Capitolo 25 –
Edward
La scia del suo
caldo profumo rimase imprigionata nella mia bocca, mentre vedevo apparire come
un incantesimo le curve sensuali del
corpo nudo di Isabella.
Assaporai quel
nettare leccandomi le labbra e mi
accesi.
Mi lasciai andare.
Era questo che mi
avevano più volte chiesto di fare, lasciare che fosse il mio cuore a guidarmi e non la mia mente.
Ero convinto che
l’uno senza l’altra fossero inutili, bisognava metterli d’accordo, conciliare la
volontà di entrambi, per raggiungere
veramente ciò che si desiderava.
Dovetti trattenermi
dal correrle appresso.
Ero troppo
sconvolto dallo spettacolo che Isabella aveva improvvisato avviandosi nel
corridoio senza dire una parola.
Quegli episodi
velati di silenzi erano stati sempre anticamera di fantasiose follie…di nottate
indimenticabili…
Le mani strette
sulle ruote della mia sedia, assistevo a qualcosa per me di insostenibile.
La desideravo.
Era nella mia testa
che veniva generata quell’irrefrenabile passione…e il mio corpo obbediva, senza
che io facessi nulla.
La riconobbe e
rispose al richiamo.
Desideravo
sentirla, riconoscerla, farne parte.
Era una sensazione
talmente forte da sentirmi male.
Continuavano a risuonarmi
nella mente le parole di Jasper…quelle di Rose…e le stesse di Isabella , quando
la notte mi sussurrava all’orecchio di fidarmi di lei.
Ora la volevo.
La volevo, al punto
da dimenticare tutto il resto.
Ero giunto a dover
prendere una decisione importante, tanto importante da determinare il mio
futuro.
Sapevo esattamente
dove volevo arrivare, ma il percorso per giungere a quel traguardo era
un’incognita che non riuscivo a risolvere.
Eppure tutti mi
dicevano che sarebbe stato semplice.
Bastava soltanto
lasciare che tutto accadesse da sé.
Che permettessi a
Isabella di avvicinarmi e di provarci.
Qualche metro, un
solo breve tratto incontro a quella dea
della quale ero schiavo da sempre e avrei potuto trovare le mie risposte.
Varcando la soglia
Isabella aveva lasciato la porta socchiusa alle sue spalle, quel tanto da poter
scorgere quel che accadeva all’interno.
I suoni familiari
dell’acqua scrosciante, il profumo inebriante del suo bagnoschiuma di Cartier,
la luce calda e soffusa prodotta di piccoli punti luce distribuiti
sapientemente in quella splendida stanza da bagno, mi incatenarono la mente…
Ero perdutamente
suo, soltanto di questo ero certo.
L’ultima volta che
vi avevo messo piede era stato qualche giorno prima dell’incidente, in seguito
non mi ero avvicinato nemmeno per dare un’occhiata… perché lì, tra quelle mura rivestite
di mosaico ambrato, avevamo fatto l’amore molte volte…e l’ultima era stata
superba.
Quasi senza
rendermene conto spinsi l’uscio e mi ritrovai all’interno, dove il vapore aveva
creato in pochi minuti un’atmosfera ovattata e nebulosa.
Le luci colorate si
espandevano in raggi evanescenti che fluttuavano e sembravano rincorrersi
annodandosi l’un l’altro, sciogliendosi poi con un semplice soffio d’aria…
Isabella mi dava le
spalle, mostrando le sue curve morbide, protetta dal limpido vetro della zona
doccia.
Non si era accorta
della mia presenza.
Si muoveva
lentamente, accarezzando con la spugna le linee dolci del suo corpo dalla pelle
chiara come neve.
L’acqua, ricolma di
bollicine ossigenate, scorreva leggera sulla sua pelle, disegnando scie di
schiuma bianca che dopo pochi istanti si scioglievano scoppiettando e
scomparendo…
Era ciò che di più
bello avessi mai veduto.
In silenzio
contemplai la mia donna, mentre il mio corpo reagiva spontaneamente agli
stimoli di quella inconsapevole creatura che dava spettacolo di sé.
Distrattamente
allungai la mano per cercare la maniglia della porta e incautamente la urtai, richiudendola
di colpo.
Il forte rumore
coprì la musica che, come in tutte le altre stanze della casa, disperdeva
nell’aria amabili note e un quieto benessere.
Rimasi a fissare
quel vetro trasparente dietro al quale vi scorsi gli occhi sorpresi e un po’ spaventati
della donna che amavo.
Mi guardava
stringendosi al petto la spugna, dalla quale colava lenta la candida schiuma
spumeggiante.
Deglutii a fatica,
mentre il respiro, a tratti, mi ingannava sparendo.
Le luci cambiarono
colore con una lentezza esasperante, regalandomi un’immagine di lei ogni
istante differente, quasi fossero istantanee dello stesso soggetto, scattate
con filtri differenti…come se la mano di un artista valutasse lo stile da
adottare per dipingere quel nudo di donna.
Uno spettacolo
straordinario.
Mi avvicinai a
quello schermo trasparente che ci divideva, mentre il sudore cominciava a
colarmi sul volto assorbendosi sulla maglietta.
Avvertivo il lieve
solletico di quello scorrere improvviso, mentre brividi di eccitazione si
rincorrevano sul mio corpo come spilli dispettosi.
Era una sensazione
dolorosa.
Il dolore più dolce
che potessi desiderare.
Allungai una mano
poggiando il palmo su quella superficie liscia, quasi volessi toccarla, temendo
che Isabella svanisse come una bolla di sapone.
La musica
incalzante aumentò di volume e sommerse la stanza allontanandomi dalla realtà e
catapultandomi in quella dimensione dove tutto appare possibile.
Un rosso corallo colorò l’aria, spesso come carta di riso e accese le mie fantasie
più nascoste…velandole dietro evanescenti nuvole di vapore.
Isabella fermò lo
scroscio d’acqua con un battito di mani e facendo scorrere le porte trasparenti
che ci dividevano, si avvicinò, rimanendo in piedi di fronte a me.
Leggevo nel suo
sguardo mille domande.
Sperai leggesse nei
miei le risposte che cercava...senza costringermi a dar loro voce.
Non sapevo se sarei
stato in grado di farle comprendere quale tumulto interiore mi stesse
travolgendo.
Volevo essere
travolto…volevo lasciarmi vincere dal desiderio.
Volevo liberarmi da
quel silenzio che ammanettava le mie emozioni…le volevo sentire…le volevo
urlare…le volevo vivere.
Avevo bisogno di
sentirmi un uomo completo.
Dovevo poter
credere ancora di poterlo essere…
Chiusi gli occhi un
istante e sentii la sedia sotto di me spostarsi.
Non li riaprii
finché non si fermò.
Isabella mi aveva
fatto entrare nell’ampio spazio che ospitava doccia e bagno turco…il nostro
piccolo wellness privato.
Richiuse l’anta di
vetro spesso e mi venne vicino.
Accanto a me c’era
la chaise-longue sulla quale ci si stendeva per lasciarsi accarezzare dai
vapori balsamici che uscivano dai piccoli fori alla parete…era in legno di sandalo
e sprigionava quel lieve inconfondibile profumo che rilassava la mente.
Isabella era
splendida.
La sua pelle
brillava sotto i fasci di luce, coperta da mille gocce aggrappate al suo corpo
come perle di cristallo.
Rimasi incantato…
lo sguardo perso su quel tempio di bellezza.
Si chinò scorrendo
le dita tra i miei capelli bagnati…scivolando poi sul mio viso, seguendone il
profilo.
Bastò quel leggero
tocco per farmi rabbrividire.
Afferrai
delicatamente quella mano portandone il palmo alle labbra.
La baciai, leccando
quel dolce sapore di lei e chiudendo gli occhi permisi a quel balsamo di
soffocare quello amaro delle mie paure.
Lei era lì per me.
Lei mi desiderava.
Isabella non mi
avrebbe mai abbandonato.
Potevo esserne
certo?
In quel momento lo
ero…ormai disarmato, di fronte allo
sguardo acceso di un’amore che credevo perduto.
Desideravo
allontanare da me la sedia sulla quale giacevo, quel simbolo che mi impediva di
dimenticare la mia condizione e con un movimento deciso mi sollevai sulle
braccia, lasciandomi cadere lungo disteso sulla chaise longue accanto a me.
Isabella colse il
mio intento come un invito e un istante dopo la mia sedia a rotelle non c’era
più.
Tornò da me
spogliandomi lentamente…la lasciai fare osservando ogni suo movimento.
Controllava i suoi
gesti, contenendo quella foga che le era caratteristica in queste occasioni.
Lo faceva per me.
Le fui grato per
questo.
La fretta avrebbe
indubbiamente rischiato di rovinare tutto.
Non potevo sperare
di darle subito quello che in passato aveva avuto da me, ma non negai a me
stesso la possibilità che con amore…pazienza…e perseveranza…in futuro sarebbe
potuto accadere ancora.
Dovevo crederlo.
Poco dopo mi
ritrovai nudo a raccogliere tutte le energie che avevo per affrontare questa
prova.
Mi concentrai su di
lei.
Isabella sorrideva
dolcemente, mentre le sue mani su di me si muovevano leggere e delicate, tessendo
una spirale di sensazioni tattili che irrimediabilmente mi conducevano
all’estasi.
Sinuosa e abile si
muoveva intorno e sopra di me, curandosi
di non pesare sulle mie inutili gambe.
Il mio corpo non
era tonico come un tempo e mi resi conto dell’aspetto scarno delle mie gambe immobili, abbandonate sulle doghe curve del lettino.
Isabella se ne
accorse e mi costrinse a guardare lei negli occhi.
-
Edward
lasciati andare…non devi fare nulla…penso io a te. - Una richiesta sussurrata sulle
mie labbra che mi condusse docile ad obbedire.
Instancabili, le
sue carezze mantenevano vivo il desiderio, ma mi accorsi che evitava
accuratamente di scendere più in basso, dove
ciò che provavo… trovava forma.
L’eccitamento che
provavo derivava più da uno stimolo visivo che non perché sentissi realmente le
sue mani.
Le scosse
impercettibili che avvertivo sulla pelle al di sotto della cinta mi facevano il
solletico…e mi costrinsero a sorridere delle sue carezze.
Lei era seria…
Mi fissava negli
occhi con una intensità da togliermi il fiato.
Era eccitata e
stava controllando quel demonio che si impossessava di lei quando questo
accadeva.
Il suo respiro aumentò quando scendendo con la
mano evitò accuratamente di
toccarmi.
Le costava notevole
sforzo.
Mi odiai per questo,
era colpa mia.
Non era giusto
accadesse.
Era il momento di
decidere…
Toccava a me farlo.
Le afferrai il
polso con decisione.
Lei alzò gli occhi
nei miei.
Le mie labbra
fremettero.
Dio …come la
volevo.
Appoggiai il palmo della
sua mano sul mio petto, dopo averle baciato le dita.
Deglutii.
Era il
momento…dovevo farlo.
Costrinsi la sua
mano a scorrere su di me , scendendo lenta verso quel punto che aveva volutamente
evitato.
Capì quello che
stava per accadere e le sfuggì un gemito.
Dovevo farlo.
Lo dovevo fare per
noi.
Dovevo provarci.
Le lasciai il polso
e risposi annuendo ad un suo quesito silenzioso.
Il mio consenso la
stupì.
Rimase immobile,
sbarrando gli occhi.
-
Non
fermarti… ti prego! – La implorai deciso. La voce roca…la gola secca.
-
Toccami
Isabella! –
-
Edward…
– Si morse le labbra…e con la punta delle dita gliele sfiorai impedendoglielo.
Volevo quella bocca e accarezzandola vi lasciai scivolare dentro il pollice. Il
calore della sua lingua bagnata fu come una sferzata…che mi eccitò oltremisura.
-
Fallo
Isabella…Fallo ora…Toccami! –
Succhiò il mio dito
scivolando le labbra lungo la sua lunghezza e sentirlo mi fece impazzire.
Cosa mi aveva
trattenuto da tutto questo?
Quanto tempo avevo
perso a piangermi addosso.
Ogni cosa di
isabella mi era mancata tanto da stare male e ora più che mai me ne resi conto
dandomi dell’idiota.
Le scostai i
capelli dal viso, prendendole il volto tra le mani.
Era bellissimo
leggere nei suoi occhi quella luce di passione.
La avvicinai sprofondando
sulla sua bocca ancora aperta.
Era dolce e
accogliente e le divorai la lingua regalandole poi la mia.
Giocare sulle sue
labbra era un sogno.
Sentirle sulle mie…il
Paradiso.
Mi scostai per
guardarla e felice come non lo ero da tanto…sorrisi insieme a lei.
Mi stesi nuovamente
appoggiando la schiena al lettino e la invitai con lo sguardo a riprendersi ciò
che era sempre stato suo.
Abbassai gli occhi
su quelle piccole dita, osservando come riprendessero confidenza con parti di
me che avevo voluto dimenticare.
Avvertivo appena il suo tocco, ma
obbediente il mio corpo rispondeva.
Rimasi incantato a guardare la scena.
Quasi ne fossi soltanto spettatore.
Era più facile far finta che non fossi io
in quel corpo che Isabella stava toccando, lo rendeva ai miei occhi una cosa
possibile.
Il mio membro crebbe senza che ne fossi
consapevole, mentre un dolore sempre più intenso attanagliava i muscoli delle
cosce.
Odiavo il fatto di riuscire a sentire solo il
dolore, mentre perdevo completamente sensibilità se si trattava di trarre
piacere.
Strinsi il labbro inferiore tra i denti e
chiudendo gli occhi cercai di combattere quell’insidioso fastidio che cercava
di distrarmi.
Riaprendoli vidi Isabella chinata su di me,
immersa a godere di quello che il mio corpo aveva deciso di regalarci, mentre
affogavo al pensiero che fosse davvero lei la donna lì con me.
Le sue mani, la sua bocca, tutto di lei mi
portava a sentirmi completo e nella confusione
di passione, emozione e dolore, gridai gemendo, perso in sensazioni più forti
di me.
Lei subito si interruppe e mi fissò
preoccupata.
Sollevai il capo ansimando e la guardai a
mia volta….e dopo un attimo di smarrimento scoppiai a ridere…tanto forte da apparire
pazzo.
Mi vide sereno e rise a sua volta.
L’afferrai tirandola sopra di me e la
strinsi forte, come non volessi separarmene mai più.
-
Sei
un demonio amore mio – Le dissi divorandole la bocca.
-
Bentornato
a casa Edward…- La sua voce era divertita.
Ne compresi subito dopo la ragione.
Con un abile movimento azionò in congegno
che spruzzava nell’intero locale un getto freddissimo, nebulizzato al profumo
di cedro.
Lo usavamo come tonico alla fine del bagno
turco, ma in quel caso mi investì a sorpresa facendomi urlare.
Lei si sollevò in piedi ridendo a
crepapelle ed io boccheggiante rimasi a guardarla a bocca spalancata…
-
Tu
sei proprio pazza Isabella Swan. -
Ero felice di vederla così.
-
Certo
amore mio…sono pazza di te. –
E si distese sopra di me coprendomi di
baci.
***
La notte rimanemmo abbracciati e riposai
senza pensieri fino al mattino seguente.
Alle sei e trenta la sveglia ci riportò nel
mondo reale e dopo meno di un’ora eravamo pronti per affrontare il viaggio.
Jasper si era offerto di accompagnarci fino
alla villa, per mostrarci i luoghi dove
saremmo rimasti per l’intera estate e, per l’occasione, aveva voluto donarci il Chrisler Grand Voyeger, una delle auto che aveva preso per Alice e che
lei si rifiutava di usare perché troppo ingombrante per i suoi spostamenti in
città.
Era enorme e molto comodo e nella parte
posteriore era attrezzata per le mie necessità.
-
Sei
sicuro che Alice sia d’accordo? – Jasper sistemava le valigie nel suo ordine
meticoloso, mentre Isabella torturava Eleonor con le ultime, superflue, raccomandazioni
sulla casa.
-
Credimi.
Non vedeva l’ora di liberarsene e visto
che in arrivo c’è la mia nuova fuoristrada avevo bisogno proprio di fare spazio
nel garage. –
-
Quando
torneremo a San Francisco la potrai riportare a casa. –
-
Non
credo proprio, ne avrai bisogno tu per muoverti. Se ricordo bene l’ultima l’hai
polverizzata. –
-
Già!
Con me dentro. –
-
L’auto
l’hai buttata, ma tu sei ancora qui fratello, quindi gambe in spalla e datti da
fare. –
-
Possibile
che devi sempre far dell’ironia per dirmi le cose? Non è divertente. –
-
Forse
non lo è per te, ma io ci godo proprio. –
-
Quanto
sei stronzo! –
-
Grazie…a
volte lo dimentico. – E scoppiò a ridere senza freni.
Era bello partire insieme.
Mi
ricordava i vecchi tempi, quando da bambini litigavamo per chi dovesse salire
davanti e chi dietro nella grande auto di famiglia e poi alla fine nostro padre
ci costringeva entrambi a sedere dietro, uno accanto all’altro, senza discussioni. Litigavamo per tutto il
viaggio, ma eravamo inseparabili.
Da
ragazzi poi andavamo al lago con le moto e lungo la strada era una gara
continua a chi teneva il comando.
Erano stati anni felici…e mi chiesi se
tornare in quei luoghi pieni di ricordi avrebbe aiutato la mia causa.
Certamente male non poteva farmi.
Rose arrivò pochi minuti prima della
partenza, accompagnata dal fidanzato, un ragazzone alto e possente che mi
guardava con insistenza. Lei ci presentò, mentre lui scaricava la valigia di
lei ponendola nel bagagliaio della nostra auto.
Quando mi porse la mano valutai la sua
stretta…era decisa e calda e il sorriso che gli rivolsi lo addolcì
immediatamente.
Pochi scambi di battute e compresi dal suo
sorriso aperto e cordiale che doveva essere una brava persona. Ne fui felice
per lei.
Isabella rimase tutto il tempo accanto a me,
posandomi le mani sulle spalle. Se Emmet
avesse avuto qualche perplessità su di noi, il vederci insieme lo avrebbe di
certo tranquillizzato.
Rose era silenziosa e si teneva in
disparte, mentre osservavo il ragazzo del quale non mi aveva mai parlato.
Mi resi conto solo allora di quanto lei
sapesse di me e di quanto poco invece io conoscessi della sua vita.
Indossava dei pantaloni leggeri color
sabbia e una maglietta bianca in cotone a manica lunga. Un foulard anch’esso
sabbia legato attorno al collo erano l’unico vezzo che si era permessa. Niente
trucco , capello raccolto e lo sguardo nascosto da singolari occhiali da sole.
Erano in uno stile anni ’50, con il bordo
allungato verso l’alto simile agli occhi di un gatto…e le stavano molto bene.
Quando mi sembrò mi stesse guardando le
sorrisi e lei sospirando si rilassò ricambiando il sorriso. Non volevo tensioni
, nulla che potesse rovinare quel clima sereno che gli ultimi giorni mi avevano
regalato.
Emmet abbracciò senza timidezza la sua
bella ragazza sollevandola da terra e dopo qualche attimo di timidezza lei lo
baciò sulle labbra e salì in auto con noi.
Isabella sembrò apprezzare il siparietto e si
sedette accanto a me stringendomi la mano.
Eravamo pronti.
Salutai San Francisco dal Golden Gate…mentre un Sole, pallido e insonnolito, si aggrappava
alle nuvole bianche e soffici per guadagnarsi il punto più alto nel cielo.
Quando raggiunse il suo apice il Lago Tahoe si profilò all’orizzonte.
Paura bussò forte alla
mia porta…la ignorai e lasciai che si stancasse di farlo.
Speranza era l’unica
invitata e ballando si prese gioco di lei.
Strinsi la mano di Isabella che guardava
eccitata fuori dal finestrino, sentendo forte su di noi lo sguardo di Rose che
per l’intero viaggio non aveva alzato mai gli occhi dal suo libro.
Mi voltai verso di lei…e silenziosa… vidi che stava piangendo.