Capitolo 36 - Isabella
Non potevo credere che quelle parole
uscissero dalla bocca di Edward. Non riuscivo a pensare, né a muovermi.
Guardavo la sua bocca sillabare e di tanto in tanto perdevo il filo del
discorso come se la corrente mi venisse tolta dal cervello. Ma cosa stava
dicendo? Perché mi aveva trascinata in quel discorso così doloroso? Tutto ciò
che desideravo era dimenticare quel lato malsano di me col quale avevo
combattuto troppe volte, gettarlo alle mie spalle come un brutto ricordo,
lasciare che svanisse nella nebbia fitta delle retrovie della mente e invece
ora Edward me lo stava sbattendo in faccia con una leggerezza che mi faceva
male. Giorni, mesi, anni, forse la vita intera non sarebbe bastata a pulirmi da
quell’immonda sporcizia che mi sentivo spalmata addosso come mastice. E lui l’aveva
chiamata come? Esigenza terapeutica
notturna. Ero basita, sconcertata, schiacciata, sudicia tanto da faticare a
respirare. Non ne avevamo più parlato e speravo che volesse dimenticare tutto, così come stavo tentando di fare io, ma
evidentemente non ero stata attenta e non avevo colto i segni di un rancore di
cui non lo credevo capace. Non riuscivo ad ascoltarlo. Riuscivo solo a sentire
quelle tre parole che sbattevano nella mia testa come palline di un flipper in
cerca di punteggio.
Esigenza
terapeutica notturna.
Le successive giustificazioni mi suonarono
false, ma cercai ugualmente di metterle in bell’ordine sul selciato della mia
sofferenza, per esaminarle poi con calma.
Ma quale calma. Erano urla quelle che
echeggiavano dentro di me.
Avevo temuto di poterlo ferire dicendogli
del mio rientro inaspettato al lavoro, mi ero immaginata reazioni
irrimediabili, mentre lui non sembrava curarsi del fatto di ferire me, gettandomi
addosso lo squallore della mia debolezza morale.
Forse me lo meritavo.
Certo che lo meritavo.
Doveva accadere prima o poi.
Speravo non sarebbe successo mai, ma era
una concessione alla quale non potevo aspirare.
Forse era meglio sentirlo dalla sua stessa
voce quanto facesse schifo il mio indecente modo di affrontare la paura. Mi
vergognai all’inverosimile di me stessa. Mi teneva abbracciata, cercando di
consolare quella disperazione sorda che mi accompagnava sempre.
Sempre.
Nonostante la gioia di vivergli accanto
avesse compensato di molto la mia disperazione,
quel fetido senso di colpa sedeva comodamente nel mio inconscio,
silente, all’ombra dei ricordi più nascosti, tamburellando malevolmente le sue
lunghe dita, artigliate sui miei
pensieri felici.
Sempre pronto a colpirmi.
Sempre in attesa di un accenno di cedimento
per afferrarmi alla gola.
Era davvero soffocante trovarsi ad essere
consapevole della sua pesante presenza.
Amavo Edward dal primo momento che avevo
sentito la sua voce e sapevo quanto fosse stata dura la scalata per arrivare
dove ora eravamo, quindi mi aggrappai alla consolante speranza che tutto quel
suo rivangare il passato avesse un senso e, con lo stesso debole intento, alzai
lo sguardo e gli confessai finalmente la mia partenza.
Lasciai che le parole scivolassero dalla mia
bocca prima che potessero nascondersi nuovamente tra i pensieri. Nere lettere
cucite di nuova speranza.
Edward mi aveva guardata allibito e muto,
non se lo aspettava. Come poteva.
Nell’intimo fui quasi contenta di essere
riuscita a fermare quel suo fiume di parole
amare. Non le volevo più sentire. Così ne aggiunsi io delle altre.
« Era soltanto di questo che ti volevo
parlare. Niente altro. » La voce mi uscì atona, spenta quanto me.
Rimasi a fissarlo. Negli occhi suoi dolcissimi
lessi l’evoluzione incontrollata delle emozioni che lo stavano attraversando.
Una lotta silenziosa tra delusione ,
sorpresa e ragione.
Delusione scuoteva la testa ,
sostenuta da una Ragione avveduta.
Sorpresa era attonita, in
disparte, che stringeva le mani sulla bocca ancora spalancata.
Edward sospirò, accasciandosi subito dopo sui
cuscini del divano. Un silenzio breve, ma sufficiente a privarmi dell’ossigeno
intorno.
« Era questo che cercavi di nascondermi?
Che ti ha resa così strana in questi giorni?» Il tono serio e controllato.
Mi ricordai di respirare.
« Si, credevo che la cosa ti avrebbe ferito.
Non volevo mancare alla mia promessa.» Gli occhi di entrambi fuggivano
girovagando per il salone. Pause ad effetto, per mascherare il comune disagio.
« Da quanto tempo lo sai?» Era pacato,
pensieroso. Fissava il soffitto.
«Qualche giorno, pochi comunque.» Cosa
volevo fare, rassicurarlo? Il pavimento sembrava galleggiare tra le lacrime
trattenute.
«Perché mi hai fatto credere che fosse a
causa di Rose allora? Forse non saremmo arrivati a tanto. Perché hai lasciato
che dicessi quelle...» Lo interruppi urlando.
« Perché non credevo possibile che pensassi
ancora a me in quel modo » un
singhiozzo mi chiuse la gola e il resto fu solo un sussurro «ero certa volessi
dimenticare. Ma è evidente che non è così. » Preoccupato si sollevò a
guardarmi. La sua voce era dolce e confortante, ma le dita della colpa,
annidata in me, continuavano il loro
gioco di potere dentro la mia testa, distraendomi col loro tamburellare.
Contorcevo le mani quasi servisse a scacciare quel martellante rumore, ma non
c’era modo di liberarsene.
«Ho perdonato già da tempo tutto quello che
hai fatto per punirti, Isabella. Era per colpa mia, lo so, quindi sono l’ultima
persona che abbia il diritto di giudicarti. Non mi importa più, credimi » cercò
la mia mano, ma gliela negai « …ma dimenticare non posso, non ci riesco.»
«Ci hai provato?» Era una domanda cretina,
chissà come mi era uscita.
« Fino allo sfinimento.» Quelle parole furono soffiate via tra le
labbra.
Si alzò stancamente e con pochi passi
raggiunse la poltrona lasciandovisi cadere sopra. Metteva distanza tra noi. La
cosa mi ferì e subito dopo mi indispettì. Lo avevo creduto fragile e invece
così non era più ormai. La metà fragile della coppia ero io e prima di quel
momento non me ne ero mai resa conto. Si pensa a volte di conoscere alla
perfezione chi ci vive a fianco, ma ci si dimentica troppo spesso di sforzarsi
di comprendere noi stessi. É molto più faticoso e difficile, così il nostro
subconscio preferisce non farlo proprio.
« Mi dispiace che tu non ci sia riuscito. Davvero.
Avrei preferito però che me ne avessi parlato prima di arrivare a questo.» E con la mano gli mostrai la
stanza e noi, imbarazzati e delusi, amareggiati e nervosi, insieme, ma
improvvisamente distanti.
« A questo?
Cosa intendi? Il fatto di cercare di spiegarti di Rose e me? Ma se sei sempre
stata acida con lei. Questo discorso andava comunque fatto. Sono stanco, solo
per il quieto vivere, di tacere ogni volta che parli di lei in quel modo.
Dobbiamo discutere eccome. Di questo e di molto altro. » Ero sconcertata. Gli
avevo confessato di dovermene andare, ma era evidente che poco gli interessava.
E io cretina che non ci avevo dormito la
notte.
« Mi sembra di capire che il fatto che me
ne debba andare ti importi meno di quanto ti stia a cuore chiarire il tuo
rapporto con Rose?»
«Non dire stupidaggini. Ancora non riesco a
credere a quello che mi hai appena detto. Mi sento male solo a pensarlo.»
« Non mi sembra proprio.» Si voltò guardandomi
storto e cercando di sfottermi.
« Che c’è, sei delusa che non mi stia
disperando?»
« Forse un pochino. Ma tanto c’è la tua
Rose qui con te, no? Di che altro hai bisogno.» Balzò in piedi urlando senza
controllo.
«Ora basta!Credi che sia facile per me
fingere che ora vada tutto bene? Sto impazzendo all’idea di dovermi separare da
te e ancora insisti ad attaccare Rose? Ma cosa ti dice in cervello. Se la
gelosia ti rode fino a questo punto pensa a cosa dovrei fare io. A questo hai
pensato? Sai quanti rospi ho ingoiato per convincermi che non fosse vero? Di
più.»
« Beh parliamone allora, diciamo le cose
come stanno. Cosa vuoi che faccia? Che mi metta in ginocchio? Che faccia
penitenza per la vita?» Urlavo anch’io, senza volerlo, per contrastare la sua
voce.
«No che non lo voglio.» Camminava avanti e
indietro, stringendosi le dita fra i capelli, lasciandoli poi in aria
spettinati, quasi a volersi strappare i pensieri dalla testa. Eravamo in piedi
ora. Uno di fronte all’altra a poca distanza. Nervosi e incapaci di stare
fermi.
« Sono stata una maledetta vigliacca e se
non fosse che ti amo così tanto probabilmente avrei trovato il modo di farla
finita del tutto. Ma non ne ho le palle capisci? Non riesco ad arrivare in
fondo, perché il fondo per me non ha fine. Tu sei il mio inizio e la mia fine,
quindi dimmelo tu cosa devo fare…e io lo farò. Ti giuro che lo farò. Ma non
costringermi ancora a discutere di Rose perché ora non mi va proprio. Dovrò
lasciarti qui solo con lei e odio anche solo l’idea che ancora una volta si
debba sostituire a me. Volevo che almeno questo posto fosse solo nostro e per
un momento lo avevo creduto possibile. Non voglio andare via di qui, lo vuoi
capire?Ma devo farlo perché ho preso un impegno e sono costretta a rispettarlo.
E ho paura. Paura che quando ti rivedrò qualcosa possa essere cambiato, che tu sia cambiato e questo non me lo
potrei mai perdonare. Fanculo Rose. É a te che penso, pezzo d’idiota. Cosa farò
se non mi vorrai più un’altra volta? Me lo dici?» Crollai miseramente,
piangendo lacrime di un sapore che avevo dimenticato. Provavo dentro
quell’angoscia già vissuta come se volesse riprendersi le mie viscere e tornare
a torturarmi. Chiusi gli occhi voltandomi, non reggevo più il suo sguardo e
sarei caduta in ginocchio se le braccia forti e amorevoli dell’uomo che amavo
non mi avessero avvolta stretta, sostenendomi
da dietro. Non volevo più combattere. Non ne avevo più la forza. Tutto ciò che
desideravo era un po’ di pace vicino al solo uomo che avesse davvero contato
nella mia vita. Ci accasciammo a terra in ginocchio, stretti uno all’altra come
edera e gelsomino.
« Non piangere cucciola, non lo sopporto.
Fai stare male anche me.» Mi si stringeva contro, sussurrandomi quelle parole sottovoce, come a cullarmi. E
continuò. « Non ho mai desiderato che stessi lontano da me amore mio. Te lo giuro.
» Sentivo il suo corpo aderire al mio come una coperta calda e la sensazione di
benessere fu immediata. Il calore si propagava nel mio essere e il cuore si
univa al suo cantando.
« Però lo hai fatto…ed è stato terribile.»
Mi abbandonai su di lui.
« Lo è stato anche per me, ho creduto di
impazzire.» La sua guancia sfiorava la mia e la carezza del suo fiato mi faceva
rabbrividire.
« Sentirmi rifiutata mi ha annientata. Non
sai cosa significhi tu per me, non lo immagini neppure o non avresti mai agito
in quel modo.»
« Lo sapevo molto bene invece ed è per
questo che mi sembrava come di averti tradito. Non ero più lo stesso uomo che
amavi così tanto. Ero come imprigionato in un corpo che mi era estraneo, non mi
riconoscevo…e non ti volevo costringere a vivere con quel mezzo uomo che ero
diventato. L’ho fatto per te.»
« Mi hai quasi ucciso.»
«Ero già morto senza di te.»
«Mi mancava l’aria.»
«Mi mancavi tu.»
«Ti amo così tanto Edward.»
«Mai quanto me.»
Mi afferrò con impeto costringendomi a
voltarmi. Guidò le mie braccia intorno al proprio collo e allungandomi sul
pavimento si prese ciò che gli apparteneva di diritto. Lo accolsi donandomi
senza esitare. Vibravo sotto il suo corpo acceso e i colori e i profumi del
sentimento che provai mi illuminarono dentro. Non era solo un bacio il suo, ma
piuttosto una disperata dolcissima richiesta di incondizionato amore. Era
innegabile l’alchimia che produceva il contatto della nostra pelle e il tempo
non aveva scalfito questa magia che sempre si ripeteva mantenendosi intatta.
« Perdonami Edward»
« Non posso farlo.».
« Ti prego, io…» Mi agitai, ma subito mi
interruppe premendo la mano sulle mie labbra ancora aperte.
«Non dire altro. » Un sussurro dolce, un
ambrosia per la mia anima. «Non pregarmi. Ti ho perdonata molto tempo fa, anche
se non te ne sei accorta. Non mi frega niente di quello che hai fatto, ora sei
qui con me. Solo questo mi importa.» Scivolò le dita sulle mie labbra come se accarezzasse
petali di rosa e rimase incantato ad osservare le curve disegnate di una bocca
che non sapeva se sorridere o piangere.
«Ma io voglio dirti che…» Ancora mi impedì
di continuare.
«Shh…ora devi ascoltare me. Non farmi
arrabbiare.» Gli sfuggì un mezzo sorriso sghembo e subito il mio volto si
illuminò tra le lacrime.
Come potevo pensare di allontanarmi da lì.
Non mi era possibile rinunciare alle stupende sensazioni di sapermi accanto a
lui.
I suoi occhi si addolcirono al punto da
farmi provare dolore fisico e rimasi silenziosa ed obbediente, con il peso di
lui a farmi sentire viva, in attesa di
ascoltare altre irripetibili dolci note della sua incredibile voce.
«Quello che deve chiedere perdono sono io. »
Mi agitai per protestare, ma mi richiuse la bocca. « Non ci provare o finirò
per sculacciarti. » Scherzò dolcissimo.
Mi lasciò andare continuando ad
accarezzarmi il viso con una delicatezza da brividi. Si fece più serio e le rughe
sulla sua fronte iniziarono la loro deliziosa
danza. «Non posso vivere senza te amore mio. L’incidente mi aveva rubato tutto
quello che pensavo fosse importante, ma è stato soltanto quando mi hai detto
che te ne saresti andata via che ho capito cosa fosse quella sensazione di
vuoto orribile che non mi abbandonava mai. Quando ero solo, in quella casa che
sentivo come una gabbia, pensavo di
esserne io la causa, oppure che dipendesse dalla situazione, che ritenevo
disperata. Poi però, quando sei caduta nel bagno e ho trascorso la notte
accanto a te e ti ho tenuto la mano… il giorno in cui ho potuto guardarti
nuovamente negli occhi, mi sono accorto
di cosa fosse veramente quello che mi mancava. Nel tuo sguardo ho ritrovato me
stesso. Mi sono riconosciuto. Ho finalmente rivisto l’uomo che avevi amato.»
Immobile ascoltavo quella melodia. « Mi perdo se non posso guardarti Isabella.
Io sono quello che tu vedi in me. Vivo riflesso nel tuo amore. Se non posso
farlo, se non posso più guardarti, non so più chi sono. » Mi sfiorò con un
bacio lieve. Appena accennato. Smisi di respirare.
« Guardami Isabella. E non smettere mai.»
Mi sollevò come un fuscello alzandosi in piedi. Sapevo che lo sforzo gli costava
fatica, ma sembrava non accorgersene. Le labbra umide e schiuse e quel bagliore
nello sguardo mi confermarono che la stanza da letto era la sua meta. Non dissi
nulla e lasciai che mi portasse dove aveva deciso. Niente mi avrebbe
allontanato da Edward, nemmeno il mio fottutissimo lavoro.
La porta della camera era aperta e la luce
penetrava a fatica tra gli spessi tendaggi che coprivano le finestre. Le
lenzuola erano sfatte e profumavano ancora di noi. Mi depose delicatamente nel
mezzo, lasciandomi poi per avvicinarsi alle finestre. Accostò la tenda più
scura in modo da permettere alla luce di penetrare nella stanza. Un velo
leggero rimase come unico filtro con la realtà lì fuori. Il cielo tuonava e,
prima che mi raggiungesse nel letto , la pioggia cominciò a picchiettare sui
vetri.
« Voglio guardarti.»
«Devo essere un mostro.»
« Sei bellissima amore mio. »
Non potevo staccare gli occhi dai suoi.
Magnetico e incredibilmente bello non potevo credere fosse mio marito. Mai,
negli anni vissuti insieme, mi aveva dato motivo di essere gelosa. Forse era
per questo che, la presenza costante di una bella donna come Rose accanto, mi
infastidiva così tanto. Era la sola che mai vi fosse stata. E non lo potevo
sopportare. Soprattutto perché il suo apparire era combaciato col rifiuto secco
che Edward aveva opposto alla mia persona. Ora però ero io che giacevo tra le sue braccia e non lei. Era me che baciava
con quella devozione che mi toglieva il fiato…e non lei. Parlava di futuro, di un “ noi
per sempre” …e mai con lei. Tutta la
frustrazione che mi aveva drogata in quei mesi si dissolse e tenendolo stretto
mi donai completamente.
«Voglio sentirti cucciola. Dimmi che mi
vuoi.» Ero prigioniera della sua bocca e sentivo crescere la sofferenza ad ogni
spinta che il suo corpo mi imponeva strusciandosi addosso ancora vestito.
Cercai di attirarlo a me per baciarlo, ma
lui si ritrasse rimanendo però vicinissimo.
Sorrise sornione.
« Dimmelo, lo voglio sentire. Dai…» I
capelli gli coprivano parte del volto.
«Ti prego Edward.» Volevo toccarlo.
«Dimmelo.» La bocca irrimediabilmente sexy.
«Sto impazzendo, io…»
«Dimmelo!» Le sue dita scivolavano dal viso
sul collo, con leggerezza, insinuandosi curiose nelle pieghe delicate della mia
pelle. Mugolai.
«Ti voglio amore mio. Ti vorrò sempre.»
« Era quello che volevo sentire…»si sollevò
in ginocchio sopra di me sfilandosi la maglia e mostrandomi la sua figura
splendidamente abbronzata e tonica «ma non è abbastanza. » Era particolarmente
audace e mi sorpresi ad ammirarlo e a desiderarlo con più forza del solito. Quel
suo mostrarsi un po’ rude mi eccitava e vedevo che eccitava anche lui. Non era
mai successo che Edward mi imponesse qualcosa.
Afferrò i miei polsi guidando le mani sul
suo petto. Il contatto della sua pelle calda e soffice mi provocò un gemito che
si ripercosse in lui. Vibrò sotto le mie dita, cambiando subito espressione. Lo
accarezzai seguendo un disegno immaginario e lui rabbrividì. L’eccitazione lo
trasformava e i tratti prima dolci diventavano più decisi e voluttuosi. Le
labbra assumevano una smorfia tanto erotica da sfinirmi al solo sfiorarla con
gli occhi. Le bagnava passandovi la lingua, come volesse imprimersi il sapore
delle mie che lo avevano baciato. E io lo guardavo.
Il mio uomo meraviglioso.
Unico, intenso, bellissimo e straordinario
sotto ogni profilo. Il colore dei suoi occhi diventava più intenso e il verde dei
boschi diveniva niente al suo pari.
Edward era la mia vita felice, il mio mondo
perfetto e colmata dalla sua dolcezza mi sciolsi tra le sue braccia.
Da brividi tutte le emozioni provate nel leggere il capitolo,grazie ci voleva un bel capitolo così in questa" lunga"estate per me.
RispondiElimina:)
RispondiEliminaCome direbbero in America, It's amazing!!! Magica come sempre.
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