mercoledì 31 luglio 2013

capitolo 35

Capitolo 35 – Edward



Rientrammo in casa tenendoci per mano, ma conoscevo bene mia moglie  e sapevo che c’era qualcosa che non andava. Ci voleva sempre un po’ di tempo perché si decidesse ad gettare fuori quello che la tormentava e glielo concessi iniziando a parlare d’altro.
« C’è ancora un po’ di caffè caldo?» Le baciai la guancia rubandole un mezzo sorriso.
«Si certo, vieni di là. Ti va un po’ di torta?» Si diresse verso la cucina lasciandomi la mano.
« Perché no! Mi sento molto meglio ora e mi è venuta pure un po’ di fame in effetti. Ne prendi anche tu?»
«No, sono a posto. Ti faccio solo compagnia.»  La seguii lentamente, godendomi quella sua camminata così particolare.  Le scarpe volarono in un angolo e fu di nuovo a piedi nudi.
Quella donna meravigliosa era mia moglie.
Forse un po’ cocciuta, incoerente e testarda, ma l’amavo proprio così com’era. Lo sguardo sembrava assente, come se fosse lontana mille miglia col pensiero, ma per scoprire cosa esattamente la turbasse avremmo avuto tempo più tardi. Già immaginavo quello che avrebbe detto, ma non volevo essere io a tirar fuori l’argomento. L’avrei ascoltata e poi cercato di sistemare le cose insieme a lei, anche se a dire il vero cominciavo a stancarmi di quel suo atteggiamento contrariato.
Mi sedetti sullo sgabello davanti al bancone, appoggiando i gomiti sul piano  e godendomi lo spettacolo. Si muoveva leggera e quasi sempre in punta di piedi per raggiungere i ripiani più alti della cucina. La tuta aderiva alla sua figura lasciando intravedere le curve perfette del fondoschiena e delle gambe affusolate e la maglia di dimensioni ridotte non faceva altro che evidenziarne lo splendore.
Piccolina, ma fatta così bene. Mi piaceva da morire.
Una parte di me si risvegliò immediatamente e a quella reazione fisica spontanea ghignai, nascondendomi dietro le dita incrociate davanti al viso perché non mi vedesse. Distratta, sembrò non accorgersene.
Era stupendo riavere il controllo del mio corpo, mi dava forza e benessere anche interiore.
Ero sereno.
Mi sembrava di poter spaccare il mondo e di essere in grado poi di ricucirlo.
« Beh!? Credi che non ti abbia visto?» Ironizzò posandomi davanti la tazza fumante e il piattino con la torta di mele. Lei prese per sé un sorso d’acqua.
Afferrai la porzione fingendomi sorpreso di quella domanda e ne ficcai una buona dose in bocca. Poi le parlai farfugliando mentre masticavo.
«Visto cosa?» Continuavo a mangiare portandomi il cibo alla bocca con le mani, come un animale.
«Che mi stavi guardando il culo,  scemo. » Si finse offesa, ma quelle labbra arricciate mentivano.
«Ma non stavo guardando, io contemplavo.» Si mise a ridere e mi baciò le labbra impiastricciate allungandosi da dietro il bancone. Adoravo giocare con lei ed erano quelli i momenti nostri che, nei mesi trascorsi a rodermi l’anima in solitudine, mi erano mancati di più.
« Ah si? E ti pare carino?» Mi baciava aggrappandosi ai capelli. Era uno splendore.
« Che cosa, il tuo culetto? Molto più che carino, direi sexy da morire…e non fa che migliorare. Non so come tu faccia, ma la cosa mi fa impazzire.»
Intinsi il dito nel caffè, mentre la distraevo accarezzandola e guardandola negli occhi languido e poi glielo spalmai tra naso e bocca disegnandole i baffi. Gocce color del caramello le scesero tutto intorno alle labbra e scoppiò a ridere sputandomele in faccia.
« Ma che fai? Che schifooo.» Rideva e si dimenava.
Non mi diedi per vinto e, afferrandola mentre si ritraeva, le leccai la faccia con tutte le briciole ancora in bocca. Fuggì verso il salotto ed io la rincorsi gettandola riversa sul divano. La bloccai sotto di me. Lottammo senza convinzione e dopo qualche istante ero già perso tra le sue braccia… e pian piano le risa scemarono. La baciai lentamente, sfiorando quella pelle di velluto fino alla base del collo e ripulendo le curve del suo viso con le dita. Sospirava sotto il mio tocco e la cosa mi eccitò da morire. Scesi lentamente sulla sua pelle, cercandola.
« Edward…» Un sussurro appena percepibile, di resa.
Sentirle pronunciare il mio nome a quel modo era il più irresistibile degli afrodisiaci. Risvegliava ogni cellula del mio corpo e come colto da un’onda venivo spinto a prenderla, senza potermi opporre.
Lasciai che il desiderio crescesse, stringendola e afferrando le sue labbra tra le mie, quasi a farle male. Quanto tempo avevo trascorso a sognare di poterla tenere ancora così, a sperare che tornasse ad essere mia, a risentire quella voce roca e arrendevole, rimasta prigioniera nella mia testa, immersa per mesi nella nebbia dei ricordi più dolci vissuti insieme.
Ora era tutto vero.
Era qui.
L’afferrai stretta e avvolgendole il viso tra le mani la baciai ancora, più a fondo…fin quasi a cadervi dentro. Il sapore di noi era qualcosa di indescrivibile, un cocktail esplosivo che mi penetrava prendendo il sopravvento su tutto il resto. Assecondavo l’istinto che scioglieva ogni freno.
Isabella conosceva tutto di me ed io ogni cosa di lei.
Questo ci dava modo di sentirci liberi di essere noi stessi.
Quanti potevano affermare di godere dello stesso privilegio?
Mi staccai dalla sua bocca a fatica, per ammirarla.
I suoi occhi scuri luccicavano di desiderio, come perle d’ebano leccate dal sole, ma tradivano un’inquietudine che non le era usuale. Non di recente almeno. Le labbra arrossate e umide, socchiuse in attesa di riavermi nuovamente sopra di sé erano più sincere e cercai il contatto inseguendole ancora. La strinsi forte, ma non ebbi in risposta quel che mi aspettavo.
«Che ore sono?» La sua domanda mi sorprese. Sollevai le sopracciglia rispondendo vago a quella domanda ovvia.
«L’ora di pranzo…credo.» Scossi la testa come a chiederle cosa le importasse.
«Hai fame?» Si era irrigidita e non ne compresi il motivo.
Insisteva a distrarmi da quella bocca invitante…e non era da lei.
« Ma che ti importa Isabella, lo vedi benissimo di cosa ho fame, che ti prende adesso?» Abbassò gli occhi e sgusciò dalle mie braccia sedendosi diritta sul divano, accanto a me.
«Niente…»
Era silenziosa. Mi guardava ogni tanto, ma allontanava poi lo sguardo altrove,  posandolo sulle dita delle mani che continuava a contorcere in grembo.
« Ho fatto qualcosa che non va?» Insistevo a cercare i suoi occhi per capire cosa diavolo fosse accaduto. « Sono alcuni giorni che sei strana, lo sai?» Continuava a tacere. « Isabella guardami. » Il mio tono era tranquillo, volevo soltanto sapere cosa le girasse per la testa e non certo spaventarla.
Allungai la mano accarezzandole il braccio, ma mi scivolò sotto le dita alzandosi e dirigendosi lenta verso la parete a vetro.
Il cielo spumeggiava plumbeo sullo sfondo e sembrava che un altro temporale stesse per abbattersi sulla vallata. Il bagliore di un lampo me ne diede conferma, illuminando per un istante il profilo pallido di Isabella. Lei rimase immobile, per nulla spaventata, lasciando che quel flash le scivolasse oltre e si infrangesse nel nulla.
Mi sistemai meglio tra i cuscini del grande divano bianco e rimasi in attesa.
« Scusami tesoro. » Faticai a sentirla. Un sospiro. Il suo.
Abbassò la testa e la sagoma elegante del suo corpo si compose armonioso in atteggiamento contrito.
« Ma di cosa dovrei scusarti, dai vieni qui. » Tamburellavo la mano sul cuscino accanto a me richiamandola. «Ti prego, non sopporto di vederti così.»
Si avvicinò titubante, gettandosi poi vinta tra le mie braccia.
«Cosa ti preoccupa amore? Sai che a me puoi dire tutto, lo abbiamo sempre fatto. E’ vero o no?»
«Si è così, ma per questa cosa non so proprio da dove cominciare.»
« Facciamo …dall’inizio?» Sollevò gli occhi e vi lessi dolore. Cosa poteva essere successo di così grave da indurla a sentirsi a quel modo. Ancora tentennava e così provai a spronarla.
« Si tratta Rose?»
«No…si...forse, in parte, ma non solo. » Proprio non capivo.
«Dai non farti pregare, sputa il rospo. Sei lì che insisti a roderti per niente. Se hai qualcosa da chiedere fallo e basta. Che ci vuole. » Giocavo con una ciocca di capelli che le ricadeva sul volto, cercando i suoi occhi coi miei. Li sollevò restia e le sorrisi per tranquillizzarla. Niente di quel che poteva dirmi avrebbe cambiato le cose tra noi. Tutto ciò che avevo creduto di perdere era lì davanti a me e niente e nessuno me lo avrebbe più portato via, né  dagli occhi, né dal cuore. Intenderci, era un obbligo morale.
«Come facevi a sapere che Rosalie aveva un fratello?» Mi venne quasi da riderle in faccia pensando che la ragione di tanto malumore fosse questa.
«Me ne ha parlato proprio stamane durante la terapia. Ho dovuto estorcerlo con l’inganno in realtà, ma alla fine me l’ha confessato.» Risposi con calma in modo semplice, nascondendo in un sorriso il sollievo che provavo.
«Come mai non te ne ha parlato prima?» Indagava.
«Beh…è una situazione delicata la sua. Rose è molto riservata riguardo la sua vita privata e fino ad oggi ho sempre rispettato questa sua esigenza.»
«E cosa ti ha spinto a cambiare idea?» Insisteva.
«Il fatto che sia cambiata così tanto. Che sembri sempre sofferente. Da quando siamo qui al lago è divorata da qualcosa che continuava a sfuggirmi e stamattina ho forzato la mano per scoprire cosa fosse.»
«E ora lo sai?» La guardai per capire dove volesse arrivare.
«In realtà no. So soltanto che ha dei problemi con la famiglia e che non sapeva se il fratello le volesse parlare ancora o meno. La ragione di questa disputa familiare non la conosco, ma almeno ora sa che se ha bisogno di qualcuno per parlarne io ci sono. Credo le sarà di aiuto. O almeno lo spero.»
«Confortante.» Ironizzò con uno sberleffo. La cosa mi disturbò. Come poteva non arrivarci da sola?
«Voglio bene a Rose e quando avrà bisogno di conforto per lei ci sarò sempre.» Insistetti.
«Io non ti capisco…» Cercò di rialzarsi, ma la fermai afferrandole il braccio. Era tempo di chiarimenti.
«Lo so. Non puoi capire quanto mi senta in debito con lei. Non eri lì quando raccoglieva dal pavimento i cocci della mia vita che andava in frantumi. Che mi confortava anche se non facevo nulla per meritarlo. Che si prendeva carico di me, un uomo di cui non sapeva assolutamente nulla. E che per lei era solo un paziente come un altro.»
« Sei ingiusto.» Mi sfidò.
«Non è così! E lo sai bene. Senza di lei sarei crollato come una marionetta e forse ora non sarei qui. Sarei probabilmente morto. Dentro lo ero già dal giorno dell’incidente. Non te lo ricordi?»
«Ero lì, sono sempre stata lì con te. Ci ho provato almeno.» La sua sicurezza si stava sgualcendo come un fiore appassito dal tempo. Come petali stinti le sue ragioni scivolarono a terra lente, sostenute da un ultimo disperato alito di orgoglio.
«Ti sbagli Isabella. Mi ero perso io, così come ti eri persa tu. Abbiamo finto di continuare a vivere, ma eravamo solo dei patetici commedianti. Quello che è successo ormai non ha più importanza, almeno non per me, ma non nascondiamoci la verità, non ce n’è bisogno. Ci siamo dentro entrambi.»
«Perché tiri fuori questa storia proprio adesso?» Era spaventata. Non capiva.
«Perché prima o poi dovevamo farlo e visto che per te è così difficile giustificare quanto sia importante per me Rose, trovo giusto dirti quanto sia stato altrettanto difficile per me comprendere e accettare le tue …esigenze terapeutiche notturne.» Taceva ora. Il suo volto era sbiancato e si era allontanata di qualche metro da me. Non volevo arrivare a parlare di quello che tenevo sepolto nella mente, ma era tempo di liberarsi delle zavorre emotive per entrambi e se lei voleva continuare a farmi sentire in colpa per il sentimento di gratitudine che provavo nei confronti di Rose, era giusto che liberassi anche le mie di inquietudini e che la facessimo finita una volta per tutte. Volevo gettarmi tutto alle spalle e sentirmi finalmente libero dal passato.
«Non sono qui a giudicarti tesoro. Non sono stato un angelo nemmeno io. Se potessi rivivere tutto da capo non rifarei gli stessi stupidi errori. Sei sempre stata la persona più importante per me, eppure ti ho tenuta fuori dalla mia vita perché avevo paura che non avresti mai capito, che non mi avresti accettato.  Ho sbagliato. Ora lo so. Si fanno cose spiacevoli e a volte orribili, ma nessuno ha mai diritto di giudicare l’altro, nessuno! Posso comprendere la gelosia che hai provato quando hai trovato Rose e me in quella situazione imbarazzante, lì nel nostro appartamento,  non ero credibile lo so, ma hai mai pensato a cosa ho provato io ogni volta che mi ritrovavo solo in casa? Lunghe notti di silenzio e buio, sapendo che il casco della tua moto non era al suo posto e ancor più conoscendo bene quale ne fosse la ragione?! Sto cercando di non essere esplicito Isabella, ma è stata molto più dura per me. »
Attonita si era rannicchiata sul divano stringendosi addosso tutti i cuscini che trovava. C’erano emozioni e sensazioni che giacevano irrisolte nel profondo del mio essere e mi sentivo di non poterle più rificcare dov’erano. Non c’era più posto in me per quel carico di negatività. Era tempo di gettare via tutto e di ricominciare. Tanto valeva farlo tutto in una volta.
«Tesoro mio grande. In questi mesi trascorsi insieme io sono rinato e lo devo a te e al fatto di essere di nuovo insieme. Non so come sono riuscito a farlo, ma, desiderando il tuo amore più di ogni altra cosa al mondo, mi sono lasciato tutto alle spalle, perché voglio andare  avanti, costruire altri ricordi di noi due, qualcosa di speciale che non avrebbe senso se tu non ci fossi. Ho scelto te oltre ogni altra ragione…senza condizioni…senza preconcetti, solo perché ti amo.»
« Non ho mai voluto ferirti. » Lacrime mute le scendevano sul volto precipitando sulle sua labbra. Sapevo già quanto mi amasse e anche che quel comportamento libertino avvenuto in passato non era volto a ferire me, ma piuttosto se stessa. Autopunirsi era il suo modo di risolvere le paure, ma era tempo che anche questo cambiasse. Lo doveva a me…e soprattutto a se stessa. Cercai la sua mano, ma la ritrasse nascondendola sotto ai cuscini. Non mi lasciai intimidire e continuai.
«Conosco le tue ragioni e, sebbene ti possa sembrare il contrario, le ho accettate. Perché tu non puoi accettare le mie? Perché non capisci quanto sia stata importante Rose per me? Eppure non ti ha mai dato modo di dubitare di lei. A parte quell’episodio del bagno, che tra l’altro non è successo nulla, non ti ha mai dato nessun valido motivo per trattarla nel modo in cui fai tu. Lei con te non l’ha mai fatto…eppure sapeva. Sapeva ogni cosa. E’ stata corretta e ha pensato solamente ad aiutarmi a superare ogni giorno, dandomi la speranza che non fosse l’ultimo e che valesse la pena aspettare il successivo. Dovresti esserle grata…mi ha salvato. E invece la deridi e la tratti da rivale. » Non le avevo mai parlato così francamente dell’argomento e all’improvviso  mi resi conto quanto fosse giusto farlo. Essere accomodanti non sempre era buona cosa. Ero stanco di assecondarla.
« Isabella io ti amo e lo sai, non c’è nemmeno bisogno di dirlo. Tutti gli sforzi che ho fatto sono spinti dal desiderio di ricominciare a vivere la nostra vita insieme. Non c’è alcun motivo di dubitare che questo accadrà…anzi è già accaduto. Sei l’unica donna che voglio al mio fianco per il resto dei miei giorni, ma non per questo devo escludere ogni altra donna sulla faccia della Terra. Non lo farò. Non ha senso. Soprattutto un’amica unica come Rose. »
Mi guardava spaventata, quasi come se non mi sentisse. Il pallore persisteva e sembrava che ogni mia parola le fosse scivolata addosso come ghiaccio. Doveva esserci dell’altro o sarebbe esplosa riversandomi addosso le sue ragioni. Invece taceva e mi fissava. Non piangeva più, ma pareva avesse visto un fantasma e non riuscisse a distogliere gli occhi.
«Isabella che hai? Così mi spaventi.» Mi sollevai e afferrandole i polsi l’attirai verso di me. Si lasciò abbracciare senza reagire, ma non rispose alla mia richiesta di pace. Le cose dette erano palesi a entrambi quindi non pensavo di aver detto nulla che la potesse sconvolgere fino a quel punto.
La strinsi appoggiando il suo volto al petto e cullandola la coccolai. Tremava, ma dopo poco smise di farlo rilassandosi su di me.
«Va meglio ora?» Si sollevò agganciando i miei occhi coi suoi. Incamerò l’aria in petto come se non respirasse da ore e finalmente parlò.
« Edward, presto dovrò tornare a San Francisco, molto presto…entro qualche giorno. Non sapevo come dirtelo. Così te lo dico e basta! Ora lo sai. »

Rimasi a bocca aperta, osservando quello stesso fantasma …portarmela via.

1 commento:

  1. perchè nn esistono uomini cosi??
    finalmente edward gli ha detto tutto quello che aveva dentro in un modo cosi sicuro di se
    e con tutto l'amore che prova per isabella
    e lei gli dice che deve andare via
    ma nn credo che nessun fantasma la porta via
    lo ama troppo!!
    grazie donna spero leggerti presto!!

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