Capitolo 35 – Edward
Rientrammo in casa tenendoci per mano, ma
conoscevo bene mia moglie e sapevo che
c’era qualcosa che non andava. Ci voleva sempre un po’ di tempo perché si
decidesse ad gettare fuori quello che la tormentava e glielo concessi iniziando
a parlare d’altro.
« C’è ancora un po’ di caffè caldo?» Le
baciai la guancia rubandole un mezzo sorriso.
«Si certo, vieni di là. Ti va un po’ di
torta?» Si diresse verso la cucina lasciandomi la mano.
« Perché no!
Mi sento molto meglio ora e mi è venuta pure un po’ di fame in effetti. Ne prendi
anche tu?»
«No, sono a posto. Ti faccio solo compagnia.»
La seguii lentamente, godendomi quella
sua camminata così particolare. Le
scarpe volarono in un angolo e fu di nuovo a piedi nudi.
Quella donna meravigliosa era mia moglie.
Forse un po’ cocciuta, incoerente e
testarda, ma l’amavo proprio così com’era. Lo sguardo sembrava assente, come se
fosse lontana mille miglia col pensiero, ma per scoprire cosa esattamente la
turbasse avremmo avuto tempo più tardi. Già immaginavo quello che avrebbe
detto, ma non volevo essere io a tirar fuori l’argomento. L’avrei ascoltata e poi
cercato di sistemare le cose insieme a lei, anche se a dire il vero cominciavo
a stancarmi di quel suo atteggiamento contrariato.
Mi sedetti sullo sgabello davanti al
bancone, appoggiando i gomiti sul piano
e godendomi lo spettacolo. Si muoveva leggera e quasi sempre in punta di
piedi per raggiungere i ripiani più alti della cucina. La tuta aderiva alla sua
figura lasciando intravedere le curve perfette del fondoschiena e delle gambe
affusolate e la maglia di dimensioni ridotte non faceva altro che evidenziarne
lo splendore.
Piccolina, ma fatta così bene. Mi piaceva
da morire.
Una parte di me si risvegliò immediatamente
e a quella reazione fisica spontanea ghignai, nascondendomi dietro le dita
incrociate davanti al viso perché non mi vedesse. Distratta, sembrò non
accorgersene.
Era stupendo riavere il controllo del mio
corpo, mi dava forza e benessere anche interiore.
Ero sereno.
Mi sembrava di poter spaccare il mondo e di
essere in grado poi di ricucirlo.
« Beh!? Credi che non ti abbia visto?» Ironizzò
posandomi davanti la tazza fumante e il piattino con la torta di mele. Lei
prese per sé un sorso d’acqua.
Afferrai la porzione fingendomi sorpreso di
quella domanda e ne ficcai una buona dose in bocca. Poi le parlai farfugliando
mentre masticavo.
«Visto cosa?» Continuavo a mangiare portandomi
il cibo alla bocca con le mani, come un animale.
«Che mi stavi guardando il culo, scemo. » Si finse offesa, ma quelle labbra arricciate
mentivano.
«Ma non stavo guardando, io contemplavo.»
Si mise a ridere e mi baciò le labbra impiastricciate allungandosi da dietro il
bancone. Adoravo giocare con lei ed erano quelli i momenti nostri che, nei mesi
trascorsi a rodermi l’anima in solitudine, mi erano mancati di più.
« Ah si? E ti pare carino?» Mi baciava aggrappandosi
ai capelli. Era uno splendore.
« Che cosa, il tuo culetto? Molto più che carino,
direi sexy da morire…e non fa che migliorare. Non so come tu faccia, ma la cosa
mi fa impazzire.»
Intinsi il dito nel caffè, mentre la
distraevo accarezzandola e guardandola negli occhi languido e poi glielo
spalmai tra naso e bocca disegnandole i baffi. Gocce color del caramello le scesero
tutto intorno alle labbra e scoppiò a ridere sputandomele in faccia.
« Ma che fai? Che schifooo.» Rideva e si dimenava.
Non mi diedi per vinto e, afferrandola
mentre si ritraeva, le leccai la faccia con tutte le briciole ancora in bocca.
Fuggì verso il salotto ed io la rincorsi gettandola riversa sul divano. La
bloccai sotto di me. Lottammo senza convinzione e dopo qualche istante ero già
perso tra le sue braccia… e pian piano le risa scemarono. La baciai lentamente,
sfiorando quella pelle di velluto fino alla base del collo e ripulendo le curve
del suo viso con le dita. Sospirava sotto il mio tocco e la cosa mi eccitò da
morire. Scesi lentamente sulla sua pelle, cercandola.
« Edward…» Un sussurro appena percepibile,
di resa.
Sentirle pronunciare il mio nome a quel
modo era il più irresistibile degli afrodisiaci. Risvegliava ogni cellula del
mio corpo e come colto da un’onda venivo spinto a prenderla, senza potermi
opporre.
Lasciai che il desiderio crescesse,
stringendola e afferrando le sue labbra tra le mie, quasi a farle male. Quanto
tempo avevo trascorso a sognare di poterla tenere ancora così, a sperare che tornasse
ad essere mia, a risentire quella voce roca e arrendevole, rimasta prigioniera nella
mia testa, immersa per mesi nella nebbia dei ricordi più dolci vissuti insieme.
Ora era tutto vero.
Era qui.
L’afferrai stretta e avvolgendole il viso tra
le mani la baciai ancora, più a fondo…fin quasi a cadervi dentro. Il sapore di
noi era qualcosa di indescrivibile, un cocktail esplosivo che mi penetrava
prendendo il sopravvento su tutto il resto. Assecondavo l’istinto che
scioglieva ogni freno.
Isabella conosceva tutto di me ed io ogni
cosa di lei.
Questo ci dava modo di sentirci liberi di
essere noi stessi.
Quanti potevano affermare di godere dello
stesso privilegio?
Mi staccai dalla sua bocca a fatica, per
ammirarla.
I suoi occhi scuri luccicavano di desiderio,
come perle d’ebano leccate dal sole, ma tradivano un’inquietudine che non le
era usuale. Non di recente almeno. Le labbra arrossate e umide, socchiuse in
attesa di riavermi nuovamente sopra di sé erano più sincere e cercai il
contatto inseguendole ancora. La strinsi forte, ma non ebbi in risposta quel
che mi aspettavo.
«Che ore sono?» La sua domanda mi sorprese.
Sollevai le sopracciglia rispondendo vago a quella domanda ovvia.
«L’ora di pranzo…credo.» Scossi la testa
come a chiederle cosa le importasse.
«Hai fame?» Si era irrigidita e non ne
compresi il motivo.
Insisteva a distrarmi da quella bocca
invitante…e non era da lei.
« Ma che ti importa Isabella, lo vedi
benissimo di cosa ho fame, che ti prende adesso?» Abbassò gli occhi e sgusciò
dalle mie braccia sedendosi diritta sul divano, accanto a me.
«Niente…»
Era silenziosa. Mi guardava ogni tanto, ma allontanava
poi lo sguardo altrove, posandolo sulle
dita delle mani che continuava a contorcere in grembo.
« Ho fatto qualcosa che non va?» Insistevo
a cercare i suoi occhi per capire cosa diavolo fosse accaduto. « Sono alcuni
giorni che sei strana, lo sai?» Continuava a tacere. « Isabella guardami. » Il
mio tono era tranquillo, volevo soltanto sapere cosa le girasse per la testa e
non certo spaventarla.
Allungai la mano accarezzandole il braccio,
ma mi scivolò sotto le dita alzandosi e dirigendosi lenta verso la parete a
vetro.
Il cielo spumeggiava plumbeo sullo sfondo e
sembrava che un altro temporale stesse per abbattersi sulla vallata. Il
bagliore di un lampo me ne diede conferma, illuminando per un istante il profilo
pallido di Isabella. Lei rimase immobile, per nulla spaventata, lasciando che
quel flash le scivolasse oltre e si infrangesse nel nulla.
Mi sistemai meglio tra i cuscini del grande
divano bianco e rimasi in attesa.
« Scusami tesoro. » Faticai a sentirla. Un
sospiro. Il suo.
Abbassò la testa e la sagoma elegante del
suo corpo si compose armonioso in atteggiamento contrito.
« Ma di cosa dovrei scusarti, dai vieni
qui. » Tamburellavo la mano sul cuscino accanto a me richiamandola. «Ti prego,
non sopporto di vederti così.»
Si avvicinò titubante, gettandosi poi vinta
tra le mie braccia.
«Cosa ti preoccupa amore? Sai che a me puoi
dire tutto, lo abbiamo sempre fatto. E’ vero o no?»
«Si è così, ma per questa cosa non so
proprio da dove cominciare.»
« Facciamo …dall’inizio?» Sollevò gli occhi
e vi lessi dolore. Cosa poteva essere successo di così grave da indurla a
sentirsi a quel modo. Ancora tentennava e così provai a spronarla.
« Si tratta Rose?»
«No…si...forse, in parte, ma non solo. »
Proprio non capivo.
«Dai non farti pregare, sputa il rospo. Sei
lì che insisti a roderti per niente. Se hai qualcosa da chiedere fallo e basta.
Che ci vuole. » Giocavo con una ciocca di capelli che le ricadeva sul volto,
cercando i suoi occhi coi miei. Li sollevò restia e le sorrisi per tranquillizzarla.
Niente di quel che poteva dirmi avrebbe cambiato le cose tra noi. Tutto ciò che
avevo creduto di perdere era lì davanti a me e niente e nessuno me lo avrebbe
più portato via, né dagli occhi, né dal
cuore. Intenderci, era un obbligo morale.
«Come facevi a sapere che Rosalie aveva un
fratello?» Mi venne quasi da riderle in faccia pensando che la ragione di tanto
malumore fosse questa.
«Me ne ha parlato proprio stamane durante
la terapia. Ho dovuto estorcerlo con l’inganno in realtà, ma alla fine me l’ha
confessato.» Risposi con calma in modo semplice, nascondendo in un sorriso il
sollievo che provavo.
«Come mai non te ne ha parlato prima?»
Indagava.
«Beh…è una situazione delicata la sua. Rose
è molto riservata riguardo la sua vita privata e fino ad oggi ho sempre
rispettato questa sua esigenza.»
«E cosa ti ha spinto a cambiare idea?»
Insisteva.
«Il fatto che sia cambiata così tanto. Che sembri
sempre sofferente. Da quando siamo qui al lago è divorata da qualcosa che
continuava a sfuggirmi e stamattina ho forzato la mano per scoprire cosa
fosse.»
«E ora lo sai?» La guardai per capire dove
volesse arrivare.
«In realtà no. So soltanto che ha dei
problemi con la famiglia e che non sapeva se il fratello le volesse parlare ancora
o meno. La ragione di questa disputa familiare non la conosco, ma almeno ora sa
che se ha bisogno di qualcuno per parlarne io ci sono. Credo le sarà di aiuto.
O almeno lo spero.»
«Confortante.» Ironizzò con uno sberleffo.
La cosa mi disturbò. Come poteva non arrivarci da sola?
«Voglio bene a Rose e quando avrà bisogno di
conforto per lei ci sarò sempre.» Insistetti.
«Io non ti capisco…» Cercò di rialzarsi, ma
la fermai afferrandole il braccio. Era tempo di chiarimenti.
«Lo so. Non puoi capire quanto mi senta in
debito con lei. Non eri lì quando raccoglieva dal pavimento i cocci della mia
vita che andava in frantumi. Che mi confortava anche se non facevo nulla per
meritarlo. Che si prendeva carico di me, un uomo di cui non sapeva
assolutamente nulla. E che per lei era solo un paziente come un altro.»
« Sei ingiusto.» Mi sfidò.
«Non è così! E lo sai bene. Senza di lei
sarei crollato come una marionetta e forse ora non sarei qui. Sarei probabilmente
morto. Dentro lo ero già dal giorno dell’incidente. Non te lo ricordi?»
«Ero lì, sono sempre stata lì con te. Ci ho
provato almeno.» La sua sicurezza si stava sgualcendo come un fiore appassito
dal tempo. Come petali stinti le sue ragioni scivolarono a terra lente,
sostenute da un ultimo disperato alito di orgoglio.
«Ti sbagli Isabella. Mi ero perso io, così
come ti eri persa tu. Abbiamo finto di continuare a vivere, ma eravamo solo dei
patetici commedianti. Quello che è successo ormai non ha più importanza, almeno
non per me, ma non nascondiamoci la verità, non ce n’è bisogno. Ci siamo dentro
entrambi.»
«Perché tiri fuori questa storia proprio
adesso?» Era spaventata. Non capiva.
«Perché prima o poi dovevamo farlo e visto
che per te è così difficile giustificare quanto sia importante per me Rose,
trovo giusto dirti quanto sia stato altrettanto difficile per me comprendere e
accettare le tue …esigenze terapeutiche notturne.» Taceva ora. Il suo volto era
sbiancato e si era allontanata di qualche metro da me. Non volevo arrivare a
parlare di quello che tenevo sepolto nella mente, ma era tempo di liberarsi
delle zavorre emotive per entrambi e se lei voleva continuare a farmi sentire
in colpa per il sentimento di gratitudine che provavo nei confronti di Rose,
era giusto che liberassi anche le mie di inquietudini e che la facessimo finita
una volta per tutte. Volevo gettarmi tutto alle spalle e sentirmi finalmente
libero dal passato.
«Non sono qui a giudicarti tesoro. Non sono
stato un angelo nemmeno io. Se potessi rivivere tutto da capo non rifarei gli
stessi stupidi errori. Sei sempre stata la persona più importante per me,
eppure ti ho tenuta fuori dalla mia vita perché avevo paura che non avresti mai
capito, che non mi avresti accettato. Ho
sbagliato. Ora lo so. Si fanno cose spiacevoli e a volte orribili, ma nessuno
ha mai diritto di giudicare l’altro, nessuno! Posso comprendere la gelosia che
hai provato quando hai trovato Rose e me in quella situazione imbarazzante, lì
nel nostro appartamento, non ero
credibile lo so, ma hai mai pensato a cosa ho provato io ogni volta che mi
ritrovavo solo in casa? Lunghe notti di silenzio e buio, sapendo che il casco
della tua moto non era al suo posto e ancor più conoscendo bene quale ne fosse
la ragione?! Sto cercando di non essere esplicito Isabella, ma è stata molto
più dura per me. »
Attonita si era rannicchiata sul divano
stringendosi addosso tutti i cuscini che trovava. C’erano emozioni e sensazioni
che giacevano irrisolte nel profondo del mio essere e mi sentivo di non poterle
più rificcare dov’erano. Non c’era più posto in me per quel carico di
negatività. Era tempo di gettare via tutto e di ricominciare. Tanto valeva
farlo tutto in una volta.
«Tesoro mio grande. In questi mesi
trascorsi insieme io sono rinato e lo devo a te e al fatto di essere di nuovo
insieme. Non so come sono riuscito a farlo, ma, desiderando il tuo amore più di
ogni altra cosa al mondo, mi sono lasciato tutto alle spalle, perché voglio
andare avanti, costruire altri ricordi di
noi due, qualcosa di speciale che non avrebbe senso se tu non ci fossi. Ho
scelto te oltre ogni altra ragione…senza condizioni…senza preconcetti, solo
perché ti amo.»
« Non ho mai voluto ferirti. » Lacrime mute
le scendevano sul volto precipitando sulle sua labbra. Sapevo già quanto mi
amasse e anche che quel comportamento libertino avvenuto in passato non era
volto a ferire me, ma piuttosto se stessa. Autopunirsi era il suo modo di
risolvere le paure, ma era tempo che anche questo cambiasse. Lo doveva a me…e
soprattutto a se stessa. Cercai la sua mano, ma la ritrasse nascondendola sotto
ai cuscini. Non mi lasciai intimidire e continuai.
«Conosco le tue ragioni e, sebbene ti possa
sembrare il contrario, le ho accettate. Perché tu non puoi accettare le mie? Perché
non capisci quanto sia stata importante Rose per me? Eppure non ti ha mai dato modo
di dubitare di lei. A parte quell’episodio del bagno, che tra l’altro non è
successo nulla, non ti ha mai dato nessun valido motivo per trattarla nel modo
in cui fai tu. Lei con te non l’ha mai fatto…eppure sapeva. Sapeva ogni cosa. E’
stata corretta e ha pensato solamente ad aiutarmi a superare ogni giorno,
dandomi la speranza che non fosse l’ultimo e che valesse la pena aspettare il
successivo. Dovresti esserle grata…mi ha salvato. E invece la deridi e la
tratti da rivale. » Non le avevo mai parlato così francamente dell’argomento e
all’improvviso mi resi conto quanto
fosse giusto farlo. Essere accomodanti non sempre era buona cosa. Ero stanco di
assecondarla.
« Isabella io ti amo e lo sai, non c’è nemmeno
bisogno di dirlo. Tutti gli sforzi che ho fatto sono spinti dal desiderio di
ricominciare a vivere la nostra vita insieme. Non c’è alcun motivo di dubitare
che questo accadrà…anzi è già accaduto. Sei l’unica donna che voglio al mio
fianco per il resto dei miei giorni, ma non per questo devo escludere ogni
altra donna sulla faccia della Terra. Non lo farò. Non ha senso. Soprattutto un’amica
unica come Rose. »
Mi guardava spaventata, quasi come se non
mi sentisse. Il pallore persisteva e sembrava che ogni mia parola le fosse
scivolata addosso come ghiaccio. Doveva esserci dell’altro o sarebbe esplosa
riversandomi addosso le sue ragioni. Invece taceva e mi fissava. Non piangeva
più, ma pareva avesse visto un fantasma e non riuscisse a distogliere gli
occhi.
«Isabella che hai? Così mi spaventi.» Mi
sollevai e afferrandole i polsi l’attirai verso di me. Si lasciò abbracciare
senza reagire, ma non rispose alla mia richiesta di pace. Le cose dette erano
palesi a entrambi quindi non pensavo di aver detto nulla che la potesse
sconvolgere fino a quel punto.
La strinsi appoggiando il suo volto al
petto e cullandola la coccolai. Tremava, ma dopo poco smise di farlo
rilassandosi su di me.
«Va meglio ora?» Si sollevò agganciando i
miei occhi coi suoi. Incamerò l’aria in petto come se non respirasse da ore e
finalmente parlò.
« Edward, presto dovrò tornare a San Francisco,
molto presto…entro qualche giorno. Non sapevo come dirtelo. Così te lo
dico e basta! Ora lo sai. »
Rimasi a bocca aperta, osservando quello
stesso fantasma …portarmela via.
perchè nn esistono uomini cosi??
RispondiEliminafinalmente edward gli ha detto tutto quello che aveva dentro in un modo cosi sicuro di se
e con tutto l'amore che prova per isabella
e lei gli dice che deve andare via
ma nn credo che nessun fantasma la porta via
lo ama troppo!!
grazie donna spero leggerti presto!!