi a casa quelle pietre magiche che avete appese al soffitto, ma non le trovo da nessuna parte. –
-         E’ così, hai detto bene, sono magiche. Quando quella melodia entra nella tua casa,  la tua vita cambia. – Si sollevò rivelando la sua notevole altezza. Gesticolava con le mani e non potei fare a meno di notare quanto fossero grandi e gentili.
-         Bene. - Dissi piano, ma lui sentì ugualmente.
-         Non le troverai perché sono terminate, sono l’articolo più venduto di tutto il negozio. – Lesse sul mio viso la delusione e riprese a parlare.
-         Ma se proprio ci tieni…- aspettò che lo implorassi con gli occhi – potrei staccare una di quelle che sono sopra di noi, ma dovrai aspettare domani, ora non ho tempo come vedi. –
-         E’ perfetto, grazie, sei molto gentile. Devo tornare domani? –
-         Posso consegnarlo anche a casa tua se mi dici dove alloggi. –
-         Sono in una villa qui sulla strada…- Mi resi conto di non saperglielo spiegare, ma pensai che Lia potesse farlo e la cercai con gli occhi.
-         Puoi aspettare un momento? Torno subito. – E tornai al bancone dove Lia aveva terminato di fare le compere. Stava raccogliendo i manici delle borse e mi offrii subito di darle una mano.
-         Lia, mi devi aiutare. –
-         Certo, dimmi tutto. – Si caricava le borse come fossero piene soltanto di patatine, mentre invece il loro peso rischiava di spaccarmi la schiena. Ero decisamente  fuori allenamento. Me ne feci un appunto mentale.
-         Devi dire a quel ragazzo lì, dove si trova la villa. Mi deve consegnare le pietre magiche che fanno “dlin dlon”. Le voglio! – Le feci cenno dove guardare e subito si aprì in un sorriso enorme.
Si incamminò verso di lui parlando ad alta voce.
-         Make, tesoroo. Ti stai divertendo ad infastidire le signore? Guarda che lo dico a tua madre. Anzi meglio di no – aggiunse sottovoce – o le prenderebbe un colpo.
-         Lia ciao. Mi hai beccato! Che ci fai qui? Nostalgia del vecchio lavoro? Non pensarti di tornare perché ormai è mio. –
-         Non ci penso nemmeno giovanotto. Sto bene dove sto, tesoro. –
Mi sentivo esclusa, ma rimasi a gustarmi il quadretto.
-         Ho sentito che devi fare una consegna. Beh te la ricordi la villa dei McFly? Quella spettacolare alla fine della baia?-
-         Certo che la ricordo, è la più bella della costa. –
-         Ebbene noi siamo lì. –
-         Noi? –
-         Si, io lavoro lì e tu sarai il benvenuto. – si girò verso di me – Non è vero Isabella?-
-         Certamente. Quando vuoi. – Mi piaceva questa cosa.
Aspettarsi delle visite sembrava un evento straordinario, mentre in realtà sarebbe dovuto essere la normalità. Uscire di casa mi aveva allargato il cuore e sentivo di doverlo proporre anche ad Edward. Ormai era giunto il momento di farlo. Poi ricordai la chiamata di James e l’anima mi si dipinse di nero.
-         Allora domani pomeriggio, dopo il lavoro, verrò laggiù. – Mi porse la mano e io la presi tra le mie.
-         Felice di conoscerti Isabella. A domani. Ora devo andare o mi licenziano. –
Gli sorrisi. – Ciao. – Gli dissi lasciandola scivolare via. Era simpatico.
Tornammo barcollanti al furgone, cariche di ogni sorta di cibarie e, una volta riposte nel bagagliaio, riprendemmo la via del ritorno. Ci fermammo un istante per raccogliere Giovanni e il suo cane scodinzolante e in meno di un’ora, come promesso,  eravamo di ritorno.
Mentre Lia preparava la torta di mele tornai al molo e rimasi in attesa del ritorno di Edward. Mi sedetti sulla panchina accorgendomi che il mio telefono era rimasto lì, dimenticato da prima. Lo afferrai e lessi il display.
Tre chiamate senza risposta.
Lo spensi lasciandolo dov’era.